Per contestare il diritto del creditore a procedere esecutivamente, ovvero per contestare la “regolarità formale” dei singoli atti esecutivi, il debitore ha a disposizione rispettivamente i due strumenti dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 del codice di procedura civile e dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 del codice di procedura civile.
Con l’opposizione all’esecuzione si contesta il diritto della parte istante di procedere esecutivamente per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero nella contestazione circa la pignorabilità dei beni. L’opposizione agli atti esecutivi, invece, costituisce lo strumento previsto dall’ordinamento – non solo per il debitore – per lamentare la regolarità degli atti preliminari all’esercizio dell’azione esecutiva o di quelli interni al processo. Nell’esperienza pratica, tuttavia, i due strumenti processuali possono sovente intersecarsi, sicché il giudice dell’esecuzione si trova spesso a dover (ri)qualificare giuridicamente la tipologia di opposizione che la parte abbia inteso proporre.
Entrambe le opposizioni, poi, si propongono con modalità differenti in relazione alla circostanza che sia iniziata o meno l’esecuzione. Infatti, se l’esecuzione non ha avuto inizio, l’opposizione si propone con atto di citazione innanzi al giudice competente; se l’esecuzione è già iniziata, invece, va proposta con ricorso innanzi al giudice dell’esecuzione, il quale dà luogo ad una prima fase “cautelare”, all’esito della quale la parte interessata può introdurre il vero e proprio giudizio di merito dell’opposizione.
Le possibili interferenze tra le diverse fasi processuali hanno indotto, di recente, la Corte di Cassazione ad un intervento “chiarificatore” di rilevante importanza, volto anche a definire i poteri ed i limiti di cognizione dei diversi giudici potenzialmente chiamati a pronunciarsi sulla medesima questione, con particolare riferimento all’opposizione all’esecuzione. Si tratta della sentenza del 17 Ottobre 2019, n. 26285 emessa dalla terza sezione civile della Suprema Corte. In primis, i giudici di legittimità hanno chiarito che il rapporto tra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, si atteggia in termini di “litispendenza” se le cause pendono innanzi ad uffici giudiziari diversi, mentre determina la necessità di riunione d’ufficio se pendono innanzi al medesimo ufficio. In caso di impossibilità di riunione, bisognerà sospendere pregiudizialmente il secondo giudizio per evitare giudicati contraddittori.
Il giudice dell’opposizione a precetto (c.d. opposizione pre-esecutiva) cui sia stato chiesto di disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo non perde il potere di provvedere sull’istanza per effetto dell’avvio dell’azione esecutiva, sicché l’ordinanza sospensiva da questi successivamente pronunciata determinerà “ab externo” la sospensione ex artt. 623 e 626 c.p.c. di tutte le procedure esecutive nel frattempo instaurate. Il pignoramento eseguito dopo che il giudice dell’opposizione a precetto abbia disposto la sospensione dell’esecutività del titolo è radicalmente nullo e tale invalidità deve essere rilevata, anche d’ufficio, dal giudice dell’esecuzione.
Qualora siano contemporaneamente pendenti l’opposizione a precetto (art. 615 c.p.c., comma 1) e l’opposizione all’esecuzione già iniziata (art. 615 c.p.c., comma 2) sulla base di quello stesso precetto, i due giudici hanno una competenza “mutuamente esclusiva” quanto all’adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza (sospensione “esterna” ed “interna”). Il debitore opponente può, per le medesime ragioni, richiedere l’adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza tanto al giudice dell’opposizione a precetto, quanto al giudice dell’esecuzione. Tuttavia, una volta che egli abbia adito il primo con la propria istanza, non potrà rivolgersi pure al secondo.
Qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell’esecuzione – o il collegio adito in sede di reclamo – sospenda l’esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell’opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all’art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall’art. 624 c.p.c., comma 3, in quanto l’unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza.
FOCUS
È bene ricordare che il legislatore del 2016 (D.L. 3 maggio 2016 n. 59 e relativa legge di conversione), quale ulteriore elemento di “razionalizzazione” del sistema delle opposizioni esecutive ha aggiunto un ultimo comma all’art. 615 c.p.c., ponendo una barriera temporale all’ammissibilità del ricorso. Per le procedure introdotte dopo il 3 luglio 2016, “l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile”.
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