ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di cassazione, con sentenza n. 16526 del 28/09/2012, ha espresso il principio di diritto in base al quale il soggetto che ha costituito un fondo patrimoniale quando propone l’opposizione ex art.615 cpc, deve allegare, quale fatto giustificativo della impignorabilità, l’annotazione della costituzione del detto fondo nell’atto matrimoniale.
Ricade, pertanto, sull’opponente l’onere di individuare l’annotazione nell’atto introduttivo dell’opposizione all’esecuzione attraverso la quale fa valere l’esistenza del fondo e l’inerenza del bene ad esso.
In mancanza il Giudice, anche in assenza delle contestazioni delle parti, può rilevare d’ufficio la mancata produzione in giudizio del fatto giustificativo (l’annotazione della costituzione del detto fondo nell’atto matrimoniale), senza che sussista alcun dovere di sottoporre al contraddittorio delle parti le questioni che intende rilevare d’ufficio atteso che l’esistenza o meno dell’annotazione rappresenta elemento necessario della domanda.
Ne discende che il giudice che rilevi tale inidoneità si limita a rilevare in iure che la domanda sottesa all’opposizione non è stata articolata con la deduzione di tutti gli elementi che in iure sono necessari, a livello di allegazione, per giustificarla.
Una diversa impostazione di fatto si risolverebbe in una sorta di rimessione in termini della parte rimasta inadempiente.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11045-2007 proposto da:
F
.P.;
RICORRENTE
contro
BANCA, CASSA DI RISPARMIO DI VATTELAPESCA SPA, CASSA DI RISPARMIO DI PINCOPALLINO;
CONTRORICORRENTI
e contro
M.E.;
INTIMATA
avverso la sentenza n. 4369/2006 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 15/12/2006, R.G.N. 10332/2004;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p. 1. F.P. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art.111 Cost., comma 7, contro la CASSA DI RISPARMIO DI VATTELAPESCA, la CASSA DI RISPARMIO DI PINCOPALLINO, la BANCA e nei confronti di M.E., avverso la sentenza del 15 dicembre 2006, con la quale il Tribunale di Firenze ha provveduto sull’opposizione da lui proposta riguardo all’esecuzione forzata immobiliare introdotta nei riguardi suoi e della moglie M.E. dalla s.p.a. CASSA DI RISPARMIO DI VATTELAPESCA e nella quale erano intervenuti la BANCA nella suddetta qualità e la CASSA DI RISPARMIO DI PINCOPALLINO.
L’esecuzione forzata era stata iniziata dalla creditrice procedente sulla base di titolo esecutivo rappresentato da un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ed in relazione alla posizione degli esecutati di fideiussori della GIALLO SPA, debitrice principale.
L’opposizione all’esecuzione veniva proposta dal F. nel giugno del 2004 nella qualità di rappresentante del fondo patrimoniale costituito con la moglie con atto notarile del 14 luglio 2003, trascritto il 29 luglio successivo, e vi si assumeva che i beni immobili pignorati, in quanto conferiti nel fondo, dovevano ritenersi impignorabili ai sensi dell’art.170 cc.
Il Tribunale fiorentino, nella resistenza all’opposizione della creditrice procedente e delle creditrici intervenute, nonchè nella contumacia della M. (chiamata in causa dalla CASSA DI RISPARMIO DI VATTELAPESCA quale contitolare del fondo patrimoniale), dopo avere negato la sospensione dell’esecuzione, la concedeva e, quindi, con la sentenza impugnata accoglieva l’opposizione, dichiarando inopponibile alla creditrice procedente ed a quelle intervenute la costituzione del fondo patrimoniale a motivo che l’opponente non aveva provato di averne fatta annotare la costituzione sull’atto di matrimonio anteriormente alla trascrizione del pignoramento. Revocava la disposta sospensione dell’esecuzione concedendo termine per la riassunzione del procedimento ai sensi dell’art.627 cpc.
Dichiarava inammissibili per carenza di interesse le domande riconvenzionali di revocatoria del fondo ai sensi dell’art.2901 cc, proposte dalla creditrice procedente e da quelle intervenute.
p.2. Al ricorso hanno resistito con congiunto controricorso gli istituti bancari, mentre non ha svolto attività difensiva la M..
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1. Preliminarmente il Collegio rileva d’ufficio che dev’essere dichiarato inammissibile il controricorso per quanto attiene alla posizione della CASSA DI RISPARMIO DI VATTELAPESCA.
Invero, nella sua intestazione detta parte è rappresentata dagli avvocati TIZIO e CAIO “unitamente e disgiuntamente”, ma l’atto di conferimento del mandato speciale ai sensi dell’art.365 cpc, pur indirizzato ad entrambi, risulta sottoscritto per autenticazione soltanto dall’Avvocato TIZIO.
Costui, tuttavia, come emerge a ricerca effettuata nel sito internet del Consiglio Nazionale Forense non è iscritto all’albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Ne deriva che la procura è irrituale ai sensi dell’art.365 cpc e tanto determina l’inammissibilità del controricorso per conto di detta Cassa.
Il controricorso risulta, invece, ammissibile per le altre due parti resistenti ed in particolare per la Cassa di Risparmio di Volterra, atteso che la procura risulta autenticata sia dall’Avvocato Meini D’Alessandro, che non è iscritto all’albo speciale dei cassazionisti, sia dall’Avvocato Boggia, che lo è.
p.2. Sempre in via preliminare dev’essere disattesa l’eccezione della resistente il cui controricorso è ammissibile, prospettata sotto il profilo che il ricorrente avrebbe proposto anche appello avverso la sentenza qui impugnata e, pertanto, vi sarebbe situazione di litispendenza.
Invero, è principio consolidato che “Non si versa in tema di litispendenza nell’ipotesi in cui nei confronti della medesima decisione di primo grado vengano proposti sia l’appello, sia il ricorso per Cassazione ex art.111 Cost.. Ed infatti, l’istituto della litispendenza tende ad impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici che abbiano competenza a decidere, per evitare la possibilità di giudicati contrastanti. Tale problema non si pone, invece, nel caso in cui siano stati proposti avverso lo stesso provvedimento due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge, perchè in tal caso viene in questione l’ammissibilità dell’impugnazione, sulla quale non spiega alcun effetto la contemporanea proposizione di altro diverso mezzo di gravame.” (Cass. n. 6236 del 1999; per il caso di sentenza di secondo grado: Cass. n. 25452 del 2007; adde: Cass. n. 5069 del 2010).
p.3. Nella memoria parte ricorrente sollecita, come in realtà avrebbe dovuto fare nello stesso ricorso, l’esame in via preliminare della questione di costituzionalità che prospettò nella parte finale del ricorso, cioè quella della costituzionalità dell’art.616, nella versione introdotta dalla L. n. 52 del 206, art.14 ed applicabile alla controversia, là dove prevedeva l’inimpugnabilità della decisione sull’opposizione all’esecuzione, emessa a seguito della cognizione piena, così escludendo l’appello e, quindi, il doppio grado di merito, e implicando la soggezione della stessa al ricorso straordinario.
La questione è proposta per violazione degli artt.3 e 24 Cost..
p.3.1. Essa, concretandosi in un motivo di ricorso, dato che tale è in Cassazione la prospettazione nel ricorso di una questione di costituzionalità relativa ad una norma rilevante in sede di legittimità, esigeva il quesito di diritto, che non è stato formulato (Cass. (ord.) n. 4072 del 2008; (od.) n. 4067 del 2007; Cass. sez. un. n. 2850 del 2008).
p.3.2. Se fosse superabile tale ragione di inammissibilità si evidenzierebbe che la Corte ha già ampiamente indicato le ragioni della insussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della questione (Cass. n. 3688 del 2011, alle cui ampie motivazioni si rinvia; in precedenza: Cass. n. 976 del 2008).
p.4. Con il PRIMO motivo di ricorso si deduce “nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio ovvero del principio di collaborazione del giudice con le parti (art. 360 cpc, n.4 in relazione agli artt.111, 24 e 101 Cost.”.
Il motivo è gradatamente inammissibile e, se fosse stata ammissibile, sarebbe stato comunque infondato.
p.4.1. Sotto il primo profilo si osserva che il motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: “voglia la Suprema Corte dichiarare se sussista per il Giudice il dovere di sottoporre al contradditorio delle parti le questioni che intende rilevare d’ufficio e che sono idonee a definire il giudizio; e se, nel caso in cui il Giudice non ottemperi a tale dovere, la sentenza che si fondi su una questione rilevata d’ufficio, non previamente sottoposta dal giudice alle parti, sia nulla”.
Tale interrogazione si risolve nel prospettare alla Corte un quesito del tutto astratto e come tale inidoneo ad assolvere alla funzione prevista dall’art.366-bis cpc.
Questa norma è applicabile al ricorso nonostante l’abrogazione intervenuta il 4 luglio 2009 per effetto dell’art.47 della stessa legge. L’art.58, comma 5, della legge ha, infatti, sostanzialmente disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati – come nella specie – dopo quella data avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (si vedano: Cass. (ord.) n.7119 del 2010; Cass. n.6212 del 2010 Cass. n.26364 del 2009; Cass. (ord.) n.20323 del 2010).
Nel contempo, non avendo avuto l’abrogazione effetti retroattivi l’apprezzamento dell’ammissibilità dei ricorsi proposti, come quello in esame, introdotto con notificazione perfezionatasi – anche dal punto di vista del notificante – il 29 giugno 2009, anteriormente a quella data continua a doversi fare sulla base della norma abrogata, che ha dispiegato i suoi effetti regolatori del contenuto del ricorso al momento in cui era pienamente vigente e non ha visto elisi detti effetti.
Ora, il sopra riprodotto quesito pone un interrogativo del tutto astratto e privo di alcun riferimento specifico alla decisione impugnata.
In tali termini il quesito appare, però, pur potendo evocare astratti principi normativi di doverosa conoscenza per questa Corte, assolutamente privo del requisito della conclusività, necessario perchè la formulazione del quesito possa assolvere al suo scopo.
L’art.366-bis cpc, infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un, n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla regola dell’art.156 cpc, comma 2, per cui all’assolvimento del requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività e, quindi, la spiegazione – pur sommaria e riassuntiva – della pertinenza all’illustrazione del motivo. Da tanto l’esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
p.4.2. Il motivo, se si procedesse alla lettura della sua illustrazione, sarebbe comunque infondato.
Queste le ragioni.
In esso si lamenta che il Tribunale abbia dato rilievo d’ufficio in sede decisoria alla mancata dimostrazione dell’annotazione della costituzione del fondo patrimoniale, per ritenerne l’inopponibilità alla creditrice procedente ed a quelle intervenute, senza provocare previamente il contraddittorio sul punto, cosa che, se fosse stata fatta – sostiene il ricorrente – gli avrebbe consentito di produrre il certificato di matrimonio, che egli dichiara di produrre in questa sede ai sensi dell’art.372 cpc, dal quale risulta la regolare e tempestiva annotazione della costituzione.
Il dovere del giudice di provocare il contraddittorio viene individuato nella norma dell’art.183 cpc, comma 3, (pur non indicato nell’intestazione del motivo ed evidentemente rilevante, in relazione alla data di proposizione dell’opposizione all’esecuzione, attesa l’applicabilità del testo dell’art.183 cpc anteriore alla sostituzione operata dalla riforma di cui al D.L. n.35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella L. n.80 del 2005 ed entrato in vigore dal 1 marzo 2006).
Viene, poi, argomentato sulla base del principio costituzionale del cd. giusto processo.
Si fa riferimento ai principi di diritto di cui a Cass. nn. 14637 del 2001, nonchè a Cass. nn. 21108 del 2005 e 16577 del 2005). Viene, poi, invocato l’art.184-bis, vigente mentre la controversia pendeva davanti al tribunale, nonchè l’art.384 cpc, comma 3.
p.4.2.1. Il Collegio osserva che i principi di diritto invocati non sono pertinenti.
Va precisato che è principio consolidato di questa Corte che “La costituzione del fondo patrimoniale di cui all’art.167 cc è soggetta alle disposizioni dell’art.162 cc, circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art.2647 cc, resta degradata a mera pubblicità – notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo. (Nella specie, le S.U. hanno confermato la sentenza di merito che – in presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell’atto di matrimonio successivamente all’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo – aveva ritenuto che l’esistenza del fondo non fosse opponibile al creditore ipotecario).” (Cass. sez. un. n. 21658 del 2009; in precedenza: Cass. n. 24332 del 2008).
Ora, quando il soggetto che ha costituito il fondo patrimoniale propone l’opposizione di cui all’art.615 cpc contro il creditore che voglia procedere su un bene facente parte del fondo, opposizione riconducibile all’ambito della cd. opposizione all’esecuzione per impignorabilità del bene, il fatto dell’annotazione della costituzione nell’atto matrimoniale, inerendo alla enunciazione dei fatti giustificativi della impignorabilità, costituisce un fatto costitutivo della domanda di accertamento dell’inesistenza della pignorabilità, che altrimenti, secondo il sopra riportato principio di diritto non può essere sostenuta.
Ne deriva che egli ha l’onere di individuare l’annotazione nell’atto introduttivo dell’opposizione all’esecuzione in cui fa valere l’esistenza del fondo e l’inerenza del bene ad esso.
Il tema dell’esistenza dell’annotazione è, pertanto, elemento necessario della domanda e se nel ricorso non lo si allega si è in presenza di una domanda di accertamento del diritto di procedere ad esecuzione fondata su fatti inidonei a giustificare la dedotta impignorabilità.
Ora, il giudice che, anche in sede decisoria, rilevi tale inidoneità non introduce nel processo una questione nuova, ma si limita a rilevare in iure che la domanda sottesa all’opposizione non è stata articolata con la deduzione di tutti gli elementi che in iure sono necessari, a livello di allegazione, per giustificarla. Il suo rilievo non determina uno sviluppo della lite verso un tema che non era già introdotto, ma si limita a dare peso all’inidoneità in iure dei fatti posti a fondamento della domanda.
Se si considerasse la rilevazione da parte del giudice in sede decisoria della mancanza di allegazione fra i fatti posti a fondamento della domanda di uno di quelli necessari per giustificarne la fondatezza in iure in astratto, cioè al livello della fattispecie giuridica invocata, come rilievo di una questione alla stregua dell’art.183 cpc, comma 4, (ed ora dell’art.101 cpc, comma 2), come tale necessitante la provocazione del contraddittorio, tale provocazione si risolverebbe in una sorta di sollecitazione alla parte opponente ad allegare quel fatto se esistente e non, come sembra connaturato al rispetto del contraddittorio, a svolgere attività difensiva su un fatto non oggetto del dibattito processuale nella sua efficacia in iure, ma emergente dalle allegazioni effettuate dalle parti o dallo stesso svolgimento dell’istruzione, e come tale rilevato con quella efficacia dal giudice.
Si vuoi dire cioè che la questione rilevabile d’ufficio cui allude l’art.183 cpc, comma 4, è una questione che deve sorgere con riferimento ad un fatto allegato al processo e del quale non si è rilevata l’efficacia giuridica nel dibattito fra le parti e non riguardo ad un fatto che vi doveva essere allegato dalla parte per giustificare in iure la sua prospettazione e che non lo è stato.
In quest’ultimo caso non v’è contraddittorio da tutelare di fronte al rilievo da parte del giudice che il fatto non è stato allegato, ma si è soltanto in presenza della constatazione di un’omissione di attività della parte, che nel formulare la domanda (o nell’articolare la sua prospettazione difensiva) doveva allegare un fatto che invece non ha allegato. La segnalazione della mancata allegazione si risolverebbe non nella provocazione del contraddittorio su un fatto presente nel processo, eventualmente con lo svolgimento delle attività anche probatorie rilevanti per argomentare rispetto ad esso, bensì nell’invito ad allegare il fatto non allegato e, dunque, in una sorta di rilevazione della parte dall’inadempimento ad un onere ch’essa doveva adempiere e non ha adempiuto.
In definitiva, considerando la questione – come nella specie – dal punto di vista della parte attrice, quest’ultima, essendo onerata di articolare la domanda mediante l’allegazione dei fatti idonei secondo la fattispecie astratta a giustificarne l’accoglimento, se si sente rilevare dal giudice senza provocazione del suo contraddittorio la carenza dell’allegazione di uno di essi, non si trova nella posizione di chi vede emergere una questione che non era percepibile, ma si trova nella situazione di chi era tenuto a percepirne la rilevanza ed a farsene carico con la stessa attività di articolazione della domanda giudiziale. La sollecitazione del giudice si risolverebbe in una sorta di rimessione in termini per l’introduzione nel processo di un fatto che necessariamente vi doveva essere introdotto quale elemento della domanda e, quindi, all’atto della sua formulazione.
Il principio di diritto che consentirebbe di ritenere infondato il motivo è, dunque, il seguente: “Quando il soggetto che ha costituito il fondo patrimoniale propone contro il creditore che voglia procedere su un bene facente parte del fondo l’opposizione di cui all’art.615 cpc (riconducibile all’ambito della cd. opposizione all’esecuzione per impignorabilità dei bene), è tenuto ad allegare, quale fatto costitutivo della domanda di accertamento dell’inesistenza della pignorabilità, il fatto dell’annotazione della costituzione nell’atto matrimoniale, inerendo esso alla enunciazione dei fatti giustificativi della impignorabilità. Ne deriva che il giudice che in sede decisoria rilevi la mancata allegazione di tale fatto non introduce nel processo una questione nuova, ma si limita a rilevare in iure che la domanda sottesa all’opposizione non è stata articolata con la deduzione di tutti gli elementi che in iure sono necessari, a livello di allegazione, per giustificarla, con la conseguenza che detta rilevazione non integra violazione dell’art.183 cpc, comma 3 (ed ora comma 4), atteso che fra le questioni cui fa riferimento tale norma non rientra quella derivante dall’omessa allegazione di un fatto costitutivo in ture della domanda giudiziale”.
p.5. Con un secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 cpc, n.3 in relazione agli artt.111, 24 e 101 Cost. ed in particolare per violazione del principio del contraddittorio ovvero del principio di collaborazione del Giudice con le parti”.
Vi si ripropone, mutando le norme i riferimento al stessa questione posta dal primo motivo. Lo si fa con un quesito parimenti attratto, presetante la stessa struttura di quello conclusivo del primo motivo, salva la variazione del riferimento alle norme.
Inoltre, il motivo, tenuto conto che la norma di riferimento non potrebbe che essere quella invocata a riguardo del primo motivo, presenterebbe le stesse ragioni di infondatezza evidenziate a proposito di esso.
p.6. Il terzo motivo lamenta “nullità della sentenza per violazione del principio di non contestazione (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al principio di non contestazione).
Sulla premessa che nessuna delle controparti aveva eccepito l’inopponibilità del fondo per la mancata annotazione dell’atto costitutivo a margine dell’atto di matrimonio, si sostiene che la sua esistenza avrebbe dovuto considerasi ammessa.
Anche tale motivo è concluso da un quesito del tutto astratto e, se il rilievo di inammissibilità conseguente fosse superabile, il motivo risulterebbe privo di fondamento, perchè nella specie la non contestazione non poteva venire in rilievo, non avendo nell’opposizione il ricorrente allegato l’annotazione, quale elemento costitutivo della domanda: è appena il caso di rilevare che in tanto il principio d non contestazione può venire in rilievo, in quanto l’atteggiamento di non contestazione si ricolleghi ad un fatto storico allegato nel processo dalla controparte. E’ una contradictio in terminis ipotizzare che si posa no contestare un fatto che non è stato allegato nel giudizio.
p.7. Il settimo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al principio di non contestazione”.
Esso ripropone sostanzialmente, sotto l’ambito del n.3 dell’art.360 cpc, la stessa questione del motivo precedente e merita rilievi analoghi, sia in punto di inammissibilità quoad quesito, sia gradatamente di infondatezza.
p.8. L’esito dello scrutinio dei motivi esime dal considerare, in relazione all’art.372 cpc, la sorte della produzione del certificato di matrimonio recante l’annotazione della costituzione del fondo patrimoniale. Nemmeno è necessario esaminare l’eccezione di difetto di interesse proposta alla pagina trentacinque del controricorso, in realtà afferente a questione che sarebbe stata rilevante ove la sentenza si fosse dovuta cassare e la Corte si fosse dovuta interrogare sulla possibilità, invocata dallo stesso ricorrente, di decidere nel merito.
p.9. Il ricorso, stante l’inammissibilità di tutti i motivi, è dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e, stante l’inammissibilità del controricorso per la Cassa di Risparmio di Firenze e la mancanza di partecipazione della stessa alla discussione con idonea procura, sono liquidate soltanto in favore della Cassa di Risparmio di Volterra e della M.P.S..
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alle resistenti Cassa di Risparmio di Volterra e s.p.a. M.P.S. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro seimiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
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Numero Protocolo Interno : 53/2012