Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi.
Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo, sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. unite, Pres. Canzio – Rel. Iasillo, con la sentenza n. 4090 del 16.02.2017.
Nella fattispecie in questione, una società ricorreva innanzi alla Suprema Corte nei confronti di un ex dipendente, onde ottenere la cassazione della sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino aveva accolto la domanda del lavoratore volta ad ottenere il ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, sovvertendo la sentenza di primo grado che aveva invece dichiarato improponibile la domanda siccome successiva ad altra, anch’essa proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro ed intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa.
L’ex dipendente della società resisteva con controricorso.
Con un unico motivo di ricorso, la società ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e art. 111 Cost., premesso che: a) la domanda azionata nel processo era stata preceduta da altra domanda, anch’essa proposta dal lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro dopo la cessazione del rapporto, intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa; b) l’ex dipendente aveva proposto, successivamente, il giudizio volto al ricalcolo del premio fedeltà senza motivare in alcun modo la scelta di “parcellizzare” i giudizi; c) entrambe le domande scaturivano da un unico rapporto obbligatorio intercorrente tra la società e l’ex dipendente ed avente ad oggetto il contratto di lavoro; d) il lavoratore al momento dell’attivazione della prima vertenza era nelle condizioni di fatto e di diritto per far valere entrambe le pretese e non aveva addotto alcuna ragione a sostegno della scelta di promuovere giudizi separati, lamentando, all’uopo, la violazione del divieto di abuso del processo per indebito frazionamento quale affermato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 23726 del 2007.
Con ordinanza interlocutoria, il Collegio della sezione lavoro della Corte, non condividendo i presupposti alla base del principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 23726 del 2007 secondo cui è vietato l’indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, anche ove derivanti da un medesimo rapporto di lavoro, fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti e produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi, provvedeva a rimettere gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di dirimere la questione ed, in particolare, al fine di stabilire se, una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore dovesse, o meno, avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie maturate nel corso del suddetto rapporto o che avessero trovato titolo nella cessazione del medesimo e se il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisse, o meno, abuso sanzionabile con l’improponibilità della domanda.
La Suprema Corte, chiarito che quando le Sezioni Unite hanno discusso di infrazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso, specificava che la tesi secondo la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, devono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo, non trova conferma nella disciplina processuale.
Il sistema processuale risulta, infatti, strutturato attorno ad una ipotesi di proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come ricavabile, tra l’altro, dalla disciplina di cui agli artt. 31, 40 e 104 c.p.c., in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte.
Per altro verso, proseguivano le Sezioni Unite, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorchè relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo, con conseguente perdita, ad esempio, della possibilità di agire in via monitoria per i crediti muniti di prova scritta o di agire dinanzi al giudice competente per valore per ciascuno dei crediti, fruendo del più semplice e spedito iter processuale eventualmente previsto dinanzi a quel giudice, con possibile esposizione alla necessità di “scegliere” di proporre (o meno) una tempestiva insinuazione al passivo fallimentare, col rischio di improponibilità di successive insinuazioni tardive per altri crediti.
Il Giudice di legittimità, esclusa l’infrazionabilità dei crediti facenti capo ad un unico rapporto obbligatorio, rilevava, allo stesso tempo, che l’ordinamento tende a consentire, ove possibile, la trattazione unitaria dei processi e comunque ad attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata degli stessi.
Ad avviso della Corte, non si tratta quindi di valutare “caso per caso” ed in relazione al bilanciamento degli interessi di ricorrente e resistente, l’azionabilità separata dei diversi crediti, nè tanto meno si tratta di accertare eventuali intenti emulativi o di indagare i comportamenti processuali del creditore agente sul versante psico-soggettivistico, ma di verificare la sussistenza, o meno, in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo.
In definitiva, concludevano gli ermellini, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo, sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi ove risulti in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
Ove, peraltro, non sollevata la questione dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicarla ai sensi dell’art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2.
Per quanto suesposto, le Sezioni Unite, considerato che la domanda proposta dal lavoratore nel processo era diretta al ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, mentre la domanda precedentemente proposta (anch’essa dopo la cessazione del rapporto di lavoro) era intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa, rigettavano il ricorso della società, compensando, tra le parti, le spese di lite.
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