ISSN 2385-1376
Testo massima
Le domande riconvenzionali, tardivamente proposte dal Fallimento per ottenere la declaratoria di inefficacia delle fideiussioni ex art. 64 legge fallimentare possono essere apprezzate quali eccezioni riconvenzionali.
In tema di effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, il giudicato formatosi tra il fallito ed un creditore sulla validità dell’atto a titolo gratuito compiuto nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento non preclude al curatore di farne valere l’inefficacia nei confronti della massa, ai sensi dell’art.64 legge fallimentare, in quanto tale conseguenza, derivante dal proprio fallimento e quindi non deducibile prima, non incide sull’accertamento contenuto nel giudicato (alla stregua di fatto impeditivo, estintivo o modificativo del credito), ma soltanto su detta opponibilità; inoltre, dal momento che la declaratoria di inefficacia ex art. 64 legge fallimentare, a differenza di quella ex art.67 legge fallimentare, non esige una pronuncia costitutiva, il curatore può dedurre l’inefficacia dell’atto a titolo gratuito, anziché con apposita domanda, anche con un’eccezione riconvenzionale, diretta semplicemente a paralizzare la pretesa del creditore.
Cosi si è pronunziata la Corte di Cassazione , sezione prima, con sentenza del 17/05/2012, n. 7774 che ha respinto una opposizione allo stato passivo proposta dalla banca tesa ad ottenere l’ammissione al passivo vantato in virtù di fidejussioni rilasciate dalla fallita a garanzia delle obbligazioni assunte verso l’istituto di credito da due società appartenenti al suo stesso gruppo, che, benchè portato da decreti ingiuntivi definitivamente esecutivi, ottenuti in danno delle società in bonis, il Giudice Delegato aveva ritenuto inopponibile al Fallimento ai sensi della legge fallimentare art. 64 legge fallimentare.
Gli ermellini hanno precisato che la declaratoria di inefficacia ex art.64 legge fallimentare, d’altro canto, non costituisce fatto impeditivo, estintivo o modificativo del credito, ma, limitandosi a rendere inopponibile al fallimento il titolo che ne costituisce la fonte, non incide in alcun modo su detto accertamento
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1948/2011 proposto da:
BANCA
– RICORRENTE –
contro
FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE)
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 234/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/02/2010;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 2.2.2010, ha respinto il gravame della BANCA avverso la sentenza 18.7.05 del Tribunale di Rovigo, che aveva a sua volta respinto l’opposizione legge fallimentare, ex art.98, proposta dalla banca per ottenere l’ammissione allo stato passivo del FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) del credito chirografario di Euro 2.277.524,77, vantato in virtù di fidejussioni rilasciate dalla fallita a garanzia delle obbligazioni assunte verso l’istituto di credito da due società appartenenti al suo stesso gruppo, che, benchè portato da decreti ingiuntivi definitivamente esecutivi, ottenuti dalla BANCA nei confronti del FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) in bonis, il G.D. aveva ritenuto inopponibile al Fallimento ai sensi della legge fallimentare art. 64.
La Corte territoriale – premesso che la domanda riconvenzionale legge fallimentare, ex art. 64, avanzata tardivamente in giudizio dal curatore, ben poteva essere apprezzata quale mera eccezione, tempestivamente dedotta, volta a paralizzare l’avversa pretesa – ha affermato che l’inefficacia, nei confronti della massa dei creditori, degli atti a titolo gratuito posti in essere dal fallito nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento non incide sulla loro esistenza e validità, sicchè, ai fini della loro opponibilità al fallimento, non rileva che i crediti da essi derivanti risultino definitivamente accertati in un giudicato formatosi fra le parti dell’atto medesimo; ha infine osservato che, nel merito, i motivi di appello della banca erano in parte inammissibili, perchè privi di attinenza alla decisione impugnata, ed in parte infondati, in quanto la prestazione delle garanzie non aveva arrecato alcun vantaggio alla FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE), non essendo contestato che, alla data di rilascio delle fidejussioni, le società garantite versassero già in stato di insolvenza.
BANCA ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sorretto da cinque motivi, cui il FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il PRIMO MOTIVO di ricorso, BANCA denuncia violazione dell’art. 2908/09 cc, artt.647, 696 c.p.c. e legge fallimentare, art. 95.
Osserva che il passaggio in giudicato dei decreti ingiuntivi sui quali si fondava la domanda di ammissione copriva “il dedotto e il deducibile” e dunque precludeva al Fallimento di introdurre la questione dell’inefficacia delle fidejussioni nei confronti della massa.
La censura è infondata.
Secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, invocata dalla stessa banca a sostegno del proprio assunto, l’efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti (c.d. giudicato esplicito), anche alle ragioni di fatto o di diritto che si presentano come un antecedente logico necessario della pronuncia (c.d. giudicato implicito) e che pertanto non possono essere fatte valere in un successivo giudizio per contrastare il diritto definitivamente accertato (cfr., fra tante, Cass. nn. 3434/011, 8650/010, 18791/09, 15343/09).
E’ tuttavia altrettanto consolidato il principio (che può, del resto, ricavarsi a contrario dalle medesime pronunce richiamate dalla ricorrente) che non sono coperti dal giudicato i fatti e le situazioni nuove o che, quantomeno, non erano deducibili nel giudizio in cui il giudicato medesimo si è formato (Cass. n. 15807/09, 21069/04).
Fra i fatti anteriormente non deducibili certamente rientra la questione concernente l’inefficacia, nei confronti della massa, del credito consacrato nel titolo giudiziale, in quanto nascente da un atto a titolo gratuito compiuto dal fallito nel biennio anteriore alla sentenza dichiarativa: la sanzione di inefficacia di cui alla legge fallimentare, art. 64, discende infatti direttamente dalla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che l’unico soggetto legittimato a farla valere è il curatore.
La questione non può pertanto ritenersi preclusa dal precedente giudicato formatosi fra il creditore e il fallito, che abbia definitivamente accertato la sussistenza e la validità del titolo azionato dal primo nei confronti del secondo.
La declaratoria di inefficacia, d’altro canto, non costituisce fatto impeditivo, estintivo o modificativo del credito, ma, limitandosi a rendere inopponibile al fallimento il titolo che ne costituisce la fonte, non incide in alcun modo su detto accertamento (cfr. Cass. n. 1180/78).
2) Col SECONDO MOTIVO, lamentando violazione dell’art. 112 cpc, la ricorrente rileva che, poichè essa aveva chiesto l’ammissione al passivo in forza di titoli giudiziali divenuti definitivi, il fallimento avrebbe potuto eccepirne l’inopponibilità, ma non dedurre l’inefficacia del rapporto sottostante alla loro emissione, in tal modo introducendo in giudizio una causa petendi nuova e diversa, sulla quale il giudice non poteva pronunciare.
La censura (rivolta alla sentenza di primo grado, ma ammissibile, in quanto già avanzata in sede d’appello e respinta dalla Corte territoriale), ove diretta effettivamente a denunciare un vizio di ultrapetizione della sentenza, risulterebbe manifestamente infondata, posto che, ai sensi dell’art.112 cpc, il giudice è tenuto a statuire sia sulle domande dell’attore sia sulle eccezioni del convenuto e che, non decidendo su queste ultime (eventualmente limitandosi, se ne ricorrono i presupposti, a dichiararle inammissibili), incorrerebbe, piuttosto, nel vizio di omessa pronuncia.
Qualora, poi, BANCA avesse inteso lamentare il mancato rilievo, da parte del giudice del merito, dell’inammissibilità dell’eccezione svolta dal Fallimento, siccome preclusa dal giudicato da essa azionato in sede di verifica, il rigetto della censura discenderebbe dalle considerazioni appena svolte in sede di esame del primo motivo.
3) Con il TERZO MOTIVO, denunciando violazione degli artt. 166, 167, 345 – 349 c.p.c., la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che le domande riconvenzionali, tardivamente proposte dal Fallimento per ottenere la declaratoria di inefficacia delle fideiussioni, potessero essere apprezzate quali eccezioni riconvenzionali.
Osserva a riguardo che, per contrastare un diritto definitivamente accertato in giudizio, è necessaria l’emissione di un provvedimento giudiziale affermante il diritto contrapposto, che presuppone un’apposita domanda.
Anche questo motivo deve essere respinto.
Come si è già in precedenza rilevato, la richiesta di declaratoria di inefficacia legge fallimentare ex art. 64, dell’atto compiuto dal fallito non è volta a porre nel nulla l’accertamento contenuto nel giudicato, ma solo a rendere inopponibile alla massa il titolo sul quale detto accertamento si fonda; e poichè (a differenza di quanto accade allorchè l’inefficacia sia fatta valere ai sensi della legge fallimentare, art. 67) tale declaratoria non comporta la necessità di emissione di una pronuncia costitutiva, non v’è dubbio che la richiesta possa essere oggetto di un’eccezione, con la quale il curatore miri semplicemente a paralizzare la pretesa del creditore (Cass. n. 23269/06).
Erra, infine, la banca nel ritenere che l’eccezione, in quanto fondata sul rapporto sottostante all’emissione dei decreti ingiuntivi, abbia inammissibilmente alterato il thema decidendum oggetto del giudizio di opposizione, che, a suo dire, avrebbe dovuto essere limitato alle questioni concernenti i titoli giudiziali da essa azionati.
L’assunto non trova fondamento in norme processuali, dalle quali, in contrario, si ricava (artt. 112, 167, 183 cpc) che il thema decidendum si forma anche in relazione alle eccezioni sollevate dal convenuto; nè, d’altro canto, è richiesto che le stesse dipendano, pena la loro inammissibilità, dal titolo dedotto in giudizio dall’attore.
4) Con il QUARTO MOTIVO, la ricorrente denuncia violazione della legge fallimentare art. 2901 cc, comma 2 e legge fallimentare, art. 64. Premette che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la prestazione di garanzia per debito altrui non può essere considerata a titolo gratuito quando sia contestuale al sorgere del credito garantito e rileva che, nel caso di specie, era rimasto del tutto incontestato in sede monitoria (e risultava, comunque, provato dai documenti prodotti, aventi data certa anteriore al Fallimento) che FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) aveva prestato le fidejussioni in coincidenza, logica e temporale, con la concessione alle società garantite dei fidi dai quali era poi scaturito il debito del quale le era stato ingiunto il pagamento.
Osserva, sotto altro profilo, che i rapporti pacificamente intercorrenti fra la fallita e le altre società del gruppo avrebbero dovuto comunque portare ad escludere il carattere gratuito delle fidejussioni.
Il motivo va dichiarato inammissibile.
Come si è accennato nella parte espositiva, la Corte territoriale – cui, con l’atto d’appello, era stata devoluta anche la questione di merito concernente l’inefficacia legge fallimentare ex art. 64, delle fidejussioni – ha dichiarato inammissibile il motivo di gravame di BANCA inteso a far valere la contestualità fra erogazione dei finanziamenti e concessione delle garanzie, rilevando che il suo laconico contenuto, consistente nel mero richiamo dei documenti dai quali la circostanza avrebbe dovuto evincersi, non teneva conto delle motivazioni di rigetto addotte, sul punto, dal primo giudice, che aveva escluso la rilevanza probatoria di quegli stessi documenti, aventi natura di atti interni, per di più privi di data certa; il giudice d’appello ha poi ritenuto infondato il motivo con il quale la banca aveva dedotto il carattere oneroso delle fidejussioni in ragione dell’appartenenza della FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) al medesimo gruppo delle due società garantite, osservando che queste ultime, allorchè le garanzie vennero prestate, versavano già in stato di insolvenza, sicchè doveva escludersi che la società poi fallita potesse trarre vantaggi, quantomeno indiretti, dall’operazione.
BANCA, anzichè censurare la prima statuizione riportando in ricorso il motivo d’appello dichiarato inammissibile ed illustrando le ragioni per le quali il suo contenuto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, era idoneo a rimuovere la pronuncia del Tribunale, si è limitata a rinviare ai documenti prodotti ed a dedurre che questi erano forniti di data certa, senza neppure considerare che in sede di legittimità le era precluso muovere contestazioni ad un accertamento compiuto dal giudice di primo grado e ormai coperto da giudicato interno; analogamente, la ricorrente, anzichè contestare la statuizione di rigetto dell’altro motivo d’appello attraverso la denuncia dell’omesso esame, da parte della Corte territoriale, di circostanze decisive, dalle quali si sarebbe potuto evincere che le due società garantite non versavano ancora in stato di insolvenza allorchè la FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE) sottoscrisse le fidejussioni, si è limitata a richiamare in ricorso quei principi giurisprudenziali, in tema di interesse di gruppo e di onerosità della garanzia, che il giudice del merito aveva ritenuto inapplicabili al caso di specie proprio perchè le società garantite erano ormai decotte.
Le censure si rivelano, pertanto, prive di attinenza al decisum, e, in definitiva, carenti di motivi rientranti nel paradigma normativo di cui all’art. 366 cpc, comma 1, n. 4 (Cass. n. 17125/07).
5) Manifestamente infondato è, infine, il QUINTO MOTIVO di ricorso, con il quale BANCA, denunciando violazione degli artt. 91 e 92 cpc, lamenta la mancata compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.
La banca, la cui domanda di ammissione è stata respinta, è rimasta interamente soccombente nel giudizio: la Corte di merito ha dunque correttamente applicato il disposto dell’art. 91 cpc, per di più ampiamente e congruamente motivando sulle ragioni che escludevano la possibilità di disporre la compensazione delle spese.
Anche le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la BANCA a pagare al FALLIMENTO SPA (FIDEIUSSORE). le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 15.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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Numero Protocolo Interno : 183/2012