ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di ammissione al passivo, la disciplina tanto dell’anticipazione bancaria, quanto del contratto di conto corrente di corrispondenza prevede che, per l’ammissione al passivo del saldo negativo derivante da operazioni di fido (quali aperture di credito, anticipazioni bancarie, sconto o altro) è necessario produrre gli estratti conto che costituiscono l’unico documento idoneo a provare il credito.
Non è sufficiente produrre l’estratto del libro giornale dei crediti in sofferenza, sia pure con attestazione di un notaio sulla regolare vidimazione del libro giornale e sulla conformità alla legge della contabilità della Banca.
Pertanto, laddove i detti estratti vengano prodotti SOLO nella fase di opposizione allo stato passivo la Banca, che vede riconosciuta l’ammissione al passivo non può ottenere la condanna della Curatela al pagamento delle spese di lite avendo dato causa al giudizio di opposizione con la sua produzione tardiva.
Così si è pronunciato il Tribunale di Udine, in persona del giudice relatore dott. Gianfranco Pellizzoni, con decreto ex art.99 LF del 07/12/2012 chiamato a pronunciarsi sulla opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’insinuazione al passivo per mancata allegazione degli estratti conto.
Il Collegio, riconosciuta la legittima esclusione della Banca al passivo del fallimento, la cui ragione di credito era fondata su dei contratti di anticipo all’esportazione che vanno ricondotti nell’alveo dei contratti di anticipazione bancaria regolati in conto corrente, ai sensi del combinato disposto degli artt.1846, 1851 e 1852 cc, con la conseguente necessità di documentazione delle movimentazioni del conto corrente di corrispondenza al fine di determinare il credito vantato dalla banca derivante dal mancato incasso dei titoli costituiti in pegno.
Rilevato che solo nella opposizione ex art.98 l’istituto di credito aveva prodotto gli estratti conto ha così precisato che quando l’opponente venga ammesso al passivo solo sulla base della documentazione prodotta in sede di opposizione, le spese del giudizio non possono gravare sulla curatela, ma devono quantomeno essere compensate, dovendo essere valutata la condotta dell’opponente e la sua eventuale responsabilità nel aver dato causa al giudizio in di opposizione pur se di esito favorevole ad esso opponente (quale nel caso di specie l’aver prodotto la documentazione giustificativa del credito solo nella fase di opposizione).
La “ratio” è quella di evitare che il ritardo nella documentazione del credito possa risolversi in pregiudizio per la massa dei creditori così come previsto per l’insinuazione tardiva al passivo (ricavabile dall’art. 101, ult. comma, legge fall. che regola la materia nel giudizio sulla dichiarazione tardiva di credito, principio in base al quale deve assumersi a criterio del regolamento delle spese il ritardo del creditore, secondo che esso si riveli colpevole o non).
Così pronunciandosi il Tribunale ha confermato quella posizione di terzietà riconosciuta alla Curatela rispetto al fallito a tutela degli interessi della massa al quale la Banca non può opporre gli effetti che dall’approvazione anche tacita del conto e dalla decadenza dalle impugnazioni derivano tra le parti del contratto di conto corrente di corrispondenza non potendo: “assegnare a detti estratti conto il valore probatorio circa la veridicità e l’esistenza del credito che dalla mancata contestazione o impugnazione deriva allorché il rapporto si svolge inter partes. Né la banca potrebbe invocare la norma dell’art. 2710 c.c. in relazione alle risultanze interne dei suoi libri contabili, e ciò per la considerazione che le contestazioni eventualmente insorte in sede di formazione dello stato passivo [
] tra il curatore e il creditore istante non danno luogo né si configurano come una controversia tra imprenditori“.
Testo del provvedimento
TRIBUNALE DI UDINE
Sezione II civile
Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, composto dai signori magistrati:
Dott. Alessandra Bottan Presidente
Dott. Gianfranco Pellizzoni Giudice rel.
Dott. Francesco Venier Giudice
Nel procedimento di opposizione allo stato passivo promosso da
BANCA
Contro
CURATELA del fallimento ALFA in persona del curatore;
ha pronunziato il seguente
DECRETO
ex art. 99 l. fall.
Letti gli atti e sentito il relatore;
rilevato che la BANCA ha proposto opposizione avverso il provvedimento di esclusione dallo stato passivo del suo credito di 213.228,00 relativo ad una serie di somme di cui ai contratti di anticipazioni all’esportazione garantite sul pegno su fatture (di crediti) accreditate sul conto corrente di corrispondenza n. XXX della filiale di Y intrattenuto dalla società fallita, sull’assunto che il provvedimento di rigetto “in quanto la documentazione allegata non è sufficiente a provare la messa a disposizione dei finanziamenti concessi mancando gli estratti conto” era illegittimo e andava riformato avendo essa prodotto non solo i predetti contratti ma anche le contabili di accredito, attestanti l’intervenuta erogazione della provvista derivante dagli anticipi all’esportazione, che erano documenti sufficienti a provare il proprio credito, anche se in sede di opposizione riteneva opportuno produrre i relativi estratti conto aderendo alla richiesta del curatore;
rilevato che il curatore non costituitosi con il difensore non si oppone all’ammissione del credito come richiesto nell’importo di 213.228,00 a spese compensate alla luce della documentazione prodotta dalla banca opponente in sede di opposizione allo stato passivo, relativa agli estratti conto del conto corrente di corrispondenza da cui risultano gli addebiti in conto delle somme anticipate al correntista e da questi non restituite alla banca con la cessione del credito derivante dal contestuale pegno, con gli interessi e oneri di estinzione, ma che la banca insiste per la condanna al pagamento delle spese sull’assunto che la curatela doveva ritenersi soccombente, dato che tale documentazione pur prodotta con l’opposizione non era necessaria ai fini dell’ammissione, essendo invece sufficiente la produzione dei contratti di anticipazione all’esportazione e delle contabili di accredito sul citato conto corrente;
rilevato che tale tesi appare priva di pregio giuridico, in quanto la banca opponente aveva concluso dei contratti di anticipo all’esportazione che vanno ricondotti nell’alveo dei contratti di anticipazione bancaria regolati in conto corrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1846 1851 e 1852 cc, con la conseguente necessità di documentazione delle movimentazioni del conto corrente di corrispondenza al fine di determinare il credito vantato dalla banca derivante dal mancato incasso dei titoli costituiti in pegno (v. il contratto di data 16.02.20120 e gli analoghi contratti successivi, in cui a fronte della cessione del credito derivante da determinate fatture l’importo anticipato veniva accreditato sul conto corrente n. XXX acceso presso la Banca, contro costituzione del pegno del credito derivante dai documenti (fatture) elencati nel contratto);
considerato che l’anticipazione bancaria è il contratto disciplinato dagli artt. 1846 e ss cc con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una certa somma di denaro per un certo periodo di tempo ed il cliente, a garanzia dell’adempimento del proprio obbligo di restituzione, costituisce in pegno a favore della banca titoli o merci, qualificabile come un’operazione di finanziamento (o di prestito reale) garantita da pegno, dato che a fronte dell’obbligazione della banca di consentire al cliente di disporre di una certa somma dalla stessa anticipata, il cliente costituisce in pegno cose mobili caratterizzate da un’ampia commerciabilità e da una quotazione di mercato facilmente accertabile e che tale contratto si distingue dall’anticipazione bancaria semplice in cui il cliente può disporre della somma una sola volta anche se con prelevamenti frazionati e successivi e deve restituire alla scadenza contrattuale prevista l’intera somma utilizzata a differenza di quando l’anticipazione è regolata in conto corrente, nel qual caso il cliente può prelevare la somma in una o più soluzioni e può, anche prima della scadenza del termine, ripristinare la provvista iniziale e riutilizzare ripetutamente la disponibilità così ricostituita.
ritenuto che il conto corrente bancario o di corrispondenza è secondo la prevalente l’opinione tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza un contratto innominato misto di mandato, delegazione e deposito, dei quali si applica, in quanto compatibile la relativa normativa, dovendo in tal senso ritenersi che la disciplina del mandato vada coordinata con la disciplina tipica del conto corrente, dell’apertura di credito in conto corrente conto corrente e dell’anticipazione bancaria di cui agli artt. 1846 1851 (cfr. Cass, n. 5843 del 10/03/2010, secondo cui: “Il contratto di conto corrente bancario previsto dall’art. 1852 c.c. rappresenta infatti un negozio innominato misto, avente natura complessa, alla cui costituzione e disciplina concorrono plurimi e distinti schemi negoziali sul solco del datato arresto n. 3701 del 1971 v. di recente Cass. n. 181072009, i quali si fondono in ragione dell’unitarietà della causa. Per un verso assume rilievo preminente nella sua struttura l’impegno della banca, riconducibile al rapporto di mandato che è espressamente richiamato dall’art. 1856 c.c. che estende ad essa la responsabilità del mandatario prevista dall’art. 1703 c.c., in forza del quale si assume l’obbligo di agire con diligenza eseguendo pagamenti ovvero riscuotendo crediti su ordine del cliente, fornendo in sostanza un servizio di cassa di cui è obbligata nel contempo a compiere fedele e regolare annotazione sul conto corrente.
Per altro verso, come si sostiene da parte della ricorrente, consente il deposito del risparmio del correntista, ed impegna quindi la banca alla restituzione delle somme ivi confluite. Contiene altresì elementi tipici della delegazione, ovvero degli altri contratti tipici, identificabili con riferimento alle singole operazioni bancarie in esso confluite, le cui norme si applicano” e anche la risalente Cass., n. 3701/1971, secondo cui: “Il conto corrente di corrispondenza, per effetto del quale la banca, nel presupposto di una disponibilità presso di se a favore del cliente si obbliga a prestargli il servizio di cassa, secondo le ricevute istruzioni, ha natura di contratto innominato misto, alla cui Costituzione concernono, insieme con la disciplina del mandato, che hanno rilievo preminente nella Determinazione della sua struttura e disciplina (v. il richiamo alle norme sul mandato contenuto nell’art 1856 cod civ per tutte le operazioni regolate in conto corrente) anche elementi di altri negozi, fra cui il deposito in conto corrente;
considerato pertanto che applicandosi la disciplina tanto dell’anticipazione bancaria, quanto del contratto di conto corrente di corrispondenza il provvedimento di rigetto dell’insinuazione per mancata allegazione degli estratti conto era del tutto legittimo, dato che solo con tale produzione (fra l’altro comunque effettuata dalla banca in sede di opposizione) era possibile documentare il credito derivante dalla mancata restituzione dell’anticipazione girato a sofferenza, con la quantificazione degli interessi e delle spese di estinzione dell’operazione e questo perché il mero accreditamento della somma sul conto corrente non dimostrava la sussistenza del credito della banca, in quanto il pagamento del credito portato dalle relative fatture, su cui era stato costituito il pegno a favore dell’opponente, era domiciliato presso lo stesso istituto ed era quindi necessario documentare il mancato incasso delle somme portate dalle fatture cedute e l’addebito della relativa posta sul conto (cfr. il contratto di anticipo all’esportazione che prevedeva: “… vi pregiamo anticiparci l’importo … accreditando sul nostro conto n. 1002193, contro costituzione in pegno del credito derivante dai sottoelencati documenti … dichiariamo … di aver domiciliato il pagamento delle relative fatture presso di voi … vi autorizziamo fin d’ora ad estinguere il Vs. credito addebitandoci in conto presso di Voi alla scadenza stabilita dalla vigente normativa valutaria“);
rilevato inoltre che l’esposizione in questione poteva aver subito delle variazioni, non dovendo necessariamente il cliente aver utilizzato tutte le somme messe a disposizione della banca o potendovi essere state delle compensazioni di parte del debito con altri accreditamenti affluiti sul medesimo conto (in base al patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto contenuto nel contratto) o con i saldi di più rapporti e conti accesi presso il medesimo istituto ex art. 1853 cc e che i singoli contratti di anticipo all’esportazione non portavano alcuna pattuizione circa la misura degli interessi e degli oneri di estinzione, che erano regolati dal contratto di conto corrente e dalle condizioni generale degli anticipi all’esportazione menzionate nei singoli anticipi, ma ivi non riportate (v. i contatti di anticipo bancario, che non indicano né gli interessi, né le spese, ma rimandano alle condizioni generali degli anticipi all’esportazione e sulla compensazione nei rapporti di anticipazione bancaria cfr. per tutte Cass., n. 17999 del 01/09/2011, secondo cui: “In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute in epoca antecedente rispetto all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il correntista successivamente ammesso al concordato preventivo agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all’anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del “diritto di incamerare” le somme riscosse in favore della banca (cd. patto di compensazione o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto); solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a “compensare” il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della “cristallizzazione dei crediti“, con la conseguenza che nè l’imprenditore durante l’amministrazione controllata, nè gli organi concorsuali ove alla prima procedura ne sia conseguita altra hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse (anziché porle in compensazione con il proprio credito).
rilevato che è pacifico che per l’ammissione al passivo del saldo negativo derivante da operazioni di fido (quali aperture di credito, anticipazioni bancarie, sconto o altro) regolate in conto corrente è necessario produrre gli estratti conto che costituiscono l’unico documento idoneo a provare il credito (cfr. Cass. n. 6465 del 09/05/2001, secondo cui: “L’istituto di credito, il quale prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione allo stato passivo, ha l’onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell’art. 2697 cod. civ. attraverso la documentazione relativa allo svolgimento del conto,senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, “ex” art. 1832 cod. civ., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni” e anche Cass., n. 1543 del 26/01/2006, secondo cui: “L’art. 2710 cod. civ., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, costituisse prova sufficiente del credito derivante dal saldo debitore di un conto corrente bancario un estratto del libro giornale dei crediti in sofferenza, recante l’attestazione da parte di un notaio della regolare vidimazione e della tenuta della contabilità in conformità alle norme di legge“);
considerato che quando l’opponente venga ammesso al passivo solo sulla base della documentazione prodotta in sede di opposizione, le spese del giudizio non possono gravare sulla curatela, ma devono quantomeno essere compensate, dovendo essere valutata la condotta dell’opponente e la sua eventuale responsabilità nel aver dato causa al giudizio in questione (cfr. Cass., n. 10854 del 10/07/2003 “Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il regolamento delle spese processuali è ispirato, ricorrendo la medesima “ratio” di evitare che il ritardo nella documentazione del credito possa risolversi in pregiudizio per la massa dei creditori, allo stesso principio ricavabile dall’art. 101, ult. comma, legge fall. che regola la materia nel giudizio sulla dichiarazione tardiva di credito, principio in base al quale deve assumersi a criterio del regolamento delle spese il ritardo del creditore, secondo che esso si riveli colpevole o non; pertanto, anche nel giudizi di opposizione a stato passivo, il regolamento delle spese non può prescindere dalla valutazione della condotta del creditore opponente e dalla eventuale sua responsabilità, tutte le volte che a lui si possa o si debba ascrivere di aver dato causa (ad esempio, con la tardiva produzione della documentazione giustificativa del credito) o di aver reso necessario il giudizio di opposizione stesso, pur se di esito favorevole ad esso opponente. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza con cui il giudice di merito aveva ripartito il carico delle spese processuali tra l’opponente la cui domanda era stata accolta in sentenza e la curatela, nonostante il primo avesse presentato soltanto con l’opposizione documenti decisivi, di fronte ai quali il curatore aveva concluso per l’ammissione del credito);
ammette la parte ricorrente al passivo del fallimento indicato in premessa per 213.228,00 in via chirografaria; compensa fra le parti le spese del giudizio.
Si comunichi.
Udine, lì 7.12.2012
IL PRESIDENTE
A. Bottan
Il giudice rel.
G. Pellizzoni
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