Accade con una certa frequenza che – una volta individuati i rapporti bancari del debitore, magari avvalendosi del procedimento ex art. 492 bis c.p.c. – notificato atto di pignoramento presso terzi, sul conto corrente del debitore vi sia una provvista simbolica. Tale circostanza appare alquanto inusuale, tenuto conto che è notorio che la tenuta di un conto corrente, di regola, comporta oneri ben superiori alle poche decine di euro che si rinvengono come giacenti sul conto.
Ebbene, da tempo si è diffuso un modus operandi che spiega tale incapienza (recte, svuotamento del conto). Invero, il debitore che sia consapevole di essere esposto a pignoramento sul conto e che si trovi liquidità sul conto, trova agevole richiedere alla banca l’emissione di assegno circolare intestato a se stesso o ad un terzo di sua fiducia, che poi custodirà gelosamente … in attesa di tempi migliori. Con il risultato che, alla data di notifica dell’atto di pignoramento presso terzi, sul conto non si sarà liquidità disponibile, se non una risibile giacenza.
Peraltro, tale escamotage presenta un ulteriore vantaggio (pure esso illecito), in quanto abbassa la giacenza media sul conto, ai fini del calcolo ISEE. Ci si deve interrogare, quindi, quali siano gli strumenti che l’ordinamento giuridico mette a disposizione del creditore al fine di aggredire tale assegno circolare.
All’uopo, è opportuno precisare, da subito che il codice civile, all’art. 1997, dispone che il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo.
Epperò, la giurisprudenza, in un primo tempo aveva statuito che: “Il pignoramento di un credito incorporato in un titolo cambiario che, anziché nella forma del pignoramento presso il debitore diretto (prenditore o giratario del titolo), con materiale acquisizione del medesimo (art. 1997 c.c. e 513 c.p.c.), venga irritualmente eseguito nella forma del pignoramento presso terzi ai sensi dell’art. 543 c.p.c., cioè presso l’obbligato cambiario, è affetto da nullità radicale ed insanabile, la quale si riflette sugli atti successivi, ad esso collegati direttamente e necessariamente, e così anche sull’assegnazione del credito, e può essere dedotta e fatta valere dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi, senza essere vincolato al termine perentorio posto dall’art. 617 c.p.c.” (Cassazione civile sez. II, 07/04/1990, n. 2917).
Successivamente, ha invece affermato che: “L’opposizione con la quale il debitore fa valere l’irregolarità del pignoramento di un credito, incorporato in un titolo di credito emesso da un terzo, perché eseguito con le forme del pignoramento presso terzi (art. 543 c.p.c.) anziché con quelle del pignoramento presso il debitore (mediante, cioè, la materiale apprensione del titolo), ha natura di opposizione agli atti esecutivi e deve essere, pertanto, proposta nel termine di cinque giorni dalla ingiunzione al debitore di astenersi dal compimento di atti diretti a sottrarre alla garanzia i beni che si assoggettano alla espropriazione, dalla quale dipende il pregiudizio del debitore e l’interesse, quindi, dello stesso alla opposizione”. (Cassazione civile sez. III, 07/07/1993, n. 7394).
L’opposizione con la quale il debitore fa valere l’irregolarità del pignoramento di un credito, incorporato in un titolo di credito emesso da un terzo, perché eseguito nelle forme del pignoramento presso terzi (art. 543 c.p.c.) anziché con quelle del pignoramento presso il debitore (e cioè mediante la materiale apprensione del titolo), ha natura di opposizione agli atti esecutivi e deve, pertanto, essere proposta nel termine di cinque giorni dall’ingiunzione al debitore di astenersi dal compimento di atti diretti a sottrarre alla garanzia i beni che si assoggettano all’espropriazione, dalla quale dipende il pregiudizio del debitore e l’interesse dello stesso all’opposizione (Cassazione civile sez. III, 06/12/2004, n. 22876).
Peraltro, come statuito da Cass. civ. sez. III del 14 maggio 2019 n. 12715, il terzo pignorato, nell’espropriazione di crediti, non ha interesse e quindi non è legittimato a sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto si può avvalere dell’apposito rimedio oppositivo di cui all’art. 615 c.p.c. (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv. 630151 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01).
Se consideriamo, ancora, il dovere di collaborazione nell’interesse della giustizia che al terzo incombe quale ausiliario del giudice, deve quindi ritenersi che l’istituto di credito terzo pignorato (atteso che solo il debitore potrà proporre opposizione agli atti esecutivi, come sopra esposto) non possa limitarsi a dichiarare il saldo del conto corrente, ma dovrà, altresì, dichiarare che è stata richiesta l’emissione di assegno circolare e che – poiché tale assegno non è stato portato all’incasso – la banca detiene tuttora la relativa provvista. Invero, occorre attenzionare l’art. 49, comma 9° Dlgs. 21-11-2007 n. 231 a tenore del quale: Il richiedente di assegno circolare, vaglia cambiario o mezzo equivalente, intestato a terzi ed emesso con la clausola di non trasferibilità, può chiedere il ritiro della provvista previa restituzione del titolo all’emittente.
Se, quindi, il richiedente di assegno circolare intestato a terzi ha questo diritto (se l’assegno circolare fosse a sè intestato, infatti, dovrà semplicemente versarlo sul conto), va da sé che la banca detiene una provvista che costituisce un credito del correntista-debitore esecutato: sicchè la banca sia tenuta a dichiarare tale fondamentale circostanza, non potendosi limitare a dichiarare solo il saldo del conto. D’altronde, a ben vedere, non si tratta di un pignoramento sul titolo, bensì del pignoramento della relativa provvista, giacente in banca: sarà quindi onere del debitore restituire l’assegno alla banca, onde evitare che la banca sia costretta a pagare due volte il medesimo importo.
In difetto di tale restituzione, potrebbe attuarsi un’applicazione analogica della disciplina dell’ammortamento degli assegni (estendendo analogicamente i concetti di smarrimento, distruzione o sottrazione). Sul punto, comunque, si rileva come ai sensi dell’art. 86 ultimo comma Legge assegni: Nel caso di smarrimento, distruzione o sottrazione di un assegno circolare emesso con la clausola «non trasferibile» non si fa luogo alla procedura di ammortamento, ma il prenditore ha diritto di ottenere, dopo venti giorni dalla denunzia, il pagamento dell’assegno presso la filiale alla quale fu fatta la denunzia.
Quindi, possono svolgersi le seguenti considerazioni:
1) se l’assegno circolare è intestato al richiedente non si applica il suindicato art. 49, comma 9° Dlgs. 21-11-2007 n. 231 (che presuppone che l’assegno sia intestato a terzi) bensì il suindicato art. 86 ultimo comma Legge assegni, il quale esclude la procedura di ammortamento (dovendosi ritenere la mancata restituzione quale prova del suo smarrimento, distruzione o sottrazione); quindi, a mio avviso, la banca sarà tenuta a rendere disponibile la provvista.
2) ove, invece, l’assegno sia intestato ad un terzo ed il richiedente non provveda a restituire il titolo all’emittente (sia esso rimasto in possesso del richiedente ovvero consegnato al terzo beneficiario) il creditore, venuto a conoscenza dell’esistenza di tale titolo, potrà procedere ad un sequestro conservativo di tale titolo ex art. 2905, co. 2, c. c. e, quindi, anche nei confronti del terzo acquirente (sequestro da annotare sul titolo stesso ai sensi dell’art. 1997 c. c.), funzionale ad un’azione di simulazione assoluta ed, in subordine, revocatoria ordinaria, con la quale si deduca la mancanza di causa in ordine all’emissione di tale assegno circolare a favore del terzo: in tal guisa il creditore si precostituirà un titolo anche nei confronti del terzo beneficiario.
Ma c’è di più. Nell’ipotesi in cui il creditore abbia fatto precedere il pignoramento presso terzi da una richiesta di pignoramento mobiliare ed il debitore – richiesto dall’ufficiale giudiziario – abbia omesso di dichiarare di essere in possesso di tale assegno circolare, si renderà applicabile l’art. 388 8° comma codice penale, a tenore del quale: La pena di cui al settimo comma si applica al debitore o all’amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitato dall’ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione.
Una notazione finale, però va fatta. Onde evitare contestazioni sull’omnicomprensività dell’atto di pignoramento presso terzi, appare opportuno che – oltre a riferirsi ai rapporti di conto corrente ed altri rapporti in essere – si specifichi espressamente che l’oggetto del pignoramento ricomprende anche eventuali titoli di credito emessi su richiesta del debitore, ivi compresi gli assegni circolari, in atto non incassati e, correlativamente, il credito scaturente dalla restituzione della relativa provvista in possesso della banca.
A tal fine il creditore diligente, di fronte ad una dichiarazione di quantità negativa, potrà chiedere alla banca di precisare se vi sono assegni circolari emessi e non incassati.
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