È costituzionalmente legittima la sospensione dell’espropriazione della “prima casa”, prevista dall’art. 54-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 24 aprile 2020, n. 27?
Due diversi Tribunali, quello di Barcellona Pozzo di Gotto, prima, e di Rovigo, poi, hanno rinvenuto un fumus di incostituzionalità, rimettendo la questione alla Consulta.
La norma, il cui termine recentemente è stato prolungato fino al prossimo 30 giugno, prevede la sospensione di “ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare di cui all’art. 555 del c.p.c. che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”.
Il Tribunale di Barcellona P.G. aveva già osservato che “per effetto delle proroghe dell’efficacia temporale della sospensione, il diritto dei creditori ad agire in executivis è stato congelato” e soprattutto che “la norma non appresta alcun vantaggio per la tutela della salute individuale o collettiva, ovvero per tutelare le esigenze abitative dei debitori”. Piuttosto – ha sottolineato il Giudice siciliano – la disposizione si piega a logiche assistenzialistiche, come si ricava anche dal fatto che “non opera alcuna distinzione tra pignoramenti anteriori e successivi allo stato di emergenza, con la conseguenza che la sospensione è totalmente sganciata dall’accertamento di una qualunque correlazione tra la pandemia e l’espropriazione”. Tale intervento colpisce quindi in maniera indistinta tutti i creditori.
Con ancor più articolata motivazione, invece, il Tribunale di Rovigo, in persona del dott. Giulio Borella, con ordinanza del 18 gennaio 2021, ha ipotizzato che la disciplina in questione contrasti anzitutto con gli artt. 3, 41, 117 Cost.
La ratio della norma non può essere individuata nell’esigenza di tutela di una parte colpita dalla crisi da Covid-19: le procedure sospese alla data 30 aprile riguardano debitori divenuti insolventi ben prima di quella data. La ratio non può neppure essere quella, sempre legata all’emergenza sanitaria, di tutela della salute pubblica: non avrebbe senso altrimenti fermare solo le procedure aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore e, in ogni caso, il fine sarebbe già adeguatamente assicurato con le ordinarie misure. In questo modo le procedure esecutive immobiliari (sull’abitazione principale del debitore) potrebbero proseguire, al pari di come stanno proseguendo le cause civili ordinarie e i processi penali presso ogni tribunale.
Il legislatore emergenziale, a giudicare dal riferimento all’abitazione principale del debitore, intende quindi probabilmente tutelare il bisogno abitativo di una categoria di cittadini.
Sul punto, il Tribunale di Rovigo ha evidenziato che “una tale finalità è estranea all’emergenza Covid (non essendo il problema abitativo dei debitori attualmente esecutati collegato alla pandemia) e si tratta piuttosto di una ordinaria scelta di politica abitativa da parte del legislatore”.
Difetterebbe, dunque, il requisito di necessità dell’intervento sospensivo del legislatore, che, nel pregiudicare l’affidamento del cittadino e la libertà di iniziativa economica (le due cose sono collegate), “lo fa per sgravarsi dal dovere di risolvere un problema abitativo di carattere generale e non eccezionale, non determinato cioè dall’emergenza sanitaria in corso, ma ad esso antecedente”.
Il Giudice rodigino non ha mancato di considerare gli impatti “sistemici” della norma emergenziale sulla filiera degli NPL, i cui interessi vanno correttamente inquadrati nell’ambito della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost, posto che la realizzazione coattiva del credito è – per gli istituti bancari ed i Servicer in particolare – strumento “ordinario” di esplicazione della propria attività imprenditoriale.
Sicché gli interventi limitativi della libertà di iniziativa economica possono sì essere giustificati in relazione ad esigenze di lavoro, ambiente e salute, ma sempre a condizione di proporzionalità e tutelando il legittimo affidamento dei cittadini.
Proporzionalità e legittimo affidamento che, nel caso di specie, sembrano difettare.
Non marginale, poi, l’argomento della tutela della concorrenza: “La concorrenza è totalmente falsata dalle norme censurate, in quanto, se un imprenditore può imputare a rischio d’impresa che certi clienti non onorino gli impegni assunti e, quindi, se può imputare sempre a rischio d’impresa la necessità di dover procedere giudizialmente al recupero dei crediti e i tempi necessari, per tal via, per conseguire il bene della vita (predisponendo all’uopo anche i necessari mezzi, caparre, garanzie, penali, accantonamenti, riserve, ecc.), non rientra certo nel rischio d’impresa che le regole del gioco vengano modificate a partita iniziata, alterando la necessaria, sana programmazione e pianificazione aziendale. Se poi si considera, come già evidenziato, che la maggior parte delle espropriazioni immobiliari è avviata da istituti di credito e/o società veicolo per il recupero di NPL, l’aspetto della sana programmazione e pianificazione e l’impatto delle disposizioni censurate sulla programmazione aziendale e sulla concorrenza appare ancor più evidente”.
Ed ancora, la sospensione delle procedure esecutive violerebbe – secondo il Giudice – l’art. 42, comma 3, Cost., in quanto impedisce al creditore di chiedere l’assegnazione del bene immobile in pagamento, divenendone così proprietario, tramite l’istanza. Non vi è un interesse pubblico preminente e non è prevista alcuna forma di intervento compensativo.
Sotto altro profilo, la norma violerebbe l’art. 47 Cost. nella parte in cui quest’ultimo prevede che la Repubblica favorisce l’accesso del risparmio alla proprietà dell’abitazione: “Ogni difficoltà (non necessaria, adeguata e proporzionata) frapposta al recupero del credito, provoca come reazione una stretta nell’erogazione di ulteriore credito da parte degli istituti, in particolare ai ceti meno facoltosi della popolazione, così che si produce il paradosso per cui una norma pensata per favorire una fascia di soggetti ritenuti deboli (alcuni, quelli insolventi) finisce con il danneggiare proprio l’intera fascia dalla quale molti di quei soggetti provengono”.
Da ultimo, l’incostituzionalità potrebbe derivare dalla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, previsto dall’art. 111 Cost. e tutelato anche dall’art. 6 CEDU, il cui rispetto è dovuto ex art. 117 Cost.
La parola, quindi, alla Consulta…
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