ISSN 2385-1376
Testo massima
Qualora nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo vengano introdotti con l’opposizione fatti estintivi, modificativi od impeditivi dell’esistenza del credito di cui al decreto verificatisi dopo la sua pronuncia e prima della scadenza del termine per l’opposizione oppure qualora nel corso del giudizio di opposizione vengano introdotti fatti di quella natura verificatisi dopo la proposizione dell’opposizione, nell’ipotesi in cui il debitore non abbia formulato domanda di accertamento della verificazione dei detti fatti (nella quale su di essa vi dovrà essere pronuncia), la pronuncia di inammissibilità dell’opposizione per ragioni di rito, come la tardività o il difetto di procura (nel regime anteriore alla l. n. 69 del 2009), una volta passata in cosa giudicata, non preclude la possibilità di dedurre quei fatti o con azione di accertamento negativo, o se minacciata o iniziata l’esecuzione, sulla base del decreto, rispettivamente con l’opposizione al precetto o con l’opposizione all’esecuzione.
La vertenza esaminata dalla Suprema Corte di Cassazione ha avuto origine con il rigetto da parte del Tribunale di Matera di una opposizione proposta da un Comune avverso l’esecuzione intrapresa in forza di un decreto ingiuntivo ottenuto da una “A.T.I.” – “Associazione temporanea di imprese”.
Con l’opposizione all’esecuzione, il Comune ha eccepito che la creditrice aveva radicato il procedimento esecutivo sulla base di un credito inesistente, poiché l’Amministrazione aveva provveduto al pagamento del proprio debito nelle more dello svolgimento del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. L’ente territoriale ha inoltre contestato il fatto che la creditrice non aveva né abbandonato il giudizio né rappresentato al giudice dell’opposizione l’avvenuto pagamento del debito, ottenendo così la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo. A sostegno delle proprie ragioni, l’A.T.I. ha invece dedotto che l’opposizione al decreto ingiuntivo era stata rigettata con sentenza pronunciata dal Tribunale di Matera che l’aveva dichiarata inammissibile per difetto dello jus postulandi del difensore costituito nell’interesse dell’opponente con conseguente passaggio in cosa giudicata del decreto ingiuntivo poi azionato in via esecutiva. Il Tribunale di Matera ha rigettato l’opposizione all’esecuzione sulla base del fatto che i pagamenti risultavano anteriori alla formazione del titolo esecutivo per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo. La Corte di Appello di Potenza ha successivamente rigettato l’appello proposto dal Comune, confermando la tesi – già sostenuta dal Giudice di primo grado – secondo cui i pagamenti effettuati dall’ente non avrebbero potuto farsi valere nel giudizio di opposizione all’esecuzione, essendo intervenuti prima della formazione del giudicato del decreto ingiuntivo. Detti pagamenti avrebbero indi dovuto essere contestati nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Il Comune ha proposto ricorso per cassazione, deducendo in particolare la violazione dell’art. 653 cpc e dell’art. 2909 cc.
In considerazione del fatto che la pronuncia di rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo non si sostituisce – ai sensi dell’art. 653 cpc – come titolo esecutivo al provvedimento monitorio, il ricorrente ha eccepito che il decreto stesso avrebbe dovuto essere qualificato come non opposto, poiché l’opposizione era stata dichiarata inammissibile. Secondo quanto sostenuto dal Comune, la cosa giudicata avrebbe pertanto dovuto formarsi alla data della pronuncia del decreto ingiuntivo o al più tardi al momento in cui era scaduto il termine per proporre opposizione. I pagamenti, invero, erano stati effettuati dopo che era oramai scaduto il termine per proporre opposizione, per cui non potevano ritenersi coperti dalla formazione del giudicato, potendo essere legittimamente dedotti con l’opposizione all’esecuzione. In termini analoghi, il ricorrente ha sostenuto che l’eccezione di avvenuto pagamento avrebbe potuto essere contestata con l’opposizione all’esecuzione, sebbene i versamenti fossero stati eseguiti dopo la definitività del decreto ingiuntivo per mancanza di opposizione. Il ricorrente ha dunque contestato la decisione assunta dai Giudici di merito, i quali avevano erroneamente ritenuto di applicare il principio in forza del quale con l’opposizione all’esecuzione non possono farsi valere i fatti anteriori alla formazione del titolo esecutivo, perché, così facendo, era stata identificata la formazione del titolo posto alla base dell’esecuzione con il momento della pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità dell’opposizione.
Con una articolata motivazione, la Cassazione ha ritenuto fondati i motivi di impugnazione formulati dal ricorrente.
I Giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato che la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo intervenuta quindi per ragioni di rito determina come conseguenza il non aver messo in discussione l’accertamento del credito avvenuto inaudita altera parte con il provvedimento monitorio. La declaratoria di inammissibilità preclude infatti la possibilità di esaminare le ragioni poste a fondamento dell’opposizione al decreto ingiuntivo. I motivi di opposizione possono racchiudere sia fatti già esistenti al momento della pronuncia del decreto ingiuntivo sia fatti sopravvenuti rispetto all’emanazione del provvedimento monitorio, sino alla scadenza per proporre l’opposizione. Con riferimento alle preclusioni derivanti dalla riferita declaratoria di inammissibilità, la Cassazione ha tuttavia ritenuto che la questione possa porsi in termini diversi nel momento in cui si ammetta o meno la possibilità di ottenere l’esame dei fatti in una sede differente rispetto a quella dell’opposizione a decreto ingiuntivo quale è l’opposizione all’esecuzione.
I Giudici di legittimità hanno osservato che la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo determina indubbiamente la formazione della cosa giudicata sul provvedimento, in quanto l’oggetto del giudizio è rappresentato dal riconoscimento dell’esistenza della ragione creditoria al momento della pronuncia del decreto stesso. Deve pertanto ritenersi preclusa in detto contesto – la possibilità di porre in discussione in altra sede anche con l’opposizione all’esecuzione l’esistenza della ragione creditoria attraverso il ricorso a fatti esistenti al momento della pronuncia del provvedimento monitorio, giacché detti fatti avrebbero dovuto essere dedotti con l’opposizione al decreto ingiuntivo. I fatti estintivi, impeditivi o modificativi della situazione creditoria riconosciuta nel decreto ingiuntivo verificatisi dopo la pronuncia del provvedimento monitorio e nelle more del decorso del termine per proporre opposizione vanno invece proposti con l’opposizione.
Nel caso invece in cui il debitore si trovi nella condizione di non avere ragioni di contestazione del credito nel momento in cui è stato emesso il provvedimento monitorio, ma possa soltanto eccepire fatti estintivi, modificativi od impeditivi sopravvenuti, la Cassazione ha evidenziato comel’opposizione al decreto ingiuntivo non rappresenti il mezzo con cui far valere detti fatti allorché il creditore non concordi sulla loro verificazione.
I Giudici di legittimità affermano, infatti, che l’opposizione al decreto ingiuntivo serve ad impugnare la pronuncia che accerta l’esistenza del credito contestato dal debitore.
Ci si deve invece porre in una prospettiva differente laddove i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito si verifichino in un momento successivo rispetto alla pronuncia del decreto ingiuntivo ed il creditore sollevi nel merito delle contestazioni durante o dopo la scadenza del termine per proporre opposizione contro il provvedimento monitorio.
Sul punto, la Cassazione ha innanzitutto chiarito che il debitore possa, ma non sia obbligato, ad utilizzare lo strumento dell’opposizione al decreto ingiuntivo, al fine di dedurre fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del provvedimento e nelle more della pendenza del termine, nel caso in cui detti fatti siano stati contestati dal creditore prima della scadenza per proporre opposizione. Se tuttavia il termine è scaduto, il debitore ha la possibilità di esperire l’azione di accertamento negativo dell’esistenza del credito, potendo far valere i fatti sopravvenuti. In questo caso, il creditore non ha la possibilità di opporre al debitore la formazione del giudicato derivante dalla mancata proposizione dell’opposizione al decreto ingiuntivo. La formazione della cosa giudicata impedirebbe difatti soltanto la facoltà di dedurre i fatti esistenti al momento della pronuncia del decreto ingiuntivo in quanto incompatibili con l’accertamento contenuto nel provvedimento monitorio divenuto irretrattabile. Se invece il creditore scaduto oramai il termine per proporre l’opposizione contro il decreto ingiuntivo abbia manifestato la propria pretesa o attraverso la notifica del precetto o con l’avvio di una procedura esecutiva – per effetto della concessione della esecutorietà del decreto per mancata opposizione ex art. 647 cpc – il debitore ha, comunque, la possibilità di far valere i fatti successivi alla pronuncia del provvedimento monitorio. Il debitore è difatti legittimato – in questo caso – a proporre l’opposizione al precetto o l’opposizione all’esecuzione, senza che si possa sostenere che, essendo l’esecuzione minacciata o iniziata in forza di un titolo esecutivo giudiziale, contro di essa non possano dedursi come motivi di opposizione ragioni che si sarebbero potute dedurre con l’opposizione. Con l’opposizione si devono infatti dedurre soltanto le ragioni di contestazione del credito stabilito nel decreto ingiuntivo esistenti al momento della pronuncia del provvedimento monitorio.
Con riferimento alle contestazioni formulate dal creditore in merito ai fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito consacrato nel decreto ingiuntivo verificatisi durante la pendenza del termine per proporre l’opposizione ed eccepite dopo la sua scadenza, la Cassazione ha evidenziato che il debitore possa proporre l’azione di accertamento negativo oppure l’opposizione al precetto o all’esecuzione nel caso in cui venga minacciata od iniziata l’esecuzione forzata. La formazione della cosa giudicata sul decreto ingiuntivo non può anche in detto contesto precludere al debitore di poter allegare i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito, poiché essi non sono accertati dal provvedimento monitorio né vi è l’interesse a eccepirli con l’opposizione.
Il debitore ha analogamente la possibilità di proporre l’azione di accertamento negativo o l’opposizione al precetto o all’esecuzione anche nel caso in cui i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito si siano verificati dopo la scadenza del termine per l’opposizione al decreto ingiuntivo senza che questa sia stata radicata, laddove sorgano contestazioni da parte del creditore.
Alla luce della ricostruzione in diritto sopra richiamata, la Cassazione si è a questo punto interrogata in merito al caso in cui il debitore abbia azionato l’opposizione al decreto ingiuntivo al fine di far valere ragioni di contestazione esistenti al momento in cui è intervenuta la pronuncia del provvedimento monitorio o fatti verificatisi prima o dopo la scadenza del termine per proporre opposizione.
Nel momento in cui è stata proposta l’opposizione al decreto ingiuntivo, i Giudici di legittimità hanno innanzitutto sottolineato che i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito riconosciuto nel provvedimento monitorio verificatisi dopo la scadenza del termine debbono essere fatti valere nel giudizio di opposizione senza che ciò comporti l’insorgere di preclusioni con riferimento alla contestazione dei fatti sopravvenuti.
La Cassazione ha pertanto ritenuto che i fatti sopravvenuti alla proposizione dell’opposizione al decreto ingiuntivo debbono essere contestati nel giudizio di opposizione in caso di sua pendenza, restando escluso che il debitore li possa dedurre con altro mezzo sia esso l’azione di accertamento negativo o l’opposizione al precetto o all’esecuzione.
Quando invece l’opposizione sia stata messa in decisione o risulti pendente il termine per l’impugnazione della sentenza che l’ha decisa o l’opposizione si trovi in sede di impugnazione, la Cassazione ha ritenuto che in presenza di fatti sopravvenuti – siano esperibili i rimedi dell’opposizione al precetto o all’esecuzione dal momento che non sono applicabili i rimedi previsti dall’art. 283 cpc ed art. 373 cpc
Per quanto concerne invece l’esito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo rispetto ai fatti estintivi, modificativi o impeditivi verificatisi dopo la sua proposizione sia che siano stati introdotti o meno dall’opponente, i Giudici di legittimità hanno evidenziato che il debitore non potrà far valere detti fatti in altra sede con appunto l’opposizione al precetto o all’esecuzione – nel caso di rigetto dell’opposizione per effetto dell’efficacia preclusiva derivante da una pronuncia di merito.
Se i fatti sono stati introdotti nel giudizio di opposizione, questi sono stati valutati dal Giudice del merito e quindi il debitore avrebbe dovuto reagire impugnando la pronuncia di rigetto. Qualora i fatti non sono stati introdotti, questi avrebbero dovuto essere necessariamente allegati nel giudizio di opposizione, così che il giudicato di rigetto copre il dedotto ed il deducibile, impedendo al debitore di farli valere in altra sede.
Nel caso invece in cui l’opposizione al decreto ingiuntivo è stata definita con una pronuncia di rito e più precisamente, coma nel caso di specie, con una declaratoria di inammissibilità, la Cassazione ha evidenziato che il giudice dell’opposizione è tenuto a provvedere sulla domanda del debitore laddove siano stati allegati fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del provvedimento monitorio a prescindere dalla ritualità dell’opposizione stessa così come contestata dal creditore o d’ufficio dal giudicante.
Il Giudice dell’opposizione è infatti comunque tenuto a provvedere sulla domanda di accertamento dando luogo ad una pronuncia di accertamento positivo o negativo dell’esistenza del credito in forza ai fatti sopravvenuti dedotti dal debitore.
La Cassazione ha tuttavia evidenziato che normalmente il debitore si limita ad introdurre i fatti sopravvenuti alla pronuncia del decreto ingiuntivo come fatti rilevanti per la decisione sull’opposizione senza proporre quindi la domanda di accertamento del credito per il caso dell’inammissibilità dell’opposizione.
Il Giudice del merito si limita in questo caso a pronunciare la declaratoria di inammissibilità, ad esempio nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta tardivamente o per difetto dello jus postulandi del difensore, senza entrare nel merito dell’esistenza dei fatti estintivi, modificativi o impeditivi sopravvenuti alla pronuncia del decreto ingiuntivo.
Con la pronuncia di rito diviene pertanto incontestabile l’accertamento del modo di essere della situazione creditoria esposta nel decreto ingiuntivo con conseguente riconoscimento dell’esistenza del credito al momento della pronuncia del provvedimento monitorio.
La cosa giudicata che si viene a formare sul decreto ingiuntivo attiene, pertanto, sia alla ragione di rito sia alla situazione di merito, non potendo essere posto in discussione quanto disposto nel provvedimento monitorio per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione.
La Cassazione ha tuttavia sottolineato che il giudicato emergente dal decreto non può però riguardare i fatti estintivi, modificativi e impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del provvedimento monitorio.
Si tratta di fatti che non avrebbero potuto essere accertati né positivamente né negativamente quantunque fossero stati dedotti nel giudizio di opposizione per effetto della pronuncia di rito.
I Giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto che i fatti estintivi, modificativi e impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del decreto ingiuntivo non possono dirsi coperti dal giudicato derivante dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione.
La cosa giudicata coprirebbe invero soltanto i fatti esistenti al momento della pronuncia del decreto ingiuntivo.
Ne consegue pertanto che il debitore può dirsi legittimato a far valere i fatti estintivi, modificativi e impeditivi successivi alla pronuncia del decreto ingiuntivo attraverso l’opposizione al precetto o all’opposizione all’esecuzione, qualora il creditore minacci o inizi l’esecuzione per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione.
Nel caso di specie, l’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo aveva infatti determinato il formarsi della cosa giudicata soltanto sull’esistenza del credito al momento della pronuncia del provvedimento e non al momento del passaggio in giudicato della sentenza con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione.
Il fatto estintivo del credito verificatosi nel giudizio di opposizione poteva essere dedotto con l’opposizione all’esecuzione ed avrebbe pertanto potuto e dovuto essere considerato dai Giudici di merito.
I Giudici di legittimità, poi, hanno rilevato che esistevano, pertanto, i presupposti per decidere nel merito la questione con l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione poiché la sentenza impugnata affermava che effettivamente il pagamento dei crediti era avvenuto in corso di giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e non poteva darsi rilievo alla preclusione derivante dalla formazione del giudicato.
La Cassazione, quindi, ha accolto l’opposizione all’esecuzione ed ha dichiarato inesistente il diritto di procedere con l’esecuzione forzata.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11559/2008 proposto da:
COMUNE DI MONTALBANO JONICO (OMISSIS), in persona del sindaco pro tempore prof. L.G., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in 75025 POLICORO, VIA RESIA 3;
– ricorrente –
contro
IMPRESA INDIVIDUALE T.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 7, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO DELLA S. S.R.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 136/2007 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 12/04/2007, R.G.N. 70/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
p.1. Il Comune di Montalbano Jonico ha proposto ricorso per cassazione contro il Fallimento della S.s.r.l. e l’Impresa T.V. avverso la sentenza del 12 aprile 2007, con la quale la Corte d’Appello di Potenza ha rigettato l’appello da esso ricorrente proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Matera, Sezione Distaccata di Pisticci, aveva rigettato l’opposizione proposta nel settembre del 1999 dal Comune avverso l’esecuzione forzata promossa nei suoi confronti dall’Associazione temporanea di Imprese S. s.r.l. – T.V. sulla base di un decreto ingiuntivo emesso nel novembre del 1995.
A sostegno dell’opposizione il Comune aveva dedotto che, nelle more dello svolgimento del giudizio di opposizione al detto decreto ingiuntivo, aveva provveduto a saldare il proprio debito con due pagamenti, onde la creditrice procedeva all’esecuzione sulla base di un credito non più esistente.
Resistendo all’opposizione, l’A.T.I. opposta deduceva che l’opposizione al decreto ingiuntivo era stata rigettata con sentenza del 16 agosto 1999 dal Tribunale di Matera, che l’aveva dichiarata inammissibile per difetto di jus postulandi del difensore costituito per l’opponente, di modo che il decreto ingiuntivo era passato in cosa giudicata.
p.2. Il Tribunale di Matera, Sezione Distaccata di Pisticci, rigettava l’opposizione all’esecuzione, in quanto i pretesi pagamenti erano anteriori alla formazione del titolo esecutivo per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione al decreto.
p.3. Con la sentenza qui impugnata, nella contumacia del Fallimento S. e nella costituzione dell’Impresa T.V. (evidentemente essendosi sciolta l’A.T.I.), la Corte d’Appello di Potenza rigettava l’appello, nuovamente confermando che i pretesi pagamenti, in quanto avvenuti prima della formazione del giudicato, non potevano farsi valere nel giudizio di opposizione all’esecuzione, in quanto si sarebbero dovuti far valere nel giudizio di opposizione al decreto.
p.4. Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto l’Impresa T.V..
Motivi della decisione
p.1. Con il PRIMO MOTIVO di ricorso si deduce “violazione di legge – art. 653 c.p.c., art. 2909 c.c.”.
Vi si sostiene: che, una volta proposta opposizione al decreto ingiuntivo dell’8 novembre 1995, notificato il 16 novembre 1995, il Comune ricorrente, dopo uno storno da parte della creditrice della fattura posta a base del decreto e l’emissione di due nuove fatture, aveva eseguito il pagamento in due soluzioni nel giugno 1996, emettendo i relativi mandati di pagamento; che la creditrice non aveva, però, abbandonato il giudizio ed anzi, senza far constare al giudice dell’opposizione il pagamento ed in una situazione in cui il difensore del Comune aveva rinunciato al suo ministero difensionale, in data 21 gennaio 1999 aveva anzi chiesto ed ottenuto la concessione della provvisoria esecutività, sulla base della quale aveva poi precettato il pagamento della somma ingiunta nel decreto; che successivamente l’opposizione al decreto era stata dichiarata inammissibile per difetto del jus postulandi del difensore comunale e la controparte aveva dato corso all’esecuzione sulla base della concessione della provvisoria esecutività.
Sulla base di questo svolgimento della vicenda il ricorrente argomenta, quindi, che, poichè la pronuncia di rigetto dell’opposizione non si sostituisce come titolo esecutivo al decreto, giusta l’art. 653 c.p.c., e, nella specie, l’opposizione era stata dichiarata inammissibile, il decreto stesso sarebbe stato da considerarsi come non opposto e, dunque, il giudicato si sarebbe formato alla data della sua pronuncia o al più al momento in cui era scaduto il termine per la proposizione dell’opposizione, onde i pagamenti effettuati, in quanto avvenuti dopo quel momento non si sarebbero potuti considerare da esso coperti, al contrario di quanto hanno ritenuto sia il primo che il secondo giudice, e si sarebbero potuti dedurre con l’opposizione all’esecuzione. Ciò non diversamente da quanto sarebbe accaduto se essi fossero stati eseguiti dopo la definitività del decreto per mancanza di opposizione.
Viceversa, la sentenza impugnata, pur avendo riconosciuto la verificazione dei detti pagamenti ha rifiutato di dare loro rilievo reputando di applicare il principio per cui con l’opposizione all’esecuzione non possono farsi valere i fatti anteriori alla formazione del titolo, così sostanzialmente identificando la formazione del titolo posto a base dell’esecuzione con il momento della pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità dell’opposizione.
p.2. Il motivo è fondato, anche se sulla base di un percorso in iure, che la Corte può compiere nell’ambito del suo potere di individuare l’esatto diritto applicabile in relazione alla questione proposta dal motivo.
In proposito viene in rilievo il seguente principio di diritto: “In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell’art. 384 c.p.c., (là dove consente la salvezza dell’assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso), deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto”. (Cass. n. 19132 del 2005; n. 6935 del 2007; n. 20328 del 2006; n. 24183 del 2006; n. 4994 del 2008; n. 10841 del 2011).
p.2.1. Va premesso innanzitutto che, quando un’opposizione a decreto ingiuntivo viene dichiarata inammissibile la formazione della cosa giudicata in senso formale e, quindi, l’effetto preclusivo della possibilità di mettere ulteriormente in discussione la situazione giuridica riconosciuta dal decreto ingiuntivo, si verifica allorquando la relativa sentenza passa in cosa giudicata, non è cioè più impugnabile con i mezzi ordinali.
Problema distinto è, invece, ricostruire l’oggetto di tale effetto preclusivo particolarmente riguardo ai suoi riferimenti temporali, cioè rispetto alle vicende del credito riconosciuto nel decreto ingiuntivo che diventano irretrattabili. Cioè, in definitiva, individuare l’ambito temporale con riguardo al quale il modo di essere della situazione creditoria risulta accertato.
p.2.2. Una prima risposta a tale problema potrebbe essere data facendo coincidere tale momento temporale con quello della formazione della cosa giudicata formale.
Una simile risposta potrebbe apparire giustificata per la ragione che, essendo stata la situazione creditoria dedotta nel giudizio di opposizione, tutte le vicende che l’hanno riguardata dovevano esservi dedotte e, dunque, l’esito dell’opposizione, pur nel senso della sua inammissibilità e, quindi, di una pronuncia di rito, definirebbe la vicenda con riguardo ad esse e, dunque, tanto se siano state, quanto se non siano state dedotte, purchè esse si collochino prima della formazione del giudicato formale. Con la conseguenza che per tutte non sarebbe più possibile prospettarle nuovamente per mettere in discussione la situazione creditoria.
Nessuna rilevanza avrebbe la circostanza che l’accertamento espresso nella pronuncia che definisce l’opposizione sia in realtà una pronuncia di rito, qual è quella che ha dichiarato inammissibile l’opposizione, come, ad esempio, per la sua tardività oppure, come accaduto nella specie, per essersi ravvisata una ragione di sua nullità per difetto di procura alle liti e, quindi, la conseguenza della inammissibilità in via derivata.
p.2.2. Una seconda risposta, viceversa, potrebbe darsi invece valorizzando, agli effetti della individuazione dell’oggetto del giudicato sostanziale sulla situazione giuridica sotto il profilo temporale e, quindi, del modo di essere in cui essa risulti accertata per effetto dell’inammissibilità dell’opposizione, la natura in rito della pronuncia di inammissibilità dell’opposizione.
Cioè rilevando che essa si limita ad attestare che l’esercizio del potere di contestare l’accertamento sommario contenuto nel decreto ingiuntivo, che, necessariamente era riferito al momento della pronuncia da parte del giudice del decreto, non è avvenuto nell’unico modo consentito dall’ordinamento.
Ne seguirebbe che l’oggetto del giudicato sostanziale sotto il profilo temporale dovrebbe essere limitato al momento della pronuncia del decreto, con la conseguente possibilità che, nonostante il passaggio in cosa giudicata formale della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, resterebbero deducibili da parte del debitore i fatti estintivi, modificativi od impeditivi del modo di essere dei fatti costitutivi della situazione creditoria, che si fossero eventualmente verificati dopo la pronuncia del decreto ingiuntivo. Salvo individuare la sede in ci la deduzione possa avvenire.
p.2.3. Si tratta di individuare quale sia la soluzione corretta, se la prima o la seconda.
In termini meramente descrittivi, è certamente vero in primo luogo che la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, definendo l’opposizione stessa per una ragione di rito che accerta che come rimedio essa non è stata ritualmente esperita, comporta che il giudice dell’opposizione accerti che non è stato messo in discussione l’accertamento del credito avvenuto inaudita parte con il decreto, in quanto il mezzo di impugnazione con cui lo si poteva fare è stato proposto in modo inammissibile.
E’ anche certamente vero che detta declaratoria si risolve nella preclusione dell’esame delle ragioni poste a fondamento dell’opposizione, fra le quali, evidentemente, vi possono essere sia i fatti che esistevano già al momento della pronuncia del decreto stesso (e che la mancanza del contraddittorio ha impedito fossero fatti constare al giudice richiesto di pronunciare il decreto), sia i fatti sopravvenuti dopo di essa e fino alla scadenza del termine per l’opposizione.
Questione diversa è, però, se detta preclusione impedisca per gli uni e per gli altri la possibilità di ottenerne l’esame in altra sede, eventualmente facendoli valere con l’opposizione all’esecuzione iniziata sulla base del decreto.
p.2.4. Ora, non è certamente dubitabile che, risolvendosi la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione nella sanzione del mancato esercizio del potere riconosciuto dall’ordinamento di reagire contro il decreto e nella conseguenza della formazione della cosa giudicata sul decreto, poichè l’oggetto del giudizio espresso nel decreto è il riconoscimento dell’esistenza della ragione creditoria al momento della pronuncia del decreto stesso, risulterà impedito dalla cosa giudicata la possibilità di porre in discussione altrove e, quindi, anche con l’opposizione all’esecuzione introdotta sulla base del decreto, l’esistenza della ragione creditoria sulla base di fatti che, esistendo già al momento della pronuncia del decreto ingiuntivo, dovevano necessariamente essere dedotti con il mezzo di impugnazione prescritto, cioè con l’opposizione.
p.2.5. Rispetto ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi della situazione creditoria riconosciuta nel decreto ingiuntivo che si siano verificati dopo la sua pronuncia e nelle more del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione, è indubbio che quest’ultima, quando viene proposta, dando luogo, pur congiuntamente all’attivazione di un giudizio impugnatorio del decreto (che concerne l’accertamento da esso effettuato al momento della pronuncia), allo svolgimento sulla situazione creditoria fatta valere con il ricorso monitorio di un ordinario processo di cognizione piena con il ripristino delle regole processuali ordinarie (Cass. sez. un. n. 7448 del 1993, nonchè dottrina pressochè unanime), costituisce una sede nella quale detti fatti possono ed anzi debbono certamente farsi valere, eventualmente in aggiunta a fatti estintivi, modificativi od impeditivi della fattispecie costitutiva del credito prospettati come esistenti al momento della sua pronuncia e che, dunque, ove fondati, evidenziano l’illegittimità del decreto già al momento della sua emissione.
Viceversa, poichè l’opposizione serve innanzitutto per impugnare il decreto come pronuncia che accerta l’esistenza del credito e contestare l’esistenza del credito in quanto in essa consacrata e, dunque, al momento in cui il decreto è stato pronunciato, non si può ritenere che, ove il debitore ingiunto si trovi nella condizione di non avere ragioni di contestazione del credito con riferimento al momento in cui il decreto è stato emesso, ma ne abbia solo con riferimento a fatti estintivi, modificativi od impeditivi sopravvenuti, l’opposizione sia il mezzo necessario per farli valere se il creditore non concordi sulla loro verificazione.
Per esemplificare: se il debitore, una volta notificatogli il decreto od anche prima della sua notificazione abbia pagato, non è sostenibile che debba proporre l’opposizione al decreto per ottenere che il relativo fatto estintivo sia accertato e deducibile contro l’accertamento contenuto nel decreto.
La ragione è che la deduzione di tale fatto non integra una contestazione del decreto e, dunque, non giustifica l’opposizione come mezzo previsto per la sua impugnazione, ma suppone che il decreto fosse stato giustamente emesso al momento in cui è stato pronunciato.
Ne segue che il debitore non sarà onerato dell’opposizione ove abbia da far valere solo detti fatti, atteso che costringerlo a proporla non solo significherebbe imporgli un onere di proposizione dell’opposizione senza che vi abbia interesse, allorquando il creditore non contesti in alcun modo che la situazione sia stata definita nelle more della pendenza del termine per l’opposizione.
p.2.6. Bisogna invece domandarsi come il debitore, in presenza della verificazione di fatti estintivi, modificativi od impeditivi successivi alla pronuncia del decreto possa e debba reagire, qualora il creditore sollevi contestazioni e lo faccia durante la pendenza del termine per l’opposizione. La stessa domanda va fatta quanto la contestazione viene svolta dopo la scadenza del termine.
Occorre al riguardo distinguere.
p.2.7. Se le contestazioni si sono verificate – caso per la verità difficile, data la ristrettezza del termine per la proposizione dell’opposizione – nelle more della pendenza di tale termine, certamente il potere del debitore di contestare la pretesa del creditore può estrinsecarsi nella proposizione dell’opposizione al decreto, nella quale si potranno dedurre i fatti de quibus. Questa possibilità di utilizzare l’opposizione per dedurre fatti che si sono verificati dopo la sua pronuncia e, dunque, che non hanno carattere impugnatorio di esso, rappresenta una conseguenza necessaria dell’ambito riconosciuto all’opposizione, cioè della sua natura di giudizio nel quale si controverte non solo sulla legittimità della pronuncia del decreto al momento in cui è stata adottato, ma anche sul modo di essere della situazione giuridica successivamente.
Il punto è se l’opposizione sia in tal caso un mezzo necessario.
La risposta dev’essere negativa, perchè l’opposizione è costruita dal legislatore anzitutto come mezzo che dev’essere esperito necessariamente dal debitore per contestare l’accertamento sommario consacrato nel decreto e, dunque, è il profilo impugnatorio che rende necessitata la forma dell’agire del debitore in contestazione della situazione creditoria.
Se tale profilo non ricorre l’opposizione diviene solo il mezzo – non necessario – per provocare la cognizione piena, come un normale giudizio di accertamento negativo dell’esistenza o del modo di essere del credito, sulla base dei fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del decreto.
Si deve, quindi, ritenere che il debitore:
a) possa, ma non debba utilizzare l’opposizione per dedurre fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la pronuncia del decreto e nelle more della pendenza del termine per la sua proposizione, qualora essi siano contestati prima della sua scadenza;
b) in alternativa, ove il termine sia scaduto, possa agire con azione di accertamento negativo dell’esistenza del credito deducendo i fatti sopravvenuti de quibus e ciò senza che il creditore possa opporgli il giudicato nascente dalla mancata proposizione dell’opposizione, perchè esso impedisce di dedurre i fatti esistenti al momento della pronuncia del decreto, in quanto essi sono incompatibili con l’accertamento in esso contenuto, ormai divenuto irretrattabile;
c) ove il creditore, scaduto il termine per l’opposizione al decreto, manifesti la sua pretesa o minacciando l’esecuzione con il precetto o iniziandola (essendosi fatto dichiarare esecutivo il decreto per mancata opposizione ai sensi dell’art. 647 c.p.c.), il mezzo di reazione del debitore per far valere i fatti successivi alla pronuncia del decreto potrà essere rispettivamente l’opposizione al precetto e l’opposizione all’esecuzione e ciò senza che si possa sostenere che, essendo l’esecuzione minacciata o iniziata in forza di titolo esecutivo giudiziale, contro di essa non possano dedursi come motivi di opposizione ragioni che si sarebbero potute dedurre con l’opposizione: la ragione è che quelle ragioni non si dovevano dedurre con l’opposizione, perchè con essa si dovevano dedurre necessariamente ed in defettibilmente solo le ragioni di contestazione del credito consacrato nel decreto esistenti al momento della sua pronuncia.
p.2.8. Si deve per analoghe ragioni reputare che, ove le contestazioni da parte del creditore dei fatti estintivi, modificativi od impeditivi della situazione creditoria accertata nel decreto, verificatisi durante la pendenza del termine per l’opposizione, si siano, poi, avute dopo la scadenza di detto termine, a maggior ragione il debitore potrà reagire contro di esse agendo in azione di accertamento negativo oppure, se il creditore minacci l’esecuzione o la inizi, avendo ottenuto declaratoria di esecutività del decreto ex art. 647 c.p.c., proponendo rispettivamente opposizione al precetto o all’esecuzione e, parimenti, senza che l’efficacia di giudicato del decreto possa precludere di allegare i fatti de quibus: ciò, sempre per la ragione che essi non sono accertati dal decreto e nemmeno vi era interesse a dedurli, cosa peraltro solo facoltativa, con l’opposizione al decreto, giacchè le contestazioni del creditore nemmeno si erano verificate.
p.2.9. Va considerata a questo punto l’ipotesi in cui i fatti estintivi, modificativi od impeditivi della situazione creditoria consacrata nel decreto si siano verificati dopo la scadenza del termine per l’opposizione al decreto ingiuntivo e senza che essa sia stata proposta. Anche in questo caso, ove il creditore ne contesti l’efficacia ed azioni il decreto valgono le stesse soluzioni appena indicate. Il debitore potrà agire in accertamento negativo, oppure con le opposizioni esecutive senza che il giudicato formatosi sul decreto possa essere d’ostacolo alla deducibilità di quei fatti.
p.3. L’ipotesi di cui al paragrafo 2.8. va a questo punto esaminata con riferimento al caso in cui l’opposizione sia stata proposta dal debitore, evidentemente per far valere ragioni di contestazione esistenti al momento della pronuncia del decreto o (facoltativamente, come s’è visto, per queste) verificatesi dopo e prima della scadenza del termine per l’opposizione.
Occorre in tal caso considerare che nel caso in cui un’opposizione al decreto ingiuntivo sia stata proposta, il modo e la sede nella quale possono ed anzi debbono farsi valere fatti estintivi, modificativi, o impeditivi del diritto riconosciuto dal decreto ingiuntivo, che si siano verificati dopo la scadenza del termine di proposizione dell’opposizione, diventa necessariamente il giudizio di opposizione.
La proposizione dell’opposizione, infatti, determina l’apertura di un giudizio di cognizione piena sulla pretesa consacrata nel decreto.
Poichè in un giudizio su una situazione giuridica i fatti sopravvenuti possono essere dedotti e tra l’altro senza incorrere in preclusioni, i fatti sopravvenuti pendente l’opposizione, riguardando la situazione giuridica creditoria oggetto del giudizio di opposizione ed essendo essa oggetto del detto giudizio non solo siccome consacrata al momento della pronuncia del decreto, ma anche nel suo successivo divenire, compreso quello verificatosi durante il giudizio, si deve ritenere che il giudizio di opposizione, almeno finchè pende con la possibilità di allegare i fatti sopravvenuti sia l’unico modo con il quale essi possono farsi valere.
Ciò, è nient’altro che un portato della circostanza che la proposizione dell’opposizione ha determinato una contestazione in giudizio della pretesa consacrata nel titolo e del fatto che, quando una situazione giuridica sostanziale diventa oggetto di discussione in giudizio, la discussione fra le parti la riguarda non solo per quanto attiene ai fatti giuridici ad essa relativi che ne segnavano il modo di essere al momento dell’introduzione del giudizio, ma anche per quel che riguarda quelli che si verifichino con riferimento ad essa nel corso del giudizio. La ragione è che la situazione giuridica è oggetto del giudizio, dell’azione in giudizio, non già siccome cristallizzata al momento dell’inizio dell’azione, ma anche nel suo divenire in corso di esso.
p.3.1. Ne segue che, in pendenza dell’opposizione al decreto, i fatti sopravvenuti alla sua proposizione non possono che farsi valere se non nell’ambito del giudizio di opposizione, restando escluso che il debitore li possa dedurre con altro mezzo e, quindi, con una diversa azione di accertamento negativo o con l’opposizione al precetto o con l’opposizione all’esecuzione. Se si ritenesse altrimenti si consentirebbe al debitore di esercitare lo stesso potere di agire in accertamento negativo due volte, con situazione di litispendenza fra l’opposizione al decreto e l’eventuale azione di accertamento negativo e di continenza rispetto alle opposizioni esecutive (dato che esse hanno anche come petitum l’illegittimità dell’esecuzione minacciata o iniziata). D’altro canto se i fatti si verifichino durante la pendenza dell’opposizione in primo grado, la tutela che con le opposizioni esecutive si potrebbe ottenere in punto di sospensione dell’esecutività del titolo o dell’esecuzione, la si può ottenere ai sensi dell’art. 649 c.p.c.. Il rimedio dell’opposizione all’esecuzione sarà esercitato ove, nonostante la sospensione ex art. 649 c.p.c., il creditore minacci, inizi o prosegua l’esecuzione.
Va considerato che, nel caso l’opposizione sia stata rimessa in decisione oppure penda il termine per l’impugnazione della sentenza che l’ha decisa o l’opposizione si trovi in sede di impugnazione e la sopravvenienza dei fatti si verifichi dopo tali momenti, si può, invece, ammettere che di fronte alla minaccia dell’esecuzione o all’inizio dell’esecuzione sulla base del decreto, il rimedio esperibile siano le opposizioni esecutive al fine di ottenere la sospensione dell’esecutività o dell’esecuzione, dato che i rimedi degli artt. 283 e 373 non sono utilizzabili. E semmai i giudizi oppositivi andranno, poi, sospesi ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c. quanto alla fase a cognizione piena, dato che il diritto di procedere all’esecuzione dipende dall’accertamento che si avrà nel giudizio di opposizione.
p.4. A questo punto ci si deve interrogare sul valore degli esiti del giudizio di opposizione al decreto rispetto ai fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la proposizione dell’opposizione.
L’interrogativo riguarda sia il caso in cui essi siano stati introdotti, sia il caso in cui il debitore abbia omesso di introdurli.
Fermo che, se l’opposizione viene accolta, la situazione è regolata dall’art. 653 c.p.c., e l’ipotesi qui non interessa, occorre domandarsi cosa accada nel caso di rigetto dell’opposizione.
Se l’opposizione viene rigettata con una pronuncia sul merito, cioè che accerti l’esistenza del credito, è palese che l’esistenza del medesimo non potrà essere contestata facendo valere i fatti de quibus altrove (e, quindi, anche con le opposizioni esecutive), tanto se dedotti, quanto se non dedotti nel giudizio di opposizione, perchè nel primo caso evidentemente il loro rilievo è stato valutato o, se si è omesso di valutarlo, occorreva reagire, se impugnabile, contro la pronuncia di rigetto, dolendosi dell’omessa pronuncia, mentre nel secondo caso, tenuto contro che i fatti dovevano necessariamente essere allegati nel giudizio di opposizione, il giudicato di rigetto, una volta formatosi, copre il dedotto ed il deducibile (mentre in sede di impugnazione, ove la sentenza venga impugnata, i fatti che non si erano introdotti non possono più dedursi, per l’operare delle preclusioni).
p.4.1. Se l’opposizione viene invece definita con una pronuncia di rito e, dunque, avendo l’opposizione un profilo impugnatorio, con una pronuncia di inammissibilità dell’opposizione, può presentarsi il caso in cui i fatti sopravvenuti dopo la pronuncia del decreto siano stati non solo dedotti ma anche posti a base di una domanda di accertamento positivo della loro incidenza sul credito, a prescindere dalla ritualità dell’opposizione, in ipotesi contestata dal creditore o dal giudice ufficio.
In tal caso la situazione sarà risolta perchè il giudice dell’opposizione che dichiari inammissibile l’opposizione dovrà provvedere su detta domanda, con la conseguenza che avrà luogo una pronuncia di accertamento positivo o negativo dell’esistenza del credito in forza di essi.
p.4.2. Di norma, tuttavia, il debitore opponente si limita ad introdurre i fatti sopravvenuti alla pronuncia del decreto come fatti rilevanti per la decisione sull’opposizione, cioè senza proporre domanda di accertamento del modo di essere della situazione creditoria per il caso di inammissibilità dell’opposizione.
In tal caso il giudice che rilevi l’inammissibilità dell’opposizione si limita a pronunciare su di essa.
Così, se l’opposizione è stata proposta tardivamente oppure (nel regime dell’art. 182 c.p.c., ante riforma della L. n. 69 del 2009) con procura nulla, come nella specie, la pronuncia si limiterà a dichiarare inammissibile l’opposizione, senza esaminare l’esistenza dei fatti estintivi, modificativi od impeditivi sopravvenuti alla pronuncia.
Ebbene, poichè la pronuncia ha natura di rito e si limita a dichiarare che il mezzo di reazione contro il decreto, cioè contro la pronuncia di accertamento del credito effettuata dal giudice che lo emise, non è stato esperito in modo rituale, ciò che diviene incontestabile è l’accertamento del modo di essere della situazione creditoria consacrato nel decreto e, dunque, che il credito era esistente a quel momento.
Il giudicato riguarda, cioè, oltre che la ragione di rito, la situazione di merito, ma in ragione di quanto emergente dalla statuizione di rito.
Poichè la statuizione di inammissibilità dell’opposizione implica che non è stato esercitato ritualmente il potere di impugnare il decreto, l’effetto che consegue è che non potrà essere posto in discussione ciò che dispone il decreto e, dunque, avendo esso accertato la situazione creditoria come esistente al momento della sua pronuncia, l’esistenza del credito a tale momento.
Il giudicato emergente dal decreto non potrà riguardare, pertanto, i fatti estintivi, modificativi od impeditivi verificatisi dopo la sua pronuncia, perchè, ancorchè essi fossero stati dedotti nel giudizio di opposizione e fossero stati oggetto di accecamento, non sono stati accertati nè negativamente nè positivamente, essendovi stata pronuncia di rito.
Se si ritenesse altrimenti si attribuirebbe alla pronuncia di rito un’efficacia preclusiva meramente sanzionatoria di un errore in rito che non riguardava l’azione in giudizio riguardo ai fatti sopravvenuti e si avallerebbe un’idea dell’efficacia della pronuncia in rito diversa da quella che regola le pronunce di rito sull’azione esercitata per le vie normali, dove non si dubita che se il processo viene definito con una pronuncia di rito che accerti che fin dall’inizio è stato male introdotto sotto il profilo della legge processuale, il giudicato sulla situazione giuridica sostanziale è insussistente.
Ne segue che la deducibilità dei detti fatti non è coperta dal giudicato derivante dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione al decreto, che preclude al debitore solo di dedurre fatti estintivi, modificativi od impediti esistenti al momento della pronuncia del decreto.
Ne segue ancora che il debitore, a parte la prospettiva di agire in accertamento negativo per ottenere che sia accertata l’estinzione, la modificazione o il venire meno per fatto impeditivo del credito successivamente alla pronuncia del decreto, ove il creditore, conseguita la declaratoria di esecutività ex novo o in forza di una esecutività concessa già nella pendenza dell’opposizione, una volta dichiarata inammissibile l’opposizione e passata in giudicato la relativa decisione, minacci l’esecuzione o la inizi sulla base del decreto ed invocando la declaratoria della sua inammissibilità, il debitore deve ritenersi legittimato a far valere i fatti estintivi, modificativi od impeditivi successivi alla pronuncia del decreto con i rimedi dell’opposizione al precetto e dell’opposizione all’esecuzione. Ciò, in quanto detti fatti non sono in alcun modo coperti dalla combinazione del titolo esecutivo giudiziale rappresentata dal decreto e dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione.
p.4.3. Se si ritenesse altrimenti si precluderebbe al debitore di dedurre tali fatti non già perchè coperti dall’accertamento emergente da tale combinazione, che, come s’è veduto riguarda il credito come era stato accertato al momento della pronuncia del decreto e l’inammissibilità dell’opposizione, bensì come ingiustificata sanzione discendente dall’inammissibilità dell’opposizione.
In definitiva verrebbe ad essere sanzionata l’omessa proposizione della domanda di accertamento del loro verificarsi e l’essere stati essi dedotti solo come eccezioni per resistere alla pretesa creditoria di cui al decreto, ancorchè non esaminata nel merito.
Il che sarebbe del tutto ingiustificato, specie qualora l’irritualità dell’opposizione (per tardività o per difetto di procura) fosse incontestabile.
p.5. Il principio di diritto che in base alle complessive considerazioni svolte allora si deve affermare è il seguente:
“qualora nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo vengano introdotti con l’opposizione fatti estintivi, modificativi od impeditivi dell’esistenza del credito di cui al decreto verificatisi dopo la sua pronuncia e prima della scadenza del termine per l’opposizione oppure qualora nel corso del giudizio di opposizione vengano introdotti fatti di quella natura verificatisi dopo la proposizione dell’opposizione, nell’ipotesi in cui il debitore non abbia formulato domanda di accertamento della verificazione dei detti fatti (nella quale su di essa vi dovrà essere pronuncia), la pronuncia di inammissibilità dell’opposizione per ragioni di rito, come la tardività o il difetto di procura (nel regime anteriore alla L. n. 69 del 2009), una volta passata in cosa giudicata, non preclude la possibilità di dedurre quei fatti o con azione di accertamento negativo o, se sia minacciata o iniziata l’esecuzione sulla base del decreto, rispettivamente con l’opposizione al precetto e con l’opposizione all’esecuzione”.
La stessa conseguenza, rileva il Collegio, si verifica se, nella descritta situazione, il giudizio di opposizione viene dichiarato estinto, perchè l’effetto estintivo riguarda l’opposizione al decreto in quanto ha accertato il credito al momento della sua pronuncia e, per quanto attiene alla prospettazione dei fatti concernenti al situazione giuridica nel corso del processo, esso non estingue il potere di azione.
p.6. Le svolte considerazioni evidenziano a questo punto che il primo motivo dev’essere accolto, in quanto l’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo determinava il formarsi della cosa giudicata solo sull’esistenza del credito al momento della sua pronuncia e non al momento del passaggio in giudicato della sentenza declaratoria di inammissibilità dell’opposizione.
Conseguentemente il fatto estintivo del credito verificatosi nel giudizio di opposizione, che vi era stato introdotto, bene poteva essere dedotto con l’opposizione all’esecuzione ed avrebbe dovuto e potuto considerarsi dai giudici di merito.
D’altro canto parte resistente non ha in alcun modo contestato nel suo controricorso l’affermazione della sentenza, ammesso che non dovesse comunque proporre ricorso incidentale.
Nè ha resistito l’altro soggetto già coinvolto nell’originaria associazione temporanea di imprese.
L’accoglimento del motivo a questo punto evidenzia l’esistenza di una situazione nella quale è possibile decidere nel merito con l’accoglimento dell’opposizione, atteso che nella sentenza impugnata si trova affermato – quale ragione per compensare le spese – che effettivamente il pagamento in corso di giudizio di opposizione era avvenuto e che ad esso non si poteva dare rilievo solo per la (inesistente, come s’è veduto) preclusione del giudicato.
Pronunciando nel merito dell’appello, in accoglimento di esso, dev’essere dunque accolta l’opposizione all’esecuzione e dichiarato inesistente il diritto di procedere all’esecuzione.
p.7. Il secondo motivo a questo punto resta assorbito.
p.8. L’oggettiva incertezza delle questioni esaminate induce a compensare le spese di tutto il giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.
Pronunciando nel merito accoglie l’opposizione e dichiara inesistente il diritto di procedere all’esecuzione. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2014
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Numero Protocolo Interno : 221/2014