ISSN 2385-1376
Testo massima
L’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal legale deve essere proposta con atto di citazione, pertanto, se l’opponente abbia introdotto il relative giudizio con ricorso, la sanatoria del relative vizio procedurale deve ritenersi ammissibile purchè il ricorso venga notificato nei termini indicati nel decreto.
E’ questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con sentenza n.21675 pronunziata in data 23/09/2013, a seguito del ricorso presentato da un cliente avverso l’ordinanza del Tribunale di Cassino che aveva ritenuto inammissibile la sua opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal legale per l’attività difensiva espletata, sul presupposto che la stessa, oltre ad essere tardiva, era stata proposta con la forma del ricorso e non dell’atto di citazione.
In particolare, il Tribunale aveva affermato l’inammissibilità dell’opposizione sulla base del principio di diritto secondo il quale in tema di liquidazione di onorari di avvocato nei confronti del cliente, qualora il professionista opti per il ricorso al procedimento di ingiunzione ex art. 633 cpc, il debitore deve proporre opposizione mediante atto di citazione e non mediante ricorso.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha ritenuto che l’adozione della forma del ricorso in luogo di quella della citazione non determini la nullità ovvero inammissibilità del procedimento di opposizione quando, con la regolare instaurazione del contraddittorio, conseguente alla costituzione della controparte in assenza di eccezione alcuna, sia stato comunque raggiunto lo scopo dell’atto, in virtù del principio di conversione degli atti processuali nulli di cui all’art.156 cpc.
Ed infatti, ad avviso dei giudici di legittimità appare necessario, nella fattispecie esaminata, operare un coordinamento normativo con l’art.156 cpc in virtù del quale non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge; può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunziata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
In conclusione, dunque, gli ermellini, dando seguito a costante giurisprudenza secondo la quale, con riferimento alle opposizioni proposte mediante ricorso invece che con citazione, deve essere riconosciuta la possibilità di sanatoria a condizione che il ricorso venga notificato nei termini indicati nel decreto, hanno accolto il ricorso cassando il provvedimento impugnato.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15182/2010 proposto da:
F.G.
– ricorrente –
M.G.
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CASSINO depositata il 29/01/2010, r.g. n. 3034/2008;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso del 3 dicembre 2008 F.G. propose opposizione al decreto ingiuntivo chiesto dall’avv. M. G. per il pagamento di compensi professionali relativi all’attività difensiva svolta dal professionista in favore dell’opponente in un giudizio promosso nei confronti di Telecom S.p.a..
Il F. lamentò, dinanzi all’adito tribunale di Cassino, la incongruità per eccesso della somma richiesta dall’avv. M., determinata (a suo dire erroneamente) non in base al valore effettivo della controversia così come ritenuta dal giudice in sentenza, ma in base al quantum indicato con la domanda introduttiva.
L’avv. M., nel costituirsi, chiese il rigetto dell’opposizione e propose domanda riconvenzionale, chiedendo sia la rideterminazione degli onorari secondo un più elevato scaglione di calcolo, sia il riconoscimento di diritti ed onorari ulteriori, previa concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto per le somme non contestate.
1.1. Il Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, concesse la provvisoria esecuzione del decreto, fissando udienza di comparizione.
In quella sede, l’opponente lamentò, in limine, che il procedimento, disciplinato dalla L. n. 749 del 1942, art. 30, avrebbe dovuto celebrarsi nelle forme del rito camerale in composizione collegiale, così che l’inosservanza di tale disposizione aveva determinato la nullità di ogni provvedimento adottato.
1.2. La causa venne rimessa al Tribunale in composizione collegiale, che definì il giudizio con ordinanza riservata all’udienza camerale del 2.11.2009, depositata il 29.01.2010.
1.3. Il provvedimento ordinatorio dichiarò inammissibili sia il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, sia la domanda riconvenzionale spiegata dall’opposto.
1.3.1. Premesso che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione di onorari di avvocato nei confronti del cliente, laddove il professionista opti per il ricorso al procedimento di ingiunzione art. 633 c.p.c. e ss., il debitore deve proporre opposizione mediante atto di citazione, il collegio ritenne che l’opposizione, se proposta tardivamente, fosse inammissibile, con ciò determinandosi la formazione del giudicato in ordine al decreto.
1.3.2. La questione dell’inammissibilità, a giudizio del collegio, aveva, ipso facto, carattere pregiudiziale rispetto alle altre, e poteva essere rilevata dal giudice anche di ufficio ed anche nel caso di regolare costituzione dell’opposto: orbene, agli atti, non risultava, nella specie, allegata alcuna “copia del ricorso introduttivo di lite notificato, unitamente al provvedimento del giudice di fissazione della udienza di comparizione, alla parte avversa“, nè vi era alcun “dato oggettivo” idoneo a consentire “all’interprete di superare per logica detta lacuna storico/documentale/rappresentativa circa l’eventuale intervenuta notifica nei termini del ricorso in opposizione, il cui mero deposito in cancelleria in vista della fissazione di udienza ad opera del giudice non vale (va), evidentemente, ad integrare il presupposto normativo cristallizzato sub art. 641 c.p.c.“.
1.3.3. A completamento del proprio percorso argomentativo, il tribunale aggiungerà ancora che, nel merito, l’opposizione sarebbe stata comunque infondata, perchè la richiesta dell’avv. M. era fondata proprio sulla sentenza del giudice che aveva definito il processo nel quale egli aveva svolto la propria attività difensiva nell’interesse del F.: detta richiesta, infatti, aveva come termine di riferimento la somma complessiva risultante dall’importo direttamente riconosciuto in quella sentenza e dagli interessi calcolati secondo le indicazioni del medesimo provvedimento dal consulente incaricato dal F. stesso.
1.3.4. La domanda riconvenzionale spiegata dall’opposto venne, infine, dichiarata inammissibile, siccome quegli “in quanto attore in senso sostanziale, non poteva proporre domande nuove“, salvo il caso di riconvenzionale proposta dall’opponente. Anche tale inammissibilità era rilevabile di ufficio, “risolvendosi la questione in una preclusione all’esercizio della giurisdizione”.
1.4. Avverso detta ordinanza, il F. propone ricorso per cassazione sorretto da tre motivi di censura.
Resiste l’avv. M. con controricorso e deposita altresì ricorso incidentale condizionato all’accoglimento di motivi del ricorso principale.
1.5. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 29 e 30, degli artt. 641, 645 e 737 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando due distinte censure.
Con la prima si evidenzia l’erroneità dell’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui non vi sarebbe stata agli atti la prova del rispetto dei termini di cui all’art. 641 c.p.c., stante la mancanza in atti della copia notificata dell’atto di opposizione.
Osserva, in contrario, che il rispetto di quei termini emergeva con chiarezza “dallo stesso tenore della comparsa di costituzione di parte opposta, dalla data del deposito del ricorso in opposizione, dalla produzione della copia notificata del decreto ingiuntivo contenuto nel fascicolo di parte opponente, dalla nota di iscrizione della causa a ruolo che riporta la data di notifica della opposizione“, precisando che la costituzione dell’opposto era avvenuta senza eccezioni di sorta.
Con la seconda si osserva: 1) che, in tema di onorari e diritti dovuti dal cliente al proprio difensore, anche se questi si è avvalso dell’ordinario procedimento di ingiunzione ex art. 630 c.p.c. e ss., l’opposizione avverso il decreto, quando la controversia attenga unicamente alla misura del compenso, deve svolgersi secondo il procedimento previsto dalla L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30; 2) che l’atto introduttivo del giudizio di opposizione in questione non può che essere un ricorso, poichè, secondo l’art. 29 appena citato, “il Presidente del Tribunale o della Corte di Appello ordina, con decreto in calce al ricorso, la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio”, e, in forza dell’art. 737 c.p.c., i provvedimenti che debbono essere pronunciati in camera di consiglio “si chiedono con ricorso”; 3) che, dovendo l’opposizione venire introdotta mediante ricorso, il termine di cui all’art. 641 cod. proc. civ. è rispettato se, in tale spazio temporale, il ricorrente abbia depositato l’atto di impulso in cancelleria.
1.6. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 29 e 30, degli artt. 50 bis, 50 ter e 50 quater c.p.c., e art. 648 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La censura investe le fasi del procedimento svolte davanti al giudice monocratico, e, di conseguenza, anche il provvedimento di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, del quale si lamenta la nullità per essere il procedimento di competenza del giudice collegiale, con conseguente nullità dei provvedimenti adottati per inosservanza delle disposizioni sulla composizione dell’organo giudicante.
1.7. Con il terzo motivo, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 2, della tariffa professionale per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria contenuta nella delibera del Consiglio Nazionale Forense del 20/11/2002, approvata con D.M. 8 aprile 2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si sostiene che il valore monetario di riferimento per la determinazione degli onorari non può che essere quello effettivo della controversia, e che l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente individuato l’ammontare degli interessi da applicare, dovendo essere il relativo calcolo effettuato sulla scorta di quanto accertato dal CTU nominato nel giudizio di opposizione a precetto proposta dalla Telecom spa nei suoi confronti.
1.8. Con il controricorso viene sollevata, in limine, una questione di ammissibilità del gravame, per essere il provvedimento del tribunale di Cassino, nella sostanza, una vera e propria sentenza, come tale destinata all’impugnazione con l’appello, e ciò perchè, per effetto della proposizione di una domanda riconvenzionale – così ampliato l’oggetto del giudizio -, sarebbe venuta meno l’applicabilità della previsione di cui alla L. n. 749 del 194, art. 30, derogativa del principio del doppio grado di giudizio.
Nel merito, si osserva che, vertendosi in fattispecie di ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. – ammesso soltanto per violazione di legge o per radicale mancanza o mera apparenza della motivazione – le censure mosse al provvedimento impugnato si limitavano, inammissibilmente, a rappresentare al giudice di legittimità questioni di meri vizi di motivazione.
Ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso principale viene poi rappresentato con riguardo alla circostanza che l’ordinanza impugnata avrebbe risolto le questioni sottoposte al suo giudizio in linea con l’orientamento consolidato della Corte di cassazione – in particolare affermando che l’opponente aveva l’onere di dimostrare “di aver notificato il ricorso con pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione nel termine di cui all’art. 641 c.p.c.“, – senza che il ricorso stesso offrisse, all’uopo, elementi utili a mutare tale indirizzo giurisprudenziale.
1.9. Con il ricorso incidentale condizionato all’accoglimento di motivi del ricorso principale, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 183 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., e dell’art. 6 della tariffa (D.M. 8 aprile 2004 n. 127).
Si osserva, in proposito, che la richiesta di ricalcolo delle competenze professionali costituiva non una domanda riconvenzionale, bensì “una semplice modifica quantitativa della domanda, ammissibile e consentita ex art. 183 c.p.c., comma 5, anche all’attore in senso sostanziale”, per poi aggiungersi che l’art. 6 della tariffa professionale “trova applicazione soltanto in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva dei valori in base a parametri legali“, mentre, quando il valore della causa è dichiarato nella domanda, come nel caso di specie, il criterio da utilizzare sarebbe proprio quello del valore indicato nella domanda.
Il criterio del valore attribuito dal giudice alla parte vittoriosa, difatti, “è alla base della determinazione delle spese da porre a carico del soccombente, ma non è utilizzabile ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente”.
2. Gli atti del procedimento, assegnato alla seconda sezione civile di questa Corte e fissato per la trattazione all’udienza del 2 febbraio 2012, sono stati rinviati, con ordinanza n. 5149 del 30 marzo 2012, al Primo Presidente, che ne ha disposto l’assegnazione alle Sezione Unite.
2.1. Con l’ordinanza di rimessione, il collegio della seconda sezione (ritenuto, sia pur implicitamente, nella specie ammissibile il ricorso per cassazione, con decisum che questo collegio condivide) evidenzia come il ricorso sollevi una questione di carattere generale, e precisamente se, in tema di onorari di avvocato, allorquando il difensore si sia avvalso dell’ordinario procedimento per ingiunzione ex art. 633 e seguenti cod. proc. civ., l’opposizione debba essere proposta con citazione o con ricorso.
2.2. A tale questione, osserva ancora il collegio remittente, un’altra ne appariva connessa: se l’opposizione andava proposta con citazione, ed era stata invece proposta con ricorso, occorreva, difatti, stabilire se, per la tempestività della stessa, dovesse farsi riferimento alla data della notifica, ovvero a quella del deposito del ricorso.
2.3. Quanto alla prima questione, nell’ordinanza interlocutoria si osserva che la stessa risultava già oggetto del decisum di cui alla sentenza n. 1283 del 16 febbraio 1999, che l’aveva risolta affermando il principio di diritto secondo il quale, in tema di liquidazione degli onorari di avvocato nei confronti del proprio cliente, il professionista può scegliere tra il rito speciale previsto dalla L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, e quello monitorio per ingiunzione. Qualora egli opti per il secondo, e la sua domanda venga accolta, il debitore che intenda proporre opposizione deve farlo mediante atto di citazione e non mediante ricorso. Tuttavia, per il principio di conversione degli atti nulli, di cui all’art. 156 c.p.c., la eventuale adozione della forma del ricorso in luogo di quella della citazione non determina la nullità della opposizione quando, con la regolare instaurazione del contraddittorio, sia stato raggiunto lo scopo dell’atto.
2.4. Tale principio – laddove esclude che l’opposizione proposta con ricorso sia nulla quando vi sia stata comunque la regolare instaurazione del contraddittorio – trovava corrispondenza in quello enunciato, in via generale, da questo giudice di legittimità in materia di impugnazioni (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4498 ed 11 settembre 2008, n. 23412 tra le altre), a mente del quale, se l’appello deve essere proposto con atto di citazione, e sia stato invece proposto con ricorso, non è sufficiente che questo sia stato depositato nei termini, ma occorre che l’atto recettizio di impugnazione venga portato a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito dall’art. 325, e dall’art. 327 c.p.c., nella forma legale della notificazione e nel luogo indicato dall’art. 330 c.p.c., poichè solo in tal modo si costituisce nei termini un valido rapporto processuale e si evita il verificarsi della decadenza conseguente all’inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell’atto.
Si aggiunge ancora nell’ordinanza di rimessione che, alla giurisprudenza appena indicata, era inversamente correlata, quella, largamente consolidata, secondo la quale, nei casi in cui l’appello vada proposto con ricorso, la decadenza è impedita soltanto dal deposito di questo nei termini prescritti, mentre l’impugnazione è inammissibile se proposta con citazione notificata ma non depositata nei termini (Cass. 13 ottobre 2011, n. 21161, 22 aprile 2010, n. 9530, 10 agosto 2007, n. 17645, 22 luglio 2004, n. 13660, 20 luglio 2004, n. 13422, 26 ottobre 2000, n. 14100).
2.5. La necessità di rimeditare i principi dianzi esposti nasce, peraltro, a giudizio del collegio remittente, a seguito della sentenza di queste sezioni unite n. 8491 del 2011, resa in materia di condominio: dopo aver affermato che le impugnative delle delibere assembleari debbono essere proposte mediante citazione (con un dictum foriero di ricadute processuali su di un’ampia pluralità di fattispecie concrete), era poi stata, difatti, confermata la validità delle impugnazioni proposte impropriamente con ricorso purchè (e sol che) l’atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine previsto dall’art. 1137 c.c.. Ciò in quanto – si legge in sentenza – l’adozione della forma del ricorso non esclude l’idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in cancelleria e non è necessario estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine prescritto, perchè tale estensione non risponderebbe ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre graverebbe l’attore di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall’ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione.
Motivi della decisione
3. I ricorsi, principale e incidentale, proposti avverso la medesima sentenza, devono intendersi riuniti.
3.1. Le questioni evidenziate nell’ordinanza di rimessione – relative la prima alla forma dell’atto con il quale può essere proposta opposizione a decreto ingiuntivo ottenuta da un avvocato nei confronti del proprio cliente per il pagamento dei propri onorari relativi all’attività svolta in un giudizio civile, la seconda alla possibilità, ed ai connessi limiti, di sanatoria dell’atto di opposizione irritualmente proposto – evocano entrambe il contenuto delle disposizioni di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28, 29 e 30, dettate in tema di Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, nel testo vigente fino all’intervento normativo di cui al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 16, (inapplicabile alla presente fattispecie ratione temporis).
L’art. 28, rubricato Forma dell’istanza di liquidazione degli onorari e dei diritti, nella sua formulazione originaria (vigente fino alla sostituzione disposta con l’art. 34, comma 16, lett. a), del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150), recita(va): Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 c.p.c. e segg., proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo.
L’art. 29, rubricato “Procedimento di liquidazione” (oggi abrogato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 16, lett. b)), dispone(va): Il presidente del Tribunale o della Corte di appello ordina, con decreto in calce al ricorso, la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio, nei termini ridotti a norma dell’art. 645 c.p.c., ultima parte. Il decreto è notificato a cura della parte istante. Non è obbligatorio il ministero del difensore. Il collegio, sentite le parti, procura di conciliarle. Il processo verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.
Si applica per le spese l’art. 92 c.p.c., u.c.. Se una delle parti non comparisce o se la conciliazione non riesce, il collegio provvede alla liquidazione con ordinanza non impugnabile la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese del procedimento. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si osservano, in quanto applicabili, davanti al conciliatore e al pretore quando essi sono rispettivamente competenti a norma dell’art. 28.
L’art. 30, rubricato Non impugnabilità dell’ordinanza che decide l’opposizione a decreto ingiuntivo (oggi abrogato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 16, lett. b)), prevede(va):
L’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c., contro il decreto ingiuntivo riguardante, onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali è decisa dal Tribunale e dalla Corte di appello in camera di consiglio oppure dal conciliatore o dal pretore, con ordinanza non impugnabile la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese. Il procedimento è regolato dall’articolo precedente.
3.2. La normativa citata deve essere altresì coordinata – attesone l’espresso richiamo operato dalla L. n. 794 del 1942, art. 30 (oltre che dall’art. 29) – con il disposto di cui all’art. 645 del codice di rito civile, a mente del quale, come è noto, l’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto con atto di citazione notificato al ricorrente nei luoghi di cui all’art. 638. Contemporaneamente l’ufficiale giudiziario deve notificare avviso dell’opposizione al cancelliere affinchè ne prenda nota sull’originale del decreto. In seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà.
3.3. Ulteriore coordinamento normativo deve essere operato con l’art. 156 c.p.c., (espressamente richiamato nell’ordinanza di rimessione e nelle decisioni in essa citate), a mente del quale non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunziata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
3.4. Per completezza di indagine ai fini che oggi occupano queste sezioni unite, va ancora rammentato che il testo della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, nella formulazione attualmente vigente a seguito della sostituzione disposta con il D.Lgs. n. 150 del 2011, recita: per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 c.p.c. e ss., procede ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14″; art. 14 a mente del quale le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. E’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente.
L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
4. La prima questione sollevata con l’ordinanza di rimessione attiene alla forma dell’atto – citazione o ricorso – con il quale deve essere proposta opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato nei confronti del cliente per il pagamento dei propri onorari relativi a prestazioni giudiziali in materia civile.
4.1. La giurisprudenza di questa Corte risulta pressochè costantemente orientata a ritenere che l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per il pagamento dei propri onorari relativi a prestazioni giudiziali in materia civile debba rivestire la forma dell’atto di citazione (già con la sentenza del 2 agosto 1956, n. 3041, difatti, venne affermato il principio secondo cui, avverso il provvedimento monitorio ottenuto dall’avvocato contro il proprio cliente per prestazioni giudiziali in materia civile, l’opposizione deve essere proposta con atto di citazione nel termine stabilito dal decreto stesso, principio poi ribadito da Cass. 22 maggio 1959, n. 1561, 3 gennaio 1966, e 16 maggio 1981, n. 3225, ove, in particolare, si legge che l’opposizione instaurata mediante ricorso depositato in cancelleria “non è prevista dalla legge”, salvo casi del tutto particolari dovuti alla competenza funzionale cui è connessa una procedura particolare come nel caso del processo del lavoro).
4.2. In tempi più recenti, il principio è stato espressamente ribadito con la sentenza della seconda sezione del 16 febbraio 1999, n. 1283, a mente della quale il procedimento speciale previsto dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28, 29 e 30, è posto in alternativa a quello monitorio per ingiunzione di all’art. 633 c.p.c. e segg., con la scelta tra i due riti demandata esclusivamente al professionista e con la conseguenza che, qualora egli abbia optato per il procedimento di ingiunzione e la domanda sia stata accolta, il debitore che ritenga la somma liquidata non dovuta, in tutto o in parte, deve proporre opposizione al decreto ingiuntivo mediante atto di citazione, notificato al ricorrente nel termine di venti giorni (elevato a quaranta con L. 20 dicembre 1995, n. 432) di cui all’art. 641 c.p.c..
4.3. Nel solco di tale orientamento si pone ancora la sentenza di cui a Cass. 26 gennaio 2000, n. 850 – mentre in epoca ancor più recente non sembrano rinvenirsi pronunce che abbiano affrontato espressamente la questione della forma dell’atto di opposizione in discorso, anche se queste stesse sezioni unite, con pronuncia del 22 febbraio 2010, n. 4071, hanno precisato che, quando un decreto ingiuntivo sia stato emesso per i compensi professionali di un avvocato, al giudizio di opposizione si applicano la L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, ma, per tutto quanto non previsto da queste disposizioni speciali, il giudizio è regolato dalle norme sull’ordinario giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (e ciò in conformità con un pressochè unanime orientamento espresso, in materia, dalla dottrina specialistica, che, con dovizia di argomentazioni, rafforza il convincimento giurisprudenziale che l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per il pagamento dei propri onorari relativi a prestazioni giudiziali in materia civile debba essere proposta mediante un atto di citazione).
4.4. Non può dubitarsi che il principio in parola è destinato ad essere radicalmente rivisitato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, a mente del quale l’atto di opposizione all’ingiunzione dovrà avere la forma del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., e non più dell’atto di citazione: ma, secondo l’espressa previsione dell’art. 36 del medesimo testo legislativo, le modifiche normative da esso introdotte sono applicabili esclusivamente ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, mentre le controversie pendenti a tale data continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni abrogate o modificate.
4.5. E’ convincimento del collegio che l’orientamento tradizionale meriti conferma.
4.5.1. In una linea di ideale quanto necessaria continuità con il dictum di cui a Cass. ss.uu. 4071/2010, è parimenti convincimento del collegio che, per quanto non previsto dalle disposizioni speciali, il giudizio de quo sia regolato dalle norme sull’ordinario giudizio di opposizione.
4.5.2. Decisiva, in primo luogo, appare l’indicazione normativa contenuta nella L. n. 794 del 1942, art. 30, che richiama espressamente l’opposizione “proposta a norma dell’art. 645 c.p.c.”.
4.5.3 Non meno rilevante appare, poi, la considerazione secondo la quale l’adozione della forma della citazione per introdurre il procedimento di opposizione appare coerente con l’esigenza sistematica che affida al professionista la scelta di ricorrere allo speciale procedimento sommario, disciplinato nel suo esclusivo interesse, al fine di attuare e garantire una più rapida tutela giurisdizionale del diritto al compenso per le prestazioni eseguite in un processo civile. Di talchè, l’ingiunto introduce la domanda e il conseguente contraddittorio secondo le modalità del rito ordinario, mentre è rimessa alla facoltà dell’avvocato la scelta se chiedere o meno la trattazione della questione secondo il modello di cui alla legge speciale. Ne consegue che la soluzione al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve essere (in consonanza con la unanime dottrina che, più o meno motivatamente, si è espressa in argomento) quella che segue lo schema obbligato della citazione con udienza di comparizione fissata dall’opponente, nel corso della quale, se ne sussistano i presupposti, verrà disposta, ad istanza del professionista, la conversione del rito con passaggio dall’istruttore al presidente e conseguente fissazione dell’udienza in camera di consiglio.
5. Riaffermato, pertanto, il consolidato orientamento, dottrinario e giurisprudenziale, secondo cui l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile deve essere proposto con atto di citazione, si pone l’ulteriore questione se, e in quali limiti, sia possibile la sanatoria di un’opposizione erroneamente proposta mediante ricorso.
5.1. In argomento, la giurisprudenza di questa Corte si è costantemente orientata nel senso di ritenere ammissibile tale sanatoria a condizione che il ricorso venga notificato nel termine indicato nel decreto, analogamente a come si sarebbe dovuto procedere con la citazione.
La già ricordata la sentenza n. 3041 del 1956, nel predicare un principio di diritto poi riaffermato, tra le altre, da Cass. n. 3225 del 1981 e n. 1283 del 1999, specifica, difatti, che il semplice deposito di un ricorso presso la cancelleria di un ufficio giudiziario… non può avere alcuna efficacia interruttiva in ordine alla decorrenza del termine di impugnazione (nella fattispecie, il termine per proporre opposizione avverso un decreto ingiuntivo, già notificato), perchè nel sistema del rito civile tutte le impugnazioni contro decisioni giudiziarie interessanti una pluralità di parti e sottoposte all’obbligo della notifica debbono venire notificate, alla loro volta, a cura di chi propone il gravame, alla controparte, ed è soltanto la notifica dell’atto di impugnazione che arresta il termine prima della scadenza, ossia impedisce il passaggio in giudicato della decisione. Così – si legge ancora in sentenza -, se detta opposizione non viene notificata entro il termine stabilito dal decreto ingiuntivo, è tardiva, mentre il decreto diventa definitivo. La mancanza di termini per la fase dinanzi al collegio in camera di consiglio vale soltanto perchè tale fase sia stata legittimamente introdotta mediante una tempestiva opposizione. E pertanto, se, per errore (come si è verificato nella fattispecie), la parte che intende proporre opposizione al decreto ingiuntivo, in luogo di far notificare al professionista istante un atto di citazione, presenta un ricorso al presidente che aveva emesso l’ingiunzione, un tal ricorso non equivale ad opposizione; potrà eventualmente valere allo scopo, purchè esso sia poscia notificato al professionista istante entro il termine fissato nel decreto ingiuntivo (operandosi, in tale ipotesi la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c. u.c.); ma se la notifica ha luogo dopo che quel termine era scaduto, essa è priva di efficacia, perchè, frattanto, il decreto di ingiunzione è divenuto esecutivo (art. 647 c.p.c.). Nè può sostenersi… che il decreto di convocazione delle parti, eventualmente stilato dal presidente in calce al ricorso in opposizione, implichi una proroga del termine di impugnativa e quindi valga ad impedire la decadenza dell’opposizione: il presidente ha, bensì, nel momento in cui emette il decreto ingiuntivo, la facoltà di ridurre o di aumentare il termine normale stabilito dalla legge (art. 641 c.p.c.) per l’opposizione in giorni venti; ma deve stabilire quel diverso termine nel decreto ingiuntivo stesso, e non può successivamente modificarlo con un provvedimento distinto,e ciò perchè, conclude la pronuncia, nessuna modificazione al decreto ingiuntivo è più consentita se non dopo instaurato il contraddittorio, e questo non può instaurarsi che mediante una tempestiva opposizione notificata su istanza della parte opponente a chi aveva chiesto l’ingiunzione.
5.2. A tale principio queste sezioni unite intendono dare ulteriore continuità, sia pur con le precisazioni che seguono.
5.2.1. Non ignora il collegio che una soluzione del tutto speculare rispetto a quella appena descritta è stata adottata dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, previdenza e assistenza, nonchè per crediti relativi a rapporti in ordine ai quali è prevista la cognizione nelle forme del rito del lavoro (quali quelli locatizi), materia che costituisce, peraltro, eccezione pressochè unica alla regola secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo si propone mediante citazione da notificare alla controparte nel termine di cui all’art. 641 c.p.c.: nelle controversie alle quali si applica il rito del lavoro, difatti, l’opposizione deve essere proposta con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente nel termine di cui all’art. 641 c.p.c., e deve ritenersi (in consonanza con la più attenta dottrina) tempestivamente proposta tutte le volte che il ricorso risulti depositato nella cancelleria del giudice competente prima della scadenza del termine per l’opposizione (ordinaria, o tardiva), senza che sia necessario, ai fini dell’ammissibilità della opposizione, che entro il medesimo termine il ricorso stesso sia stato notificato (così Cass. ss.uu. 14 marzo 1991, n. 2714, Cass. sez. lav. 11 luglio 1979, n. 4010, 15 ottobre 1992, n. 11318, 26 aprile 1993, n. 4867, Cass. sez. 3^ 2 aprile 2009, n. 8014).
5.2.2. In tale, specifico ambito, giurisprudenza e dottrina costantemente convengono sulla possibilità della sanatoria di una opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro o assimilati proposta con citazione invece che con ricorso, affermandosi in proposito che l’opposizione può considerarsi valida solo se la citazione venga depositata nella cancelleria del giudice competente entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. – mentre sarebbe insufficiente la sola notificazione nel medesimo termine – poichè solo in questo modo si raggiunge lo scopo proprio del ricorso (unica, isolata e non condivisibile eccezione a tale orientamento può ravvisarsi nella sentenza della sezione lavoro del 16 novembre 1994, n. 9675, ove si legge che il pretore, investito di opposizione a decreto ingiuntivo proposta con citazione, anzichè con ricorso, in controversia concernente un indebito previdenziale, deve disporre la conversione del rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c., restando tenuto, ove non abbia provveduto ai sensi di detta norma, ad applicare – anche ai fini della verifica del rispetto del termine a comparire – le norme ordinarie).
5.2.3. Non appare, poi, senza significato rammentare come la giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi con riferimento all’opposizione relativa ad un decreto ingiuntivo relativo a crediti in materia di locazione emesso dal giudice di pace, e muovendo dalla premessa che l’atto introduttivo del giudizio davanti a questo è la citazione ad udienza fissa, abbia ripetutamente affermato, da un lato, che l’opposizione deve essere proposta con citazione e non mediate ricorso, previsto, in generale, per la particolare materia trattata (art. 447 bis c.p.c.), e, dall’altro, che la conversione del ricorso, eventualmente proposto, in citazione è ammissibile, purchè siano rispettati i termini per la notifica stabiliti dall’art. 641 c.p.c. (in tal senso, Cass. 16 novembre 2007, n. 23813, e 30 dicembre 2011, n. 30193).
6. Proseguendo nell’indagine, e posto che nel rito ordinario l’appello si propone con citazione, nel caso in cui l’impugnazione sia stata invece proposta mediante ricorso si ritiene costantemente che la sanatoria sia ammissibile solo se tale atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’art. 325 cod. proc. civ. (ex multis, Cass. 19 novembre 1998, n. 11657, 11 settembre 2008, n. 23412, 25 febbraio 2009, n. 4498, 21 marzo 2011, n. 6412, 10 marzo 2011, n. 5826, 7 giugno 2011, n. 12290, 20 febbraio 2012, n. 2430, 29 febbraio 2012, n. 3058).
6.1. Il principio trova applicazione anche quando l’appello abbia ad oggetto una questione che, ratione materiae, avrebbe dovuto essere trattata in primo grado con il rito del lavoro e che, invece, sia stata assoggettata a rito ordinario. Anche in questo caso, infatti, l’appello proposto mediante ricorso in tanto è ritenuto ammissibile in quanto tale atto sia stato non solo depositato in cancelleria, ma tempestivamente notificato alla controparte a norma degli artt. 325 e 327 cod. proc. civ. (tra le molte conformi, Cass. 28 marzo 1990, n. 2543, 9 marzo 1991, n. 2518, 2 agosto 1997, n. 7173, 7 giugno 2000, n. 7672).
6.1.1. Specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, la giurisprudenza di questa Corte costantemente ritiene ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta mediante citazione purchè questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (così, tra le altre, Cass. ss.uu. 3 maggio 1991, n. 4876, nonchè Cass. 1 dicembre 1994, n. 10251, 26 ottobre 2000, n. 14100, 1 febbraio 2001, n. 1396, 12 marzo 2004, n. 5150, 20 luglio 2004, n. 13422, 22 luglio 2004, n. 13660, 18 aprile 2006, n. 8947, 10 agosto 2007, n. 17645, 22 aprile 2010, n. 9530, 13 ottobre 2011, n. 21161).
6.1.2. Il principio trova applicazione anche con riferimento alle opposizioni proposte avverso provvedimenti giudiziari.
Con riferimento alle opposizioni proposte mediante ricorso invece che con citazione, la possibilità di sanatoria è stata costantemente riconosciuta sempre che la notificazione dell’atto alla controparte sia avvenuta nel termine perentorio fissato per proporre impugnazione: espressione di detto orientamento, la sentenza del 12 marzo 1980, n. 1661 (in tema di opposizione proposta avverso il decreto del pretore emesso ai sensi dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori anteriormente all’entrata in vigore della L. 8 novembre 1977, n. 847, che ha disposto l’applicabilità in materia del rito del lavoro).
6.2. A diversa soluzione sono peraltro pervenute queste stesse sezioni unite in tema di sanatoria dell’impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale.
Con la sentenza del 14 aprile 2011, n. 8491, difatti, precisato che l’impugnazione delle delibere condominiali si propone con citazione, e non con ricorso – come prevalentemente opinato dalla giurisprudenza di questa Corte -, il problema dell’ammissibilità della sanatoria dell’impugnazione spiegata a mezzo di ricorso è stato risolto ritenendo che questo può essere considerato tempestivo anche all’esito del semplice deposito in cancelleria nel termine perentorio previsto dalla legge, restando così irrilevante la circostanza che la notificazione dell’atto avvenga in un momento successivo.
6.2.1. In motivazione, è specificato come la questione della conversione si ponesse in termini inversi rispetto a quelli consueti, trattandosi di stabilire se la domanda di annullamento di una deliberazione condominiale, proposta impropriamente con ricorso anzichè con citazione, possa essere ritenuta valida, e se, a questo fine, sia sufficiente che entro i trenta giorni stabiliti dall’art. 1137 c.c., l’atto venga presentato al giudice, e non anche notificato.
6.2.2. A entrambi i quesiti questa Corte ha offerto risposta affermativa, opinando che l’adozione della forma del ricorso non escluda l’idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in cancelleria, mentre “estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine non risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre grava l’attore di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall’ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione”.
6.2.3. Nella sentenza si da atto, infine, di un precedente orientamento giurisprudenziale il quale, pur affermando che l’impugnazione delle delibere condominiali andrebbe spiegata con ricorso, riteneva sufficiente, ai fini della sanatoria della stessa, irritualmente proposta con citazione, la sola tempestiva notificazione di questo atto, ed irrilevante invece il suo deposito in cancelleria, e si rileva che detto indirizzo si poneva in dissonanza con l’orientamento consolidato nelle materie del lavoro dipendente, della separazione personale tra coniugi, della cessazione degli effetti civili e dello scioglimento del matrimonio nonchè delle locazioni, secondo cui la sanatoria della instaurazione dei giudizi mediante citazione, quando è stabilita la forma del ricorso, è possibile esclusivamente se nel termine di legge l’atto sia stato non soltanto notificato, ma anche depositato in cancelleria.
6.3. Appare utile rammentare come la dottrina che si è pronunciata sul principio dianzi indicato, dopo aver manifestato non poche perplessità di tipo sistematico rispetto alla soluzione adottata (in particolare, quella secondo cui, a rigore, lo scopo della citazione, ossia il risultato materiale a cui quest’ultima è preordinata ex lege, si realizzerebbe con la notifica alla controparte, laddove il mero deposito è inadeguato a costituire il rapporto processuale, onde la discutibilità dell’affermazione secondo cui la notifica nei termini non soddisferebbe alcun interesse del convenuto, in quanto, ove si impieghi lo strumento del ricorso, la contestazione della regolarità della delibera, di fatto, potrebbe pervenire a conoscenza del condominio medesimo solo dopo che la stessa ha avuto completa attuazione, laddove, optando per la forma della citazione, il condominio è in grado di conoscere tempestivamente l’esatta portata delle censure avanzate con essa, al fine anche di adottare le consequenziali opportune statuizioni a tutela degli interessi della collettività), e dopo aver osservato che l’orientamento prevalente fino alla sentenza era nel senso che l’impugnazione avverso le delibere condominiali dovesse essere proposta con ricorso, ha poi ritenuto che la soluzione adottata fosse, ratione materiae, “ispirata al buon senso pratico” e volta a fini lato sensu conservativi, onde evitare che una diversa opzione ermeneutica provocasse effetti “indesiderati” sui giudizi di impugnazione delle delibere condominiali pendenti.
7. A giudizio del collegio, il principio affermato dalla sentenza n. 8491 del 2011 non appare idoneo a legittimarne applicazioni diverse da quelle, affatto specifiche, per le quali venne pronunciato.
7.1. Premesso che l’impugnazione della delibera condominiale deve essere proposta con atto di citazione, secondo la regola generale dell’art. 163 c.p.c., la soluzione accolta in quella pronuncia risulta, difatti, ispirata, sul piano funzionale (alla luce dei principi del giusto processo e dell’affidamento in buona fede su prassi interpretative processuali consolidate, come riconosciuto da questa corte con la sentenza n. 15144 del 2011), dall’intento di evitare conseguenze pregiudizievoli, sul piano delle preclusioni processuali, alle impugnazioni proposte sotto forma di ricorso.
7.2. Sotto un profilo più squisitamente morfologico, va ancora osservato, nell’ipotesi ex art. 1137 c.c., da un lato, che, ancorchè strutturata come impugnazione, la domanda del condomino è pur sempre rivolta ad ottenere l’annullamento di una delibera dotata di efficacia esecutiva – onde il precipuo interesse dell’attore a veder instaurato quanto prima il contraddittorio, anche al fine di poter ottenere dal giudice l’inibitoria di cui al comma 2; dall’altro, che la imposizione del termine di cui all’art. 1137 c.c., comma 3, risponde esclusivamente ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia non sottratta alla disponibilità delle parti – tant’è che (diversamente da quanto avviene in caso di inosservanza dei termini per la proposizione dell’appello o di altri mezzi di impugnazione di pronunzie giudiziali, che rispondono ad interessi di carattere pubblicistici) l’inosservanza del termine decadenziale in questione non è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma può essere eccepita, appunto, solo (e tempestivamente) dal condominio convenuto.
7.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che il suddetto principio non possa trovare alcuna, più generale applicazione al di fuori del territorio delle delibere condominiali, apparendo del tutto indubitabile che, per valutare la tempestività di una impugnazione da proporsi con atto di citazione, occorra fare riferimento alla data di notifica dell’atto e non alla data del suo deposito nella cancelleria del giudice ad quem, di talchè la forma del ricorso non potrebbe mai considerarsi, in quanto tale, idonea al raggiungimento dello scopo dell’atto di citazione, in assenza di uno degli elementi essenziali a tale fine, quale la vocatio in ius.
8. A tanto consegue l’affermazione del principio di diritto secondo cui, ai sensi del disposto della legge 794/1942 (applicabile nella specie ratione temporis), l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile deve essere proposto con atto di citazione, di talchè, se l’opponente abbia introdotto il relativo giudizio con ricorso, la sanatoria del relativo vizio procedurale deve ritenersi ammissibile a condizione che il ricorso venga notificato nel termine indicato nel decreto, analogamente a come si sarebbe dovuto procedere con la citazione.
Il principio di diritto così esposto va poi coniugato (in adesione con quanto correttamente ritenuto da Cass. 1283/1999) con quello, più generale, secondo il quale l’adozione della forma del ricorso in luogo di quella della citazione non determina, peraltro, la nullità (ovvero la inammissibilità) del procedimento di opposizione quando, con la regolare instaurazione del contraddittorio, conseguente alla costituzione della controparte in assenza di eccezione alcuna, sia stato comunque raggiunto lo scopo detratto, in virtù del principio di conversione degli atti processuali nulli di cui all’art. 156 c.p.c..
Alla luce di tali principi, devono essere accolti il primo (sia pur in parte qua, e cioè con riguardo alla prima delle due censure mosse alla sentenza impugnata, essendo stato depositato, nella specie, un ricorso notificato nel termine di cui all’art. 641 c.p.c., e risultando altresì costituita senza eccezioni la parte opposta) e il secondo motivo del ricorso principale (essendo pacificamente di competenza del giudice collegiale e non di quello monocratico la materia de qua, con conseguente nullità degli atti compiuti in sede monocratica), mentre il terzo va rigettato in conseguenza dello speculare accoglimento del ricorso incidentale, ben potendo il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo riguardante crediti per onorari di avvocato essere legittimamente investito, da parte del creditore opposto, della richiesta di rideterminazione degli onorari in applicazione di un criterio che determini un maggior credito per quest’ultimo, alla luce dell’ulteriore principio secondo il quale la quantificazione dell’onorario deve essere determinata sulla base del valore della domanda e non della somma attribuita alla parte vincitrice della sentenza (Cass. ss.uu. 5615/1998; 19014/07; Cass. sez. I 18233/09).
PQM
La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, rigetta il terzo motivo del ricorso principale, cassa nei limiti del predetto accoglimento la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Cassino in altra composizione.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013
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