Il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, nel giudizio di opposizione, per effetto del fallimento e quindi con l’automatica interruzione della causa, perde definitivamente efficacia nei confronti del fallimento, posto che il credito deve giocoforza accertarsi nelle forme previste dalla legge speciale e nel contraddittorio degli altri concorrenti creditori, che potrebbero infatti avere tutto l’interesse a far escludere dalla massa siffatto credito.
La causa del condebitore solidale è distinta da quella proposta dal debitore principale e pur essendo sorto formalmente un solo processo, per effetto della congiunta opposizione a decreto ingiuntivo da essi proposta, l’autonomia giuridica delle due cause permane: in altri termini non si versa in un caso di litisconsorzio necessario e le diverse cause possono avere un autonomo destino processuale.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Taranto, dott. Claudio Casarano, con la sentenza n. 2612 del 15.09.2015.
Nel caso di specie, una società proponeva ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale di Taranto, col quale chiedeva di condannare il titolare di una farmacia al pagamento della somma dovuta in virtù di due scritture private, in solido con la garante. Seguiva la pronuncia dell’ingiunzione da parte del Tribunale.
Proponevano opposizione il debitore principale e la garante, fondata sul carattere usurario degli interessi pattuiti nelle due evocate transazioni. Inoltre lamentavano che non risultava peraltro espresso nelle due scritture private, il tasso applicato ed il piano di ammortamento.
La società opposta si costituiva chiedendo il rigetto della spiegata opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Alla udienza fissata per l’ammissione dei mezzi di prova veniva rappresentato che con sentenza del Tribunale di Brindisi era stato dichiarato il fallimento del titolare della Farmacia, seguiva quindi l’interruzione della causa.
La riassunzione avveniva ad opera della garante, mentre non riassumeva la causa il fallimento del debitore principale, e non seguiva neanche la sua costituzione per effetto della riassunzione operata dalla debitrice solidale. La garante, avendo notificato l’atto di riassunzione anche al fallimento del debitore principale, riteneva utilmente riassunta anche la causa proposta dallo stesso. Viceversa il difensore del creditore chiedeva la pronunzia di estinzione parziale della causa, limitatamente cioè al fallimento, con conseguente conferma del decreto opposto già esecutivo.
Il Giudice adìto ha dichiarato l’improcedibilità della domanda monitoria nei confronti del fallimento del titolare della farmacia, e l’inefficacia del decreto ingiuntivo opposto nei confronti dello stesso fallimento.
Ha affermato, innanzitutto, che la sua causa del condebitore solidale è distinta da quella proposta dal debitore principale e che pur essendo sorto formalmente un solo processo, per effetto della congiunta opposizione a decreto ingiuntivo da essi proposta, l’autonomia giuridica delle due cause permane: in altri termini non si versa in un caso di litisconsorzio necessario e le diverse cause possono avere un autonomo destino processuale.
Ad avviso del giudice, occorre muovere dalla disciplina prevista dalla legge fallimentare, atteggiandosi questa come norma speciale rispetto a quella generale prevista dal codice di rito; quindi in caso di loro conflitto, deve prevalere il disposto della prima legge.
Ebbene, l’art. 93 e ss. della legge fallimentare prevede la competenza esclusiva inderogabile del giudice delegato del fallimento ad esaminare tutte le domande tese ad ottenere il riconoscimento di un credito nei confronti del debitore fallito e tale vis actractiva opera anche in caso di domanda proposta da un creditore nella forma monitoria, poi seguita da opposizione.
Anzi la Suprema Corte giunge ad affermare che il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, non è opponibile al fallimento perché appunto ha carattere provvisorio e non può quindi essere equiparabile al caso in cui sia intervenuta una sentenza di primo grado; per la quale diversa ipotesi invece l’art. 96, II co, prevede l’ammissione al passivo con riserva, potendo il curatore proporre impugnazione o proseguire il giudizio di impugnazione (Cassazione civile sez. III del 20/03/2006 — n. 6098: “Nella ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità, al fallimento, di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di “sentenza impugnabile”, esplicitamente richiesta dall’art. 95, comma 3, 1. fall., norma insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica. Ne discende in tal caso che, essendo il decreto ingiuntivo inefficace e inopponibile alla massa, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione”).
Il decreto ingiuntivo, quindi, pur se provvisoriamente esecutivo come nel caso in esame, per effetto del fallimento e quindi con l’automatica interruzione della causa, perde definitivamente efficacia nei confronti del fallimento: è insomma come se fosse res inter alios acta, posto che il credito deve giocoforza accertarsi nelle forme previste dalla legge speciale e nel contraddittorio degli altri concorrenti creditori, che potrebbero infatti avere tutto l’interesse a far escludere dalla massa siffatto credito.
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