ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di opposizione allo stato passivo, il mancato deposito del fascicolo della domanda di ammissione non costituisce causa di improcedibilità del giudizio, in quanto l’art.99 legge fallimentare, che indica il contenuto del ricorso, non fa riferimento alla predetta allegazione e l’unico richiamo sul punto concerne i documenti che la parte può discrezionalmente sottoporre al giudice.
Così il Tribunale di Napoli, sezione civile settima, con decreto del 10/01/2013, si è pronunciato sulla opposizione ex art.98 Legge Fallimentare, promossa da una Banca, avverso l’esclusione dallo stato passivo per il credito fondato su otto cessioni di credito con impresso il timbro postale.
Si è costituito in tale procedimento il curatore fallimentare, il quale ha eccepito l’inammissibilità dell’opposizione, stante la “tardiva produzione del fascicolo della prima fase ed in ogni caso la mancanza di data certa della documentazione comprovante le ragioni creditorie“.
Ebbene i Giudici hanno rilevato come, nel caso di specie, nonostante la banca nel giudizio di opposizione non avesse prodotto il fascicolo della domanda di ammissione, aveva ad ogni buon conto riprodotto tutti i documenti comprovanti le proprie ragioni creditizie, sebbene in fotocopia.
Osserva il Tribunale che, come risulta ormai da consolidata giurisprudenza (cfr. Cass.2677/2012; Cass n.4744 del 23/03/2012 il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato ex art.99 Legge Fallimentare, dal principio dispositivo, applicabile a qualunque giudizio di cognizione a natura contenziosa, per cui il materiale probatorio che lo concerne è quello prodotto dalle parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli artt.210 e 213 cpc, ed è solo quel materiale che ha titolo a restare nel processo.
Quanto al termine ultimo per la produzione dei documenti in sede di opposizione, poi, va ricordato che in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento non trova applicazione, per la produzione di documenti a sostegno dell’istanza di ammissione al passivo, il divieto di cui all’art.345 cpc, in materia di jus novorum, versandosi in un giudizio diverso da quello ordinario di cognizione e non potendo la predetta opposizione essere qualificata come un appello, pur avendo natura impugnatoria (cfr. Cassazione civile, sezione prima – 04 Giugno 2012 – n° 8929)
Tale rimedio, infatti, mira a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria e che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare Legge Fallimentare, ex art.96, segnando solo gli atti introduttivi Legge Fallimentare, ex artt.98 e 99, con l’onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, il termine preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori.
È, sufficiente che con il ricorso ex art.99 legge fallimentare, l’opponente produca la documentazione che ritiene necessaria e sufficiente a dimostrare la fondatezza della propria domanda.
In aderenza a tale principio, la medesima sezione del Tribunale di Napoli con decreto 183 del 19/02/2013 ha sancito: “l’onere, a carico del creditore opponente, di riprodurre, nel giudizio di opposizione allo stato passivo la domanda di ammissione al passivo e la documentazione già prodotta al fine di non soggiacere al potere discrezionale del Tribunale“.
La decisione in oggetto ha, inoltre, affrontato la problematica inerente la mancanza di data certa dei documenti prodotti a sostegno delle ragioni creditorie.
In particolare il Collegio ha statuito che il giudizio di verificazione è finalizzato non solo alla individuazione dei creditori del fallito, ma anche e soprattutto alla selezione di quelli legittimati a concorrere alla distribuzione dell’attivo (ricavato dalla liquidazione del patrimonio del comune debitore).
Si tratta, quindi, di un accertamento che mira a risolvere conflitti (potenziali o effettivi) non solo e non tanto tra il singolo creditore ed il debitore fallito quanto tra il singolo creditore e gli altri creditori che aspirano alla soddisfazione concorsuale dei propri crediti.
L’oggetto dell’accertamento del passivo, allora, non può essere limitato alla verifica della sussistenza dei crediti nei confronti del fallito, ma deve estendersi anche alla verifica della natura concorsuale dei crediti e cioè della loro anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento e della loro opponibilità alla massa dei creditori, quindi a soggetti terzi rispetto ai rapporti giuridici da cui i crediti derivano.
Ne consegue che i documenti, mediante i quali il singolo creditore intenda dimostrare la sussistenza e l’entità del credito e la sua anteriorità rispetto all’apertura della procedura concorsuale (anteriorità necessaria, perché il credito possa essere ammesso a concorrere nella distribuzione dell’attivo), non sono utilizzabili nei confronti del fallimento (cioè nei confronti degli altri creditori) se privi di data certa anteriore a quella di dichiarazione di fallimento.
Tanto anche alla luce del principio per il quale, in sede di formazione dello stato passivo, il curatore agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’insinuazione al passivo sia rispetto allo stesso fallito sicché, in applicazione dell’art.2704 cc, è necessaria la certezza della data nelle scritture allegate come prova della pretesa fatta valere nei confronti del fallimento (cfr. tra le più recenti Cass. 24320/2007).
A ben vedere i Giudici del Tribunale di Napoli con questa pronuncia hanno di fatto anticipato i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite che con sentenza n. 4213 del 20/02/2013, affrontando sia la problematica inerente la posizione del curatore nell’ambito del procedimento di accertamento del passivo che la possibilità del giudice di rilevare d’ufficio la mancanza di data certa delle scritture ha espresso i medesimi principi di diritto secondo i quali: “Il curatore fallimentare è terzo e non parte nel procedimento di accertamento del passivo e la mancanza di data certa è un fatto impeditivo dell’accoglimento della pretesa creditoria“.
Alla luce di tali motivazioni si può pertanto affermare che sono inopponibili alla massa dei creditori concorrenti gli atti e le scritture (ivi compresi i contratti ed i titoli di credito) privi di data certa.
Quanto poi, alla produzione in fotocopia dei documenti, sebbene il mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica di una scrittura privata ne rende relativamente incontestabile il testo ed eventualmente la sua provenienza dal sottoscrittore, pur tuttavia non ne rende affatto certa la data rispetto ai terzi, che per di più non sono tenuti al disconoscimento della scrittura per porne in discussione la data.
Secondo un’indiscussa giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, sono questioni distinte quella dell’autenticità e quella della datazione certa di una scrittura privata, per cui l’accertata autenticità della scrittura non esime chi l’ha prodotta contro i terzi dall’onere di provare la data effettiva della sua redazione.
Precisa il Collegio che, la produzione in fotocopia non permette di accertare se il documento consta di più fogli separati ovvero di un unico foglio composto di più facciate, così da poter riferire il timbro datario postale apposto sulla prima facciata anche alle ulteriori parti della scrittura, contenenti sia il testo del contratto che la sottoscrizione del contraente-cedente (in termini, cfr. Cass.15954/2005).
Nel caso di specie, il Tribunale non ritiene che la Banca abbia assolto l’onere di dimostrare la certezza delle proprie ragioni creditorie anzi, dall’esame della documentazione in atti era emerso che dei documenti riprodotti in fotocopia il timbro era apposto su di un foglio e la cessione su di un altro.
Sul punto la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “In tema di efficacia della scrittura privata nei confronti dei terzi se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, perchè la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita.” Cassazione civile, sezione prima – 28 Maggio 2012 – n° 8438.
Alla luce di tale argomentazione è opportuno procedere al deposito degli originali dei documenti muniti di timbro al fine di provare l’integrità del documento non avendo rilevanza il mancato disconoscimento della fotoriproduzione da parte della Curatela.
Testo del provvedimento
Il Tribunale di Napoli
VII sezione civile
riunito in camera di consiglio e composto dai magistrati:
Presidente relatore dr. Stanislao De Matteis
Giudice dr. Nicola Graziano
Giudice dr. Livia De Gennaro
ha pronunciato il seguente
DECRETO
avente ad oggetto: insinuazione tardiva allo stato passivo, e vertente
TRA
BANCA
RICORRENTE
ED
FALLIMENTO ALFA S.P.A.
RESISTENTE
Ragioni di fatto e diritto della decisione
1. Con ricorso depositato il 12.07.2012, la BANCA ha proposto opposizione avverso la esclusione dallo stato passivo del fallimento ALFA S.P.A. relativamente al credito di 250.849,66 vantato in forza di otto cessioni di credito.
Notificato il ricorso in opposizione in data 04.09.2012, il curatore del fallimento ALFA S.p.A. si è costituito in giudizio in data 28.12.2012, eccependo l’inammissibilità dell’opposizione stante la tardiva produzione del fascicolo della prima fase ed in ogni caso la mancanza di data certa della documentazione prodotta a fondamento della domanda.
All’udienza dell’8.01.2013, nel contraddittorio delle parti, è stato acclarato che la BANCA ha prodotto, unitamente al deposito del ricorso in opposizione, tutta la documentazione già depositata agli atti del giudizio di verifica con l’aggiunta di un ulteriore documento.
È emerso altresì che la BANCA, successivamente al deposito del ricorso in opposizione, ha depositato il fascicolo già agli atti del processo di verifica dei crediti. La curatela del fallimento ALFA SPA ha, dunque, reiterato l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione stante la tardività del deposito del fascicolo della prima fase.
Il giudice relatore si è, quindi, riservato di riferire al collegio in camera di consiglio.
2. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato ai sensi dell’art.99, novellato dal d.lgs. n.169/2007 – dal principio dispositivo, come qualunque ordinario giudizio di cognizione a natura contenziosa, per cui il materiale probatorio che lo concerne è quello prodotto dalle parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli artt.210 e 213 cpc, ed è solo quel materiale che ha titolo a restare nel processo;
Tale principio opera sin dalla fase della verifica dei crediti avanti al giudice delegato decidendo tale organo, ex art.95 l.fall., nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio e a quelle formulate dagli altri interessati (cfr. Cass.22711/2010, la quale, affermando detto principio, ha confermato il provvedimento con cui il tribunale non aveva acquisito d’ufficio i documenti contenuti nella domanda di insinuazione al passivo e non versati dal creditore, gli uni e l’altra, nel giudizio di opposizione allo stato passivo).
Quanto al termine ultimo per la produzione dei documenti in sede di opposizione, poi, va ricordato che in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento, anche nella disciplina prevista dal d.lgs. n.169/2007 (come nel regime intermedio, successivo al d.lgs. n.5/2006), per la produzione di documenti a sostegno dell’istanza di ammissione al passivo non trova applicazione il divieto di cui all’art.345 cpc, versandosi in un giudizio diverso da quello ordinario di cognizione e non potendo la predetta opposizione essere qualificata come un appello, pur avendo natura impugnatoria.
Tale rimedio, infatti, mira a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria e che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare ex art.96 l.fall., segnando solo gli atti introduttivi, ex artt.98 e 99 l.fall., con l’onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, il termine preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori (cfr. Cass.4708/2011).
È, dunque, sufficiente che con il ricorso ex art.99 l.fall., l’opponente produca la documentazione che ritiene necessaria e sufficiente a dimostrare la fondatezza della propria domanda.
E nel caso di specie, all’udienza dell’8.01.2013, è emerso che l’opponente, pur non avendo tempestivamente il fascicolo depositato innanzi al giudice delegato, ha tempestivamente prodotto tutta la documentazione già posta a fondamento della domanda.
Al riguardo, la curatela ha eccepito l’inammissibilità dell’opposizione stante il tardivo deposito del fascicolo di parte già depositato innanzi al giudice delegato.
In contrario, deve ribadirsi che, in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento nel regime previsto dal d.lg. n.169/2007, il mancato deposito del fascicolo della prima fase non costituisce causa di improcedibilità del giudizio in quanto l’art.99 legge fall., che indica il contenuto del ricorso, non fa riferimento alla predetta allegazione e l’unico richiamo sul punto concerne i documenti che la parte può discrezionalmente sottoporre al giudice (cfr. Cass.2677/2012).
3. Il curatore del fallimento, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza della domanda stante la mancanza di data certa delle otto cessioni di credito poste a fondamento dell’istanza di ammissione allo stato passivo.
Il giudizio di verificazione è finalizzato non solo alla individuazione dei creditori del fallito, ma anche (e soprattutto) alla selezione di quelli legittimati a concorrere alla distribuzione dell’attivo ricavato dalla liquidazione del patrimonio del comune debitore, nonché alla determinazione delle modalità di tale concorso, che deve conformarsi alle varie cause di prelazione che assistano i singoli crediti.
Si tratta, quindi, di un accertamento che mira a risolvere conflitti (potenziali o effettivi) non solo e non tanto tra il singolo creditore ed il debitore fallito (e invero il primo deve necessariamente sottoporre a verifica anche i crediti che siano stati già stati consacrati in titoli esecutivi efficaci nei confronti del fallito), quanto tra il singolo creditore e gli altri creditori che aspirano alla soddisfazione concorsuale dei propri crediti, i cui interessi sono, nei giudizi di impugnazione dello stato passivo, impersonalmente (quale “massa“) rappresentati dal curatore, ma rilevano a tal punto da legittimare ogni singolo creditore (oltre che a partecipare al contraddittorio incrociato che caratterizza il procedimento di accertamento svolgentesi davanti al giudice delegato) ad impugnare i provvedimenti di ammissione dei crediti altrui e ad intervenire nei giudizi di opposizione allo stato passivo da altri promossi.
L’oggetto dell’accertamento del passivo, allora, non può essere limitato alla verifica della sussistenza dei crediti nei confronti del fallito, ma deve estendersi anche alla verifica della natura concorsuale dei crediti e cioè della loro anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento e della loro opponibilità alla massa dei creditori, quindi a soggetti terzi rispetto ai rapporti giuridici da cui i crediti derivano.
La terzietà degli interessi coinvolti implica oltre alla non operatività dei meccanismi di semplificazione probatoria che l’ordinamento appresta facendo leva sul comportamento (processuale o extraprocessuale) tenuto dai soggetti titolari degli interessi in conflitto, su cui si tornerà più avanti l’applicabilità, anche in relazione all’accertamento della sussistenza del credito, della disciplina prevista dall’art.2704 cc in materia di certezza e computabilità riguardo ai terzi della data delle scritture private pur provenienti dal fallito.
Ne consegue che siffatti documenti, mediante i quali il singolo creditore intenda dimostrare la sussistenza e l’entità del credito e la sua anteriorità rispetto all’apertura della procedura concorsuale (anteriorità necessaria, come si è visto, perché il credito possa essere ammesso a concorrere nella distribuzione dell’attivo), qualunque ne sia l’efficacia nei confronti del fallito, non sono utilizzabili nei confronti del fallimento (cioè nei confronti degli altri creditori) se privi di data certa anteriore a quella di dichiarazione di fallimento.
Si tratta di principi che da tempo hanno trovato affermazione da parte della giurisprudenza di legittimità e che meritano conferma anche alla luce dell’attuale disciplina normativa: “la norma che sancisce l’opponibilità ai creditori degli atti compiuti del fallito solo se compiuti prima della dichiarazione di fallimento postula che detti creditori, che sono terzi rispetto ai suddetti atti, vantino una situazione di tutela in base ad un’altra norma, qual è quella dell’art.52, che dispone che il fallimento apre il concorso dei creditori nel patrimonio del fallito, di guisa che quest’ultima deve essere letta come se dicesse apre il concorso dei creditori anteriori. Fra questi creditori e quelli posteriori al fallimento si crea un conflitto giuridico, il quale emerge in sede di formazione della massa passiva, di opposizione ex art.98 e di impugnazione ex art.100
La norma che sempre dovrà essere tenuta presente per stabilire detta anteriorità, non può che essere quella più rigorosa, vale a dire quella dell’art.2704, comma 1°, c.c. che tutela la posizione dei controinteressati, e cioè dei creditori anteriori, in conflitto con quelli posteriori” (Cass. SU.8879/1990).
Inoltre, in sede di formazione dello stato passivo, il curatore agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’insinuazione al passivo sia rispetto allo stesso fallito sicché, in applicazione dell’art.2704 cc, è necessaria la certezza della data nelle scritture allegate come prova della pretesa fatta valere nei confronti del fallimento (cfr. tra le più recenti Cass. 24320/2007).
Sono, pertanto, inopponibili alla massa dei creditori concorrenti gli atti e le scritture (ivi compresi i contratti ed i titoli di credito) la cui data anteriore alla dichiarazione del fallimento “non risulti in modo certo, secondo le regole poste dall’art.2704 cc, per la cui osservanza – quando non sussista uno dei fatti dalla norma stessa indicati specificamente come idonei a conferire siffatta certezza alla data della scrittura privata non autenticata (registrazione, morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in un atto pubblico) e debba, invece, apprezzarsi, da parte del giudice, il ricorso ad altri fatti dai quali sia desumibile in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento all’evento suddetto- è necessario che tali ultimi fatti abbiano carattere di obbiettività e soprattutto che non possano farsi risalire al soggetto stesso che li invoca e siano sottratti alla sua portata” (così Cass.10161993; si veda anche, tra tante, Cass.4646/1997).
Ovviamente, nel caso in cui si tratti soltanto di accertare la anteriorità di un fatto documentato senza data certa, la inutilizzabilità della prova documentale non impedisce al creditore di provare altrimenti la suddetta anteriorità.
Ma quando il documento privo di data certa sia finalizzato a provare un contratto, occorre tenere conto della disciplina normativa del contratto medesimo ed in particolare della sua sottoposizione o meno a requisiti formali: se si tratta di contratto formale, infatti, la carenza di data certa del documento che lo contiene importa inopponibilità al fallimento del contratto medesimo (si veda, in tal senso, Cass.12684/2004, per cui “l’art.2704 cc richiede che la prova dell’anteriorità del contratto venga fornita nel caso in cui lo stesso abbia assunto la forma della scrittura privata, tramite l’autenticazione della sottoscrizione, salva la sussistenza di altre ipotesi in relazione alle quali sia possibile determinare comunque con certezza la data dell’atto -registrazione, morte di una delle parti etc.- ma, al tempo stesso, implicitamente consente che detta prova possa essere fornita con qualsiasi altro mezzo, e quindi anche tramite testimoni, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato con forma orale nelle ipotesi in cui ciò è consentito dalla legge“), nel senso che la inopponibilità della scrittura si traduce nella mancata prova (che deve essere necessariamente scritta) del contratto.
Inoltre, quando la data certa viene in considerazione in relazione ad un atto inteso non come semplice fatto storico, ma come contratto, essa non può che riguardare i suoi contenuti specifici, sicché non varrebbe a conferire data certa la semplice prova che un atto qualsivoglia, e di qualsivoglia incerto contenuto, sia stato stipulato in epoca anteriore al fatto certo, essendo invece necessario dimostrare che fu concluso quell’atto, con quegli specifici contenuti dai quali si pretende di dedurre effetti negoziali.
La qualità di terzo del curatore fallimentare (la quale sussiste sia per la sua natura di organo pubblico sia perché egli agisce nell’interesse della massa dei creditori e, quindi, di soggetti terzi rispetto ai negozi posti in essere dal fallito), quindi, rende, ai fini dell’ammissione al passivo, non opponibili al fallimento i crediti fondati su scritture private prive di data certa anteriore al fallimento, a meno che la prova dell’anteriorità del relativo negozio non venga acquisita aliunde, ma solo per quei crediti per i quali la prova scritta non sia richiesta ad substantiam o ad probationem (in relazione ai quali può rilevare soltanto la prova di fatti tali -per provenienza, obbiettività e specificità- da consentire di stabilire in modo certo l’anteriorità della formazione del documento, a norma dell’art.2704 citato e da rendere, quindi, opponibili le scritture private a contenuto contrattuale).
3.1. Non v’è dubbio, peraltro, che, secondo quanto prevede l’art.2719 cc, la parte contro la quale viene prodotta la fotocopia di un documento ha l’onere di disconoscerne il presunto rapporto di conformità con l’originale. Ma altrettanto certo è che questa presunzione di conformità attiene solo al testo della scrittura, non si estende anche alla forma e alla struttura del supporto materiale della documentazione.
E in realtà non potrebbe essere considerata difforme dall’originale una fotocopia che riproducesse su due fogli distinti il testo redatto in originale sulle due facciate di un unico foglio. Né potrebbe essere considerata difforme dall’originale la fotocopia che riproducesse su un unico foglio a quattro facciate un atto originale redatto su due distinti fogli, ciascuno di due facciate.
D’altro canto è vero che “l’art.2719 cc, il quale esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche cui vanno assimilate quelle fotostatiche , è applicabile tanto all’ipotesi di disconoscimento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione (che preclude definitivamente l’utilizzabilità del documento fotostatico come mezzo di prova, salva la produzione dell’originale da parte di chi intenda avvalersene, onde accertarne la genuinità all’esito della procedura di verificazione ex art.216 cpc), quanto a quella di disconoscimento della conformità della copia all’originale (che, tendendo al limitato scopo di impedire l’attribuzione alla stessa della medesima efficacia probatoria dell’originale, non impedisce al giudice di accertare tale conformità “aliunde” ed anche a mezzo di presunzioni)” (Cass.1525/2004).
Ciò nondimeno il mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica di una scrittura privata ne rende relativamente incontestabile il testo ed eventualmente la sua provenienza dal sottoscrittore. Ma non ne rende affatto certa la data rispetto ai terzi, che per di più non sono tenuti al disconoscimento della scrittura per porne in discussione la data (Cass.3705/1985, Cass.649/1984).
Secondo un’indiscussa giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, sono questioni distinte quella dell’autenticità e quella della datazione certa di una scrittura privata (Cass.520/2003); e l’accertata autenticità della scrittura non esime chi l’ha prodotta contro i terzi dall’onere di provare la data effettiva della sua redazione (Cass.3137/1980).
Nel caso in esame, dunque, il mancato disconoscimento da parte del fallimento ALFA S.P.A. della conformità all’originale delle otto cessioni di credito non esime la BANCA che le ha prodotte, dall’onere di provare la certezza della data ex art.2704 cc.
3.2. Nel caso di specie non ritiene il tribunale che la BANCA abbia assolto all’onere di dimostrare la certezza della data delle otto cessioni di credito poste a fondamento dell’istanza di ammissione allo stato passivo.
Ed infatti, le otto cessioni di credito sono prodotte in fotocopia. Così come in fotocopia è tutta la rimanente documentazione prodotta dall’opponente.
Ciò non consente di invocare la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “In tema di efficacia della scrittura privata nei confronti dei terzi, se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita” (sent.13912/2007).
Invero, la produzione in fotocopia non permette comunque di accertare se il documento consta di più fogli separati ovvero di un unico foglio composto di più facciate, così da poter riferire il timbro datario postale apposto sulla prima facciata anche alle ulteriori parti della scrittura, contenenti sia il testo del contratto che la sottoscrizione del contraente-cedente (in termini, cfr. Cass.15954/2005).
Anzi dall’esame della documentazione in atti sembra potersi dire che il timbro è apposto su di un foglio e la cessione su di un altro. Con il che deve escludersi l’invocabilità dell’anzidetta giurisprudenza.
3.3. La l. n.52/1991, che attiene alla cessione dei crediti di impresa, non ha dettato una disciplina complessiva del contratto di factoring, che resta un contratto atipico (Cass.17116/2004), ma solo alcune norme per tutelare, nei confronti dei terzi o delle situazioni di crisi che colpiscono una delle parti del rapporto di credito ceduto, la posizione del factor, la cui funzione è ritenuta importante per l’economia in generale in quanto favorisce il finanziamento delle imprese.
In tale ottica, l’art.5 detta per il cessionario del credito (il factor) una disciplina di favore per quanto attiene all’opponibilità della cessione nei confronti dei terzi (altri aventi causa, creditori o fallimento del cedente) disponendo che questa non debba derivare necessariamente dalle caratteristiche dell’atto con cui la cessione viene stipulata ma che l’opponibilità sussista per il solo fatto che abbia data certa il pagamento, parziale o totale, del corrispettivo della cessione, salva la facoltà del cessionario del credito di rendere l’atto di trasferimento opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile.
Ma nel caso di specie la BANCA ha finanche omesso di allegare che il corrispettivo delle cessioni abbia data certa.
4. In definitiva l’opposizione deve essere rigettata.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
il Tribunale di Napoli, pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 12.07.2012 dalla BANCA nei confronti del fallimento ALFA S.P.A., così provvede:
1. rigetta la domanda;
2. pone a carico della BANCA le spese del giudizio che liquida in complessivi 2.500,00 oltre IVA e CP come per legge.
Napoli, 10.01.2013.
Il Presidente relatore
dr. Stanislao De Matteis
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