
In sede di opposizione esecutiva, opera il principio dell’intangibilità del titolo esecutivo, di formazione giudiziale, per fatti anteriori o coevi alla sua formazione ed alla sua definitività. Ne consegue che, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica. Gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto o sta avendo pieno sviluppo ed è stata o è tuttora in esame.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. De Stefano – Rel. Gianniti, con la sentenza n. 2785 del 4 febbraio 2025.
La vicenda trae origine dall’azione revocatoria promossa dal Fallimento di una società nei confronti dei creditori, la quale veniva accolta dal Tribunale il quale:
– dichiarava “inefficace nei confronti del Fallimento la complessiva operazione di disposizione del patrimonio della fallita con attribuzione del ricavato a alla banca creditrice” e
– condannava quest’ultima a restituire alla procedura fallimentare la somma di Euro 1.400.000,00, oltre alle spese di lite.
La sentenza veniva impugnata dalla Banca cessionaria della posizione litigiosa, ma fu confermata dalla Corte di appello.
Il Fallimento, intendendo agire in via esecutiva nei confronti della cessionaria, notificava a quest’ultima la sentenza, unitamente all’atto di precetto, con il quale intimava all’istituto di credito il pagamento della complessiva somma di euro 1.468.214,95.
La Banca cessionaria proponeva opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., rilevando che la sentenza portata ad esecuzione dal Fallimento non era ad essa opponibile, essendo stata pronunciata nei confronti della sua dante causa dopo l’apertura della procedura concorsuale.
Il Giudice rigettava la richiesta sospensiva e, nel merito, accoglieva l’opposizione all’esecuzione, ritenendo che la sentenza portata ad esecuzione dal Fallimento, non aveva effetto nei confronti della banca in liquidazione coatta amministrativa e, conseguentemente, non era opponibile alla cessionaria della Banca.
A seguito di impugnazione del Fallimento, la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza, dichiarava d’ufficio inammissibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c.
Avverso la sentenza della Corte di Appello presentava ricorso la Banca, mentre resisteva con controricorso il Fallimento.
Con il terzo motivo l’istituto ricorrente denunciava: “violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.” nella parte in cui la Corte Territoriale, dichiarando inammissibile la sua opposizione (così accogliendo l’appello del Fallimento), aveva implicitamente ritenuto che la pronuncia di una sentenza di merito nei confronti di una Banca in liquidazione coatta amministrativa non integra una ipotesi di inesistenza giuridica della sentenza (assimilabile all’ipotesi prevista dall’art. 161 comma secondo c.p.c.), ma costituisce un vizio da far valere in sede di gravame.
Si doleva che il Collegio aveva affermato che i vizi inerenti alla formazione del provvedimento giudiziale sono opponibili ai sensi dell’art. 615 comma primo c.p.c. soltanto qualora abbiano dato luogo ad inesistenza giuridica del provvedimento ex art. 161 secondo comma c.p.c., senza previamente individuare quando ricorra l’inesistenza giuridica del provvedimento giudiziale e per quali ragioni la pronuncia di una sentenza improduttiva di effetti nei confronti della banca in L. c. a. (ai sensi degli artt. 83 TUB e 96 n. 3 L.F.) non sia riconducibile alla previsione dell’art. 161 comma secondo c.p.c. e quindi non possa considerarsi giuridicamente inesistente.
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo infondato, affermando che correttamente il Giudice di appello aveva escluso l’utile deducibilità, nell’opposizione esecutiva, di fatti anteriori alla formazione del titolo giudiziale in applicazione di un principio generale della materia (affermato, tra le tante, da Cass. n. 3277/2015), secondo il quale: “Nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame“.
Per tali motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, con condanna della Banca alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LE DEDUZIONI POTRANNO RIGUARDARE SOLTANTO L’EFFICACIA DEL TITOLO O COMUNQUE FATTI CHE SI SIANO VERIFICATI POSTERIORMENTE ALLA SUA FORMAZIONE
Sentenza | Tribunale di Paola, Giudice Luigi Varrecchione | 05.06.2023 | n.475
OPPOSIZIONE ESECUZIONE: IL DEBITORE NON PUÒ FAR VALERE FATTI ANTECEDENTI AL TITOLO ESECUTIVO
DEVONO ESSERE FATTI VALERE CON OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
Ordinanza | Tribunale di Verona, Giudice Attilio Burti | 26.10.2021 |
SI APPLICA L’ART. 669-TERDECIES C.P.C., NELLE FASE PRE-ESECUTIVA
Sentenza | Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Pres. Mammone – Rel. De Stefano | 23.07.2019 | n.19889
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