ISSN 2385-1376
Testo massima
Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
Il giudice tributario di merito può contestare una condotta abusiva o elusiva solo se la motiva adeguatamente.
Questi i principi affermati dalla Cassazione Civile, Sezione Quinta, Pres. Rel. DI BLASI con la sentenza del 30 aprile 2015, n. 8760.
Tale principio, già espresso dal giudice di legittimità, è stato ribadito in una recente pronuncia che, accogliendo il ricorso di un contribuente, ha cassato con rinvio la decisione con la quale il giudice tributario d’appello, ritenuta fondata l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, aveva dichiarato legittima, nel quadro di una articolata serie di operazioni negoziali, la pretesa impositiva dell’Ufficio finanziario portata da due avvisi di accertamento in materia di imposta di registro, ipotecaria e catastale.
In buona sostanza, l’Ufficio finanziario, ritenendo che l’insieme di atti stipulati da alcune società, realizzasse gli effetti economici e giuridici di una vendita, aveva riqualificato e tassato in base alla sua intrinseca natura ed ai concreti effetti, il negozio giuridico.
L’Agenzia Entrate, sosteneva la legittimità dell’operato dell’Ufficio, onerato per legge a tassare gli atti in base alla loro intrinseca natura ed agli effetti giuridici prodotti, ancor quando non corrispondenti al titolo o alla forma apparente.
In primo grado, l’adita Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, affermava che nel caso di specie, non si era concretizzata alcuna “elusione fiscale” e che l’operato dell’Ufficio concretizzasse una violazione dell’autonomia contrattuale delle parti.
La Commissione Tributaria Regionale, adita in appello dall’Agenzia Entrate, accoglieva, invece, l’impugnazione, ritenendo e dichiarando legittima la pretesa impositiva dell’Ufficio, portata dai due avvisi impugnati.
I contribuenti proponevano, quindi, ricorso per cassazione, denunciando, tra l’altro, la laconicità delle espressioni utilizzate per giustificare la decisione, laddove, invece, la CTR avrebbe dovuto individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che inducevano a far ritenere che le operazioni poste in essere, fossero, meramente elusive e, quindi, prive di reale contenuto economico, diverso dal risparmio d’imposta.
A giudizio della Suprema Corte, le argomentazioni utilizzate dal giudice tributario per comprovare il disegno elusivo, richiamavano, essenzialmente la complessità dell’iter negoziale, senza una adeguata disamina delle emblematiche peculiarità e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici e sulla relativa incongruenza, rispetto agli strumenti utilizzabili in una normale logica di mercato e senza indicare i concreti elementi, desunti dai singoli negozi stipulati e dagli elementi acquisiti al processo, idonei a far ritenere l’assenza, in ciascun negozio, di un apprezzabile interesse e, quindi, l’esclusivo o preminente intento di pervenire al risultato finale di eludere il fisco.
Testo del provvedimento
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