ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di concordato fallimentare, spetta al giudice del merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, interpretarne i patti e la relativa sentenza di omologazione al fine di stabilire se il terzo ivi intervenuto rivesta la qualità di semplice fideiussore oppure quella di assuntore degli obblighi concordatari.
Testo del provvedimento
Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con ricorso depositato il 4.1.1995 A.B. e P.M., quest’ultimo quale liquidatore del concordato fallimentare di I.R. e B.S., proposero opposizione avverso l’esecuzione forzata iniziata dalla S.p.A. Cassa di Risparmio di
.. con atto di pignoramento trascritto il 17 luglio 1990 su un bene immobile del R..
A sostegno dell’opposizione dedussero che il Tribunale di Pistoia, con sentenza n. 460 del 18 luglio 1974, trascritta il 13 dicembre 1974, aveva omologato la proposta di concordato fallimentare presentata dal R. e dalla S. che prevedeva, tra le altre condizioni, il trasferimento a A.B. quale garante dell’adempimento della procedura, di tutte le residue attività accertate ed acquisite al fallimento, compresi anche tutti i beni immobili.
In seguito, P.M. era stato nominato liquidatore di tutte le attività del concordato fallimentare.
Soltanto una parte dei beni del fallimento erano stati trasferiti al B., mentre quelli sui quali era stata poi intrapresa l’esecuzione erano rimasti vincolati a garanzia dell’adempimento di alcune residue operazioni di liquidazione del patrimonio, quali il pagamento delle spese di procedura, del compenso del curatore del fallimento, dei crediti contestati e delle imposte in corso di accertamento.
Secondo gli opponenti l’esecuzione iniziata dall’istituto bancario era illegittima perché aveva per oggetto beni che, in seguito all’omologazione del concordato fallimentare, erano ormai di proprietà del B..
Tanto premesso, il B. e il liquidatore del concordato fallimentare convennero la S.p.A. Cassa di Risparmio di
dinanzi al Tribunale di Pistoia per sentir dichiarare la nullità o l’inefficacia del pignoramento. Instauratosi il contraddittorio, l’istituto bancario si costituì resistendo alla domanda, sostenendo che la sentenza di omologazione del concordato fallimentare non aveva riconosciuto al B. la qualità di assuntore, ma quella di semplice garante delle obbligazioni derivanti dalla proposta concordataria. Dedusse che non vi era stata una cessione dei beni ai garanti del concordato, neppure condizionata all’adempimento di tutte le obbligazioni assunte, e che in difetto di formale atto di trasferimento il B. non aveva mai acquistato la proprietà dei beni sui quali poi era stata iscritta ipoteca.
Con sentenza del 23 aprile 2002, il tribunale accolse l’opposizione di terzo, dichiarando invalido il pignoramento.
2.- Con la sentenza impugnata, depositata il 25.7.2005, la Corte di appello di Firenze, nella contumacia di R.I., in riforma della decisione del tribunale, appellata dalla Cassa di Risparmio di
., ha rigettato l’opposizione.
Secondo la corte di merito il B., in favore del quale non era mai stato emesso alcun atto di trasferimento dei beni immobili dei falliti (né alcuna trascrizione in suo favore era avvenuta, neppure della sentenza di omologazione del concordato fallimentare), in quanto mero garante del concordato e non assuntore, non era legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione intrapresa dalla S.p.A. Cassa di Risparmio di
, così come non lo era il M., nella sua qualità di liquidatore di un concordato che era stato dichiarato formalmente adempiuto.
Contro la sentenza della corte di merito il B. ed il liquidatore del concordato fallimentare hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la Cassa di Risparmio di
.
Non ha svolto difese R.I., regolarmente intimato.
3.1.- Con ilPRIMO MOTIVO articolato in quattro diversi profili i ricorrenti denunciano la falsa applicazione dell’art.124 l. fall, e deducono che:
a) la corte di merito ha erroneamente interpretato la sentenza di omologa del concordato pervenendo alla erronea qualificazione del B. quale garante del concordato e non come assuntore;
b) l’erronea qualificazione come garante è derivata, tra l’altro, dalla constatazione che non sì sarebbe verificato l’immediato trasferimento delle attività fallimentari mentre la giurisprudenza di legittimità ammette che il trasferimento dei beni all’assuntore possa essere subordinato alla completa esecuzione del concordato;
c) la corte di merito ha attribuito rilievo all’avvenuta nomina di un liquidatore, incompatibile con la figura dell’assuntore, ma si tratterebbe di decisione discrezionale del tribunale. Inoltre sarebbe incomprensibile l’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale la pronuncia di omologa avrebbe previsto il permanere in carica del curatore per la verifica dell’adempimento del concordato e per il trasferimento dei beni residui ai garanti ma nell’interesse dei falliti tornati in bonis, anziché della massa.
3.2.- Con il SECONDO MOTIVO i ricorrenti denunciano la falsa applicazione degli artt.42, 88 e 136 L. fall, e deducono che la corte di merito avrebbe erroneamente affermato che i falliti non avevano mai perduto la proprietà dei beni e, dichiarato l’adempimento del concordato, avrebbero potuto liberamente disporne. Erroneamente la corte di merito ha ritenuto che era stata accertata la completa esecuzione del concordato la quale, invece, presupponeva il trasferimento dei beni residui al B.. L’esecuzione non era stata accertata, come emergerebbe dai provvedimenti in data 25.7.1980 e 29.4.1993 del giudice delegato. Con tale ultimo decreto il g.d. mandava al curatore di richiedere il decreto di adempimento “dopo l’avvenuto trasferimento” dei beni al B. e alla data del 29.4.1993 la Cassa di Risparmio aveva già proceduto al pignoramento.
3.3.- Con il TERZO MOTIVO i ricorrenti denunciano la falsa applicazione degli artt.100 e 619 cpc e deducono che erroneamente la corte di merito avrebbe escluso la legittimazione dei ricorrenti a proporre opposizione all’esecuzione ex art.619 cpc.
Gli obblighi che gravavano (e tuttora gravano) sul liquidatore sono quelli di portare ad integrale esecuzione il concordato, anche nella parte in cui dispone.
4.- Il ricorso è fondato nei limiti infrascritti. L’interpretazione dei patti del concordato fallimentare e della sentenza di omologazione importa una “quaestio voluntatis” la cui risoluzione spetta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se correttamente e adeguatamente motivata. (Sez. 1, n. 10634/2007). Invero, lo stabilire se chi è intervenuto in un concordato fallimentare proposto da altri rivesta la qualità di semplice fideiussore oppure quella di assuntore degli obblighi del concordato, costituisce giudizio di fatto del giudice di merito, che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in Cassazione (Sez. 1, n. 1975/1969). Talché le censure sono inammissibili nella parte in cui presuppongono una diversa soluzione della detta questione in fatto, demandata al giudice di merito. Né, peraltro, risulta ritualmente denunciato un vizio di motivazione che possa consentire di scrutinare l’adeguatezza della giustificazione fornita dalla corte di merito.
A diversa conclusione occorre pervenire quanto alle rimanenti censure.
Invero, a prescindere dalla qualità rivestita dal B. nel concordato fallimentare in questione, è incontroverso che al medesimo dovessero essere trasferiti in esecuzione della sentenza di omologazione i beni residuati dopo i pagamenti previsti nella sentenza, così come è incontroverso che la banca resistente abbia agito per credito anteriore alla dichiarazione di fallimento, al quale è rimasta estranea (nel senso che possa essere validamente stipulata la cessione in proprietà di tutte le attività fallimentari a favore del garante del concordato, a titolo di corrispettivo per le obbligazioni da lui assunte, cfr. Sez. 1, Sentenza n. 1895/1965, oltre alla migliore dottrina classica e, sebbene come patto paraconcordatario, Sez. 1, Sentenza n. 2450/1988). Al fine di dare esecuzione a tali patti la sentenza di omologazione aveva nominato un liquidatore (cd. “staggittario”) e aveva conferito incarico al curatore di ritrasferire poi ai due garanti i beni eventualmente residuati, dando luogo a quella figura di concordato che nella prassi (e nella dottrina) è nota come “concordato a liquidazione controllata“.
Lo “staggittario“, cioè il fiduciario del tribunale che nella prassi giudiziaria ha il compito di curare, sotto la sorveglianza del curatore, l’attuazione del concordato fallimentare, non è un assuntore al quale le attività vengano cedute in proprietà, ma solo un mandatario al quale esse vengono solo affidate perché esegua la liquidazione dei beni, destinando il ricavato al soddisfacimento dei creditori (Sez. 1, Sentenza n. 2055/1978).
Dalla sentenza del tribunale si evince che il concordato non era stato ancora integralmente eseguito alla data di trascrizione del pignoramento.
Così come dedotto in ricorso, con il decreto in data 29.4.1993 il giudice delegato ha conferito incarico al curatore di richiedere il decreto di adempimento “dopo l’avvenuto trasferimento” dei beni al B., mentre alla data del 29.4.1993 la Cassa di Risparmio aveva già proceduto al pignoramento.
La situazione creatasi è analoga a quella che si verifica nel concordato fallimentare con assuntore allorquando il trasferimento a favore di quest’ultimo dei beni che sino a quel momento erano assoggettati al vincolo di indisponibilità a favore dei creditori dalla data di apertura del fallimento, per effetto di valida clausola del concordato risulti differito sino alla esecuzione da parte dell’assuntore delle prestazioni cui si è obbligato. In tale ipotesi «deve escludersi un reingresso medio tempore del fallito nella titolarità e disponibilità dei beni caduti nel fallimento, con la conseguenza della persistenza del detto vincolo di indisponibilità di essi e del correlativo divieto di azioni esecutive individuali sugli stessi» (Sez. 1, n. 4715/1987; Cass., n. 953/82; Cass., n. 4159/77; Cass. n. 3231/72), «rimanendo detti beni, “medio tempore”, nella massa fallimentare» (Sez. 1, n. 5147/1992).
Invero, l’omologazione del concordato fallimentare, ancorché comporti l’assunzione dei relativi obblighi da parte di un terzo, fino a quando non sia interamente eseguito, e salvo il caso in cui preveda l’immediata liberazione del debitore, non determina la decadenza degli organi fallimentari, i quali rimangono in carica, in relazione al perdurante interesse dei creditori alla conservazione del patrimonio del fallito, per il buon fine del concordato medesimo, o l’eventualità della sua risoluzione od annullamento (Sez. 1, n. 953/1982; Sez. 1, n. 2565/1986; Sez. 1, n. 16040/2011).
Il fenomeno era descritto, nella dottrina classica e con riferimento alla disciplina previgente, nel senso che, con l’omologazione del concordato, al fallimento, chiuso come procedura, succede una fase sostitutiva della liquidazione fallimentare, caratterizzata dalla esigenza di realizzare gli impegni che sono stati assunti col concordato stesso, con la conseguenza che i beni restano assoggettati al vincolo che già gravava su di essi.
È, poi, principio indiscusso che qualora il creditore, per causa anteriore all’apertura del fallimento del debitore chiuso con concordato fallimentare, agisca in via ordinaria, e consegua, dopo l’omologazione del concordato, cui sia rimasto estraneo, sentenza di accertamento e di condanna per l’intero ammontare del credito, senza che nel relativo giudizio sia stata dedotta l’esistenza del concordato stesso, gli effetti di quest’ultimo possono essere fatti valere in sede satisfatoria, anche con l’opposizione all’esecuzione (Sez. Un., n. 7562/1990).
Talché erroneamente in mancanza di completa esecuzione del concordato la corte di merito ha negato la legittimazione del liquidatore nel giudizio di opposizione, nel quale il B. è pure legittimato ad intervenire in quanto portatore di una legittima aspettativa al trasferimento del bene pignorato dopo la trascrizione della sentenza di omologazione la quale prevedeva il trasferimento ai garanti dei beni residuati, tra i quali quello oggetto del pignoramento.
Conclusivamente deve affermarsi che il divieto di azioni esecutive per i creditori anteriori al fallimento disposto dall’art.51 l. fall. permane, anche per i creditori rimasti estranei al fallimento, sino all’esecuzione (o risoluzione o annullamento) del concordato fallimentare il cui provvedimento di omologazione sia stato regolarmente trascritto.
Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, la quale provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione
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