ISSN 2385-1376
Testo massima
Il valore delle cause di divisione, ai fini della determinazione degli onorari spettanti al difensore, non va determinato a norma dell’art. 12, ultimo comma, c.p.c., per il riferimento fatto in via generale a detto codice dall’art. 6, comma primo, D.M. n. 127 del 2004, in quanto il medesimo art. 6, comma primo, deroga espressamente al suddetto rinvio in materia di giudizi divisori, in relazione ai quali stabilisce, con statuizione avente valore di principio ed applicabile anche agli onorari dovuti dal cliente, che in tali giudizi il valore va determinato in relazione al valore della quota o dei supplementi di quota in contestazione. L’interpretazione suddetta è aderente alla lettera ed alla ratio della norma, posto che l’opposta interpretazione viene a disancorare, irragionevolmente, il valore della causa da quella dell’interesse in concreto perseguito dalla parte.
In tema di liquidazione del compenso dovuto dal cliente all’avvocato per prestazioni in materia stragiudiziale, la valutazione della straordinaria importanza, complessità, difficoltà della pratica, che consente il raddoppio dei massimi degli onorari, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, la cui discrezionalità si esplica già nella determinazione del compenso, sulla base dei medesimi parametri, tra i minimi e i massimi stabiliti nella tabella allegata alla tariffa stessa; pertanto l’aver attribuito particolare rilevanza all’opera prestata a questo specifico fine non impone che detta rilevanza debba comportare un livello così elevato da giustificare il superamento dei massimi. In ogni caso il giudice deve motivare, trattandosi di un potere discrezionale ‘extra ordinem’, soltanto l’eventuale esercizio della facoltà di superamento dei limiti tariffari e non anche il mancato uso di questo potere.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Pres. Bucciante Rel. Falaschi, con la sentenza n. 1202, depositata in data 22.01.2016.
Nel caso di specie, un avvocato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di merito, in accoglimento del gravame articolato dai clienti, aveva riformato le statuizioni del Giudice di prime cure, il quale, a sua volta, aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dai clienti ingiunti, riconoscendo la complessa attività espletata dal professionista, sia giudiziale che stragiudiziale.
In particolare, la Corte territoriale “evidenziava che non erano stati correttamente computati nella specie né i diritti e le spese né gli onorari. Aggiungeva che
ai fini della determinazione del valore della pratica per il calcolo del compenso, si doveva avere riguardo al valore non dell’intero compendio, ma al valore della quota oggetto di divisione
che non poteva essere ritenuta di straordinaria importanza l’attività legale svolta, avendo avuto ad oggetto l’intervento in procedure esecutive già in corso e la richiesta di un giudizio di divisione definito senza l’emanazione di un provvedimento giurisdizionale, ma anzi era stata modesta, essendo stata prevalente quella stragiudiziale di definizione delle trattative tra creditori e terzi“.
La Suprema Corte, nel motivare il rigetto del ricorso proposto dal professionista peraltro condannato al pagamento delle spese di giudizio di legittimità ha preliminarmente chiarito i criteri di determinazione del valore della causa in relazione ai giudizi divisori.
In particolare, la sentenza in commento ha ritenuto non condivisibile l’assunto di parte ricorrente secondo cui “il valore della causa al quale andrebbero ragguagliati gli onorari, sarebbe quello dell’asse, trattandosi di cause ereditarie cui si applica, ai fini della determinazione del valore, l’art. 12 c.p.c., comma 2“. Invero, richiamando pregressa e consolidata giurisprudenza, la Corte ha precisato che, ai fini degli onorari dovuti dal cliente nell’ambito di giudizi come quello in esame, il valore della causa debba esser determinato in relazione al valore della singola quota o dei supplementi di quota in contestazione, ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.M. n. 127/2004.
Ciò premesso, la sentenza in esame ha poi fornito ai fini di una corretta liquidazione degli onorari un ulteriore chiarimento in relazione all’esatto inquadramento dell’attività professionale resa dall’avvocato ricorrente. A tal proposito, la Cassazione ha specificato che “l’attività stragiudiziale prestata dall’avvocato è sorta dopo l’insorgenza delle controversie giudiziali e dunque nell’ambito delle stesse, per cui le prestazioni professionali finalizzate a transigere la lite, lungi dall’avere una autonoma giustificazione, erano strettamente connesse alle controversie e strumentali alla loro definizione. Sotto tale profilo è infondata la censura della ricorrente relativa ad un preteso omesso esame da parte del giudice di appello della documentazione attestante l’attività stragiudiziale espletata, non essendo in contestazione il suo effettivo svolgimento, ma piuttosto il suo collegamento con l’attività giudiziale per la quale soltanto il suddetto avvocato aveva ottenuto da Tizio il conferimento del mandato, che dunque costituiva l’unica fonte giustificativa delle sue prestazioni professionali, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata“.
Quanto alle contestazioni del professionista ricorrente, riferite alla liquidazione dell’attività svolta, asseritamente connotata da speciale complessità, la Cassazione ha chiarito che l’accertamento del requisito della “straordinaria importanza di una controversia” e dunque della speciale complessità della relativa attività professionale, è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice di merito. Un potere che “va giustificato – come in tutti i casi di uso di un potere discrezionale extra ordinem solo in cado di esercizio e non anche di mancato esercizio“.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto del tutto insussistenti i predetti requisiti, rigettando il ricorso.
Testo del provvedimento
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