ISSN 2385-1376
Testo massima
Il credito risultante dal saldo di conto corrente, nonostante sia stato alimentato da rimesse pensionistiche, non gode, allo stato della legislazione, dell’impignorabilità parziale relativa ai crediti da pensione.
L’art. 12, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 22 dicembre 2011, n. 214, non ha inciso sulla tematica inerente alla soggezione al pignoramento delle somme giacenti sul conto corrente, in relazione alla quale è costante in senso affermativo la giurisprudenza della Corte di cassazione, ma ha soltanto acutizzato, in via di fatto, il problema della pignorabilità indiscriminata degli emolumenti provenienti da crediti di lavoro e pensionistici, una volta transitati nel conto corrente, dal momento che ha reso obbligatorio detto transito.
Non può comunque sostenersi che le ipotesi di impignorabilità dei crediti da pensione possano estendersi, attraverso l’interpretazione giuridica o un’eventuale pronuncia additiva della Consulta, alla disciplina del pignoramento sul conto corrente.
È specificamente sotto tale profilo di incompletezza del sistema di tutela del pensionato, che l’attuale situazione normativa risulta incompatibile con il precetto contenuto nell’art. 38, secondo comma, della Carta Costituzionale.
E’ legittima l’interpretazione secondo la quale non sussiste alcuna preclusione o limitazione in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità di tali somme, ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche.
Queste le argomentazioni illustrate dalla Corte Costituzionale, intervenuta, con la recente sentenza n. 85, depositata il 15.05.2015, in materia di pignoramento dei saldi attivi di conto corrente alimentanti esclusivamente da rimesse pensionistiche.
La Consulta, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 22 dicembre 2011, n. 214, sollevata dal Tribunale ordinario di Lecce, Sezione distaccata di Galatina, relativamente alla questione della pignorabilità dell’indennità di disoccupazione confluita su conto corrente, ha al contempo evidenziato le forti discrasie del sistema normativo, in sostanza invocando un intervento del Legislatore, al quale la stessa non avrebbe potuto sostituirsi mediante pronuncia additiva.
La fattispecie nell’ambito della quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale riguardava l’esecuzione mobiliare presso terzi promossa da due privati avverso un proprio debitore, per un credito di alcune migliaia di euro. La richiesta di pignoramento dei saldi dei conti correnti riconducibili al debitore, aveva dato come unico esito la presenza di un saldo attivo presso un istituto di credito, chiamato dunque a rendere la “dichiarazione di quantità”. L’esecutato, proponendo opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., sosteneva che il suddetto conto corrente fosse alimentato esclusivamente dal periodico accredito dell’indennità di disoccupazione.
Nell’ordinanza del 12.02.2014, con la quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, il Giudice a quo rilevava che “sebbene da tempo la pignorabilità delle retribuzioni e delle pensioni fosse disciplinata nel rispetto del principio della limitazione delle pretese creditorie entro precisi limiti percentuali (ordinariamente corrispondenti ad un quinto del loro importo), in ragione di consolidati orientamenti giurisprudenziali, tali limiti verrebbero meno quando i predetti emolumenti confluiscano in un conto corrente bancario o postale. In tal caso, la somma perderebbe l’originaria qualificazione, confondendosi nella liquidità indistinta che costituisce il credito del correntista nei confronti della banca e, come tale, sarebbe completamente aggredibile da parte di un creditore terzo che provveda a pignorare i conti correnti del lavoratore o del pensionato, piuttosto che sottoporre a pignoramento il credito che questi vanti per retribuzioni o per pensioni presso il proprio datore di lavoro o presso l’istituto previdenziale erogatore”.
Tale questione ha acquisito speciale rilievo con l’entrata in vigore dell’art. 12, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, così come modificato dalla L. n. 214 del 2011, che ha inserito il comma 4 ter all’art. 2 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 14 settembre 2011, n. 148, che nel testo vigente dispone che “lo stipendio, la pensione, i compensi comunque corrisposti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dai loro enti, in via continuativa a prestatori d’opera e ogni altro tipo di emolumento a chiunque destinato, di importo superiore a mille Euro, debbono essere erogati con strumenti di pagamento elettronici bancari o postali, ivi comprese le carte di pagamento prepagate e le carte di cui all’articolo 4 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 30 luglio 2010, n. 122”.
Per effetto di tale previsione, dunque, si consentirebbe la totale apprensione dei proventi della pensione, una volta confluiti nel conto corrente, “di fatto violando anzitutto l’art. 38 Cost. che, nel sancire il diritto dei lavoratori, in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, vorrebbe che sia garantita loro la corresponsione di un minimum vitale, il cui ammontare è riservato all’apprezzamento del legislatore”.
Del pari, il Giudice a quo assumeva violato l’art. 3 Cost., producendosi una difformità di trattamento, a danno dell’esecutato, in ragione della possibilità per il creditore di scegliere tra l’aggredire il credito presso il datore di lavoro o presso l’ente previdenziale, e la possibilità di pignorare, invece, le medesime somme presso l’istituto di credito, dopo l’accredito sul conto corrente, “trattandosi – secondo il Tribunale di Lecce – di situazioni sostanzialmente identiche ma disciplinate in modo ingiustificatamente diverso”.
Sulla scorta delle medesime argomentazioni, il Tribunale di Lecce sollevava questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 3, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art, 1, comma 1, della L. n. 44 del 2012, laddove ha aggiunto, nel D.P.R. n. 602 del 1973, in materia di pignoramento presso terzi disposto dall’agente della riscossione, l’art.72-ter, “che violerebbe gli artt. 3 e 38 Cost., in quanto avrebbe ristretto il principio generale di impignorabilità relativa dell’emolumento solo ai rapporti debitori sorti nei confronti di Equitalia s.p.a., e non anche in quelli inter privatos”.
Concludeva per l’inammissibilità della questione la difesa erariale, ritenendo che il contemperamento delle illustrate esigenze competesse al legislatore, nella cui sfera di discrezionalità politica non poteva evidentemente operare alcuna ingerenza la Consulta.
La Corte Costituzionale, operata una compiuta ricognizione della normativa vigente in materia e chiarito che l’indennità mensile di disoccupazione rientri tra le prestazioni previdenziali assimilate alle pensioni sotto il profilo delle tutele assicurate dall’art. 38 Cost., ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale, pur prospettando evidenti ed inaccettabili falle nell’ordinamento vigente.
La Consulta ha precisato che “le norme limitative della pignorabilità delle retribuzioni e degli emolumenti assimilati sono contenute, insieme ad altre ipotesi di deroga, nell’art. 545 c.p.c.”, e che, “con riguardo alle pensioni ed agli emolumenti assimilati, il principio della limitazione della pignorabilità in termini analoghi a quelli previsti dall’art. 545 c.p.c. ha trovato specificazione nell’ambito pubblico attraverso il D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180. Ciò per effetto di un percorso normativo e giurisprudenziale complesso, fortemente influenzato dalle pronunzie di questa Corte, più volte chiamata in causa dai giudici di merito e dalla Corte di cassazione.
Con riguardo alla specifica questione dei crediti da pensione ed assimilati, confluiti su conto corrente, la Consulta ha richiamato un consolidato orientamento della Cassazione, per effetto del quale “nessuna preclusione o limitazione sussiste, in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità di tali somme, ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell’art. 1834 cod. civ.”. Dunque, i limiti della pignorabilità concernono i crediti per causa di pensioni o redditi assimilati, ma non le somme che ne sono oggetto, una volta erogate dal soggetto obbligato. Nel caso in cui l’accredito dei ratei della pensione o dei trattamenti assimilati venga effettuato, come di frequente avviene, su un conto corrente bancario o un libretto di risparmio, gli accrediti stessi si confondono con il resto delle somme ivi giacenti.
Poste tali premesse, la Consulta ha dichiarato inammissibile “la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito dalla L. n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., poiché il giudice rimettente è incorso in errore nell’individuazione della norma censurata. Infatti, egli non deve fare applicazione, nel caso di specie, della norma impugnata, bensì delle disposizioni in tema di conto corrente, le quali comportano, l’assenza di limiti al generale principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.”.
Significativo, comunque, il passaggio attraverso il quale la Consulta ha affermato che “se il credito per il saldo del conto corrente, nonostante sia stato alimentato da rimesse pensionistiche, non gode, allo stato della legislazione, dell’impignorabilità parziale relativa ai crediti da pensione, ciò non può precludere in radice la tutela dei principali bisogni collegati alle esigenze di vita del soggetto pignorato”.
A tal proposito, dunque, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “in tale contesto, l’individuazione e le modalità di salvaguardia della parte di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è riservata alla discrezionalità del legislatore, il quale non può sottrarsi al compito di razionalizzare il vigente quadro normativo in coerenza con i precetti dell’art. 38, secondo comma, Cost.”.
Del pari inammissibile, la questione dell’art. 3, comma 5, lettera b), del D.L. n. 16 del 2012, come convertito dalla L. n. 44 del 2012, – che ha introdotto l’art. 72-ter nel D.P.R. n. 602 del 1973.
Significative le statuizioni finali del provvedimento in esame, mediante cui la Consulta ha riconosciuto che “se l’aberratio ictus del rimettente in ordine alle norme censurate nel presente giudizio comporta l’inammissibilità delle questioni proposte, non può sottacersi che il principio di tutela del pensionato di cui all’art. 38, secondo comma, Cost., soffre, in relazione al quadro normativo illustrato, gravi limitazioni suscettibili di comprimerlo oltre i limiti consentiti dall’ordinamento costituzionale. Pur disponendo di ampia discrezionalità nella scelta del tipo di tutela delle condizioni minime di sostentamento del pensionato tra le molteplici ipotizzabili, il legislatore ha determinato una situazione che pregiudica la fruizione di un diritto sociale incomprimibile quando i mezzi destinati a tal fine per la semplice confluenza nel conto corrente bancario o postale, perdono il carattere di indisponibilità in relazione a misure cautelari ed espropriative”.
La questione della pignorabilità della pensione è stata oggetto anche di una proposta di Legge volta a modificare l’art. 545 c.p.c., a firma dell’Onorevole Michela Rostan (http://michelarostan.it/), presentata in parlamento il 23 giugno 2014 (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/pignorabilita-di-retribuzioni-e-pensioni-ecco-la-proposta-dell-on-le-rostan.html), al fine di ricondurre il sistema ad equità e progressività.
In particolare, tale proposta, mira ad “introdurre una norma che concretamente consenta al debitore pignorato di far valere l’esenzione dell’azione esecutiva sulle somme versate sul conto corrente in ottemperanza alle vigenti disposizioni di legge, che vietano l’incasso di somme superiori a 800 euro. È opportuno, pertanto, intervenire agendo direttamente sulla normativa codicistica di riferimento, adottando le contromisure necessarie affinché le procedure esecutive presso terzi possano essere rese più flessibili ed in grado di assicurare il soddisfacimento degli interessi seppur antitetici dei creditori (ampliando la percentuale di pignorabilità del credito) e dei debitori (non subendo pignoramenti per retribuzioni minime). Occorre modificare il sistema anche nell’interesse generale, ispirando lo stesso a una maggiore equità”.
Si osserva che detta proposta di legge ha evidentemente l’intento di sanare un vuoto legislativo relativo alla mancanza di una norma di tutela, essendo pacifico che le somme pervenute sui depositi bancari e postali possano essere pignorate senza limiti.
Tale proposta di legge intende altresì introdurre un preciso limite all’importo massimo pignorabile,
in quanto lo stesso è, ad oggi, frutto di elaborazione giurisprudenziale, ed individuato da una sentenza della Cassazione Civile, Sezione Terza, n. 6548 del 22.03.2011, (http://www.expartecreditoris.it/provvedimento.php?id=241&catid=21), che ha inteso ancorarlo ai limiti di una esistenza dignitosa. Nello stesso senso anche Cass. Civ. n. 18755 del 07.08.2013, (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/pensioni-sono-pignorabili-solo-per-l-importo-superiore-a-euro-525-89.html), che ha stabilito che è assolutamente impignorabile la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Con la pronuncia in commento, la Corte Costituzionale ha evidenziato la necessità di un intervento legislativo teso a sanare il vuoto legislativo, essendo evidente che allo stato è legittimo il pignoramento incondizionato di qualsivoglia somma, pur se corrisposta a titolo di pensione, in quanto la contabilizzazione sul conto e/o deposito bancario fa perdere l’originaria qualificazione.
La proposta di legge già esiste ed è anche ben articolata e giace in parlamento dal 23 giugno 2014 . Si attende solo la discussione.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 263/2015