ISSN 2385-1376
Testo massima
In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili ex art. 147 legge fallimentare, il curatore del fallimento SOCIALE è legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio.
Tanto in quanto la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale.
Il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società ex art. 148 legge fallimentare si intende dichiarato per l’intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall’insolvenza di questi, sicchè, tra l’altro, l’accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell’accoglimento di azioni revocatorie, produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società.
La Cassazione torna a pronunziarsi in merito ai rapporti tra il fallimento sociale e quello individuale con riferimento al potere del curatore fallimentare.
Permane il contrasto nella Suprema Corte in quanto si segnalano le seguenti decisioni, che hanno espresso diversi principi:
A) Cass. civ. Sez. I, 13-07-2007, n. 15677 CONFORME
1. La legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria di atti di disposizione patrimoniale compiuti a titolo personale dal socio illimitatamente responsabile compete anche al curatore della società, poiché l’effetto recuperatorio utilmente perseguito va a vantaggio dell’intero ceto creditorio e non dei soli creditori personali.
2. In tema di azione revocatoria fallimentare la rilevanza della prova della conoscenza dello stato di insolvenza, accertata con riguardo alla banca che ha agito come rappresentante dell’istituto di credito fondiario erogatore del mutuo e beneficiario dell’ipoteca iscritta a garanzia, può essere esclusa dal rappresentato, ai sensi dell’art. 1391 c.c., solo allegando e dimostrando che nell’operazione di finanziamento e nella complessiva contrattazione era possibile anche per il terzo finanziato (il socio poi fallito) discernere tra elementi predeterminati dal rappresentato e vincolanti per il rappresentante, da un lato, ed elementi del negozio finale compiuto dal rappresentante, dall’altro, restando altrimenti, ancorché in ipotesi sussistenti, inopponibili al terzo se non oggetto di conoscenza effettiva o almeno conoscibilità mediante strumenti pubblicitari idonei; parimenti, compete al rappresentante, che assuma di aver agito come mero nuncius del rappresentato e contrariamente alla veste formale assunta,dare la prova di aver operato come tramite della volontà del secondo e di avere reso edotto il terzo contraente di tale più limitata funzione, in contrasto con l’apparenza.
B) Cass. civ. Sez. I, 25-05-2001, n. 710 – CONFORME
In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (art. 147 l. fall.), il curatore del fallimento sociale non ha legittimazione processuale nella controversie coinvolgenti la massa attiva personale del fallimento del socio che abbiano ad oggetto diritti che già spettavano al fallito. Qualora, invece il curatore agisca in revocatoria contro atti del socio, in cui la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, la legittimazione del curatore ad esercitare le azioni che incrementino le masse attive è “in re ipsa” e deve da riconoscersi. (Nella specie, la Corte ha escluso la legittimazione del curatore del fallimento sociale ad agire per pretendere la liquidazione della quota di partecipazione del socio fallito ad una s.n.c. sul presupposto che l’interesse ad incrementare la massa attiva non basta a giustificare la legittimazione ad agire che sia prospettata come mezzo per esercitare diritti altrui al di fuori dell’ipotesi dell’azione surrogatoria).
C) Cass. civ. Sez. I, 30-01-1998, n. 969 – CONFORME
1. Nel quadro della giuridica coesistenza del fallimento della società e dei conseguenziali fallimenti dei soci illimitatamente responsabili, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria contro atti di disposizione compiuti dal socio va riconosciuta, oltre che al curatore del fallimento personale, anche al curatore del fallimento sociale, in considerazione dell’interesse correlato agli effetti positivi che, ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali, è destinato a produrre l’incremento del patrimonio personale del socio
2. In caso di fallimento di società di persone con consequenziale fallimento dei soci illimitatamente responsabili, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria contro atti di disposizione compiuti dal socio va riconosciuta oltre che al curatore del fallimento personale anche al curatore del fallimento sociale in considerazione dell’interesse correlato agli effetti positivi che, ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali è destinato a produrre l’incremento del patrimonio personale del socio.
D) Cass. civ. Sez. I, 02-12-1996, n. 10725 – CONFORME
In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (art. 147 l. fall.), il curatore del fallimento sociale è attivamente legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio, in quanto la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale; mentre il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l’intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall’insolvenza di questi; con la conseguenza, tra l’altro, che l’accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell’accoglimento di azioni revocatorie produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società.
A) Cass. civ. Sez. I, 13-12-2007, n. 26177 – DIFFORME
I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili, nonostante l’unicità della sentenza dichiarativa e degli organi della curatela e del giudice delegato, costituiscono procedure autonome, poichè si riferiscono a centri diversi di imputazione giuridica degli effetti di tale sentenza, stabilendo gli artt. 147 e 148, legge fall., la distinzione tra i patrimoni della società e dei soci, nonchè delle situazioni attive e passive riferibili alla prima ed ai secondi; pertanto, il curatore è legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o di ciascuno dei soci, a seconda della riferibilità della controversia all’uno o agli altri e, qualora subentri in un’azione revocatoria avente ad oggetto un atto compiuto dalla società ed agisca in qualità di organo del fallimento sociale ma altresì dei soci, deve attuare, ove processualmente tenuto, il contraddittorio con esplicito riferimento al fallimento di entrambi. (Cassa con rinvio, App. Bari, 23 Settembre 2003).
B) Cass. civ. Sez. I, 01-03-2005, n. 4284- DIFFORME
1. I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili costituiscono, nonostante l’unicità della sentenza dichiarativa di fallimento e dell’unicità degli organi, ai sensi dell’articolo 148, comma 1, della legge fallimentare, entità giuridiche diverse e centri diversificati di imputazione giuridica degli effetti della dichiarazione di fallimento, in quanto gli articoli 147 e 148 della legge fallimentare impongono la distinzione tra i patrimoni dell’una e quelli degli altri, tra gli stati passivi e le masse riferibili all’una e agli altri; ciò si riflette sulla posizione del curatore che sarà legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale, ovvero quale organo del fallimento di ciascuno dei soci, a seconda della riferibilità della controversia, nonché della direzione e dell’incidenza degli effetti della pronuncia giurisdizionale destinata a regolarla.
2. I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili, nonostante l’unicità della sentenza dichiarativa e degli organi delle procedure, costituiscono centri diversi di imputazione giuridica degli effetti di tale sentenza, in quanto gli artt. 147 e 148 legge fall., stabiliscono una distinzione tra i patrimoni della società e dei soci, tra gli stati passivi e le masse riferibili alla prima e ai secondi; pertanto, il curatore è legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o di ciascuno dei soci, a seconda della riferibilità della controversia all’uno o agli altri e, qualora proponga azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un atto compiuto da un socio, in proprio, egli deve agire in qualità di organo del fallimento del socio, dunque con esplicito riferimento al fallimento di quest’ultimo.
IL COMMENTO
Il contrasto giurisprudenziale in materia è annoso.
Con l’ultima decisione in rassegna la Suprema Corte ha ribadito che il curatore del fallimento SOCIALE è legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio, anche in mancanza di una esplicita costituzione in giudizio in quanto la rappresentanza è da considerasi implicita.
Tale decisione è condivisibile da un punto di vista sostanziale in quanto il curatore del fallimento sociale ha rappresentanza processuale ma è ampiamente censurabile in quanto si ritiene che il curatore fallimento sociale al fine di farla valere in giudizio dovrà NECESSARIAMENTE ESPLICITARLA con espresso riferimento al fallimento di entrambi.
In mancanza permarrà sempre una situazione di INCERTEZZA PROCESSUALE con possibile violazione del contraddittorio che potrebbe consentire, in caso di esito negativo dell’azione, la riproposizione della stessa azione esclusivamente quale curatore del fallimento del singolo socio.
Sul punto si segnala anche la sentenza della Corte di Appello di Napoli, ( link ) contraria alla sentenza in commento, che ha ritenuto ammissibile la riproposizione della medesima azione revocatoria da parte del fallimento INDIVIDUALE, nonostante il precedente giudicato intervenuto con il fallimento SOCIALE, in quanto resa tra soggetti in parte diversi.
Per tutte le ragioni indicante la tesi da preferire è quella della esplicita indicazione della duplice qualità del curatore per cui il curatore del fallimento sociale che agisce processualmente dovrà sempre indicare che agire sia per il fallimento SOCIALE che per quello INDIVIDUALE.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1063/2006 proposto da:
BANCA;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA S.N.C. F. G. DI G. G. & C, NONCHE’ DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI G.G. E V.M.;
– controricorrente –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritenuto che il Fallimento della s.n.c. Fratelli G. di G. G. & C. – dichiarato con sentenza dell’11 febbraio 1993 -, con citazione del 20 settembre 1993, espose che: a) la Società in bonis, in data 21 dicembre 1990, aveva ottenuto dalla s.p.a. C. un finanziamento di L. 170.000.000; b) la stessa Società, in data 26 luglio 1991, aveva ottenuto dalla Banca fideiussione bancaria in favore della s.p.a. C. per la somma di L. 242.000.000, mediante costituzione in pegno di un libretto di risparmio ordinario recante il saldo di L. 242.000.000; c) a seguito del mancato pagamento della Società alla s.p.a. C. delle rate successive al 31 dicembre 1991, la Banca – escussa dalla s.p.a. C. – aveva versato a quest’ultima la somma di L. 220.767.762; d) successivamente, la Banca aveva estinto il libretto di risparmio in suo possesso, incamerandone l’intero importo di L. 242.000.000; e) tale comportamento della Banca era lesivo della par condicio creditorum e doveva essere revocato ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3;
che, tanto esposto, il Fallimento convenne dinanzi al Tribunale di Napoli la Banca, chiedendo la revoca del predetto incameramento e la condanna della convenuta alla restituzione della somma di L. 242.000.000, oltre rivalutazione ed interessi; che, costituitasi, la Banca convenuta: a) eccepì innanzitutto la carenza di legittimazione attiva del Fallimento della Società, in quanto il libretto di risparmio costituito in pegno dai soci G. G. e V.M. risultava intestato a questi ultimi e non alla Società, ciò sul rilievo che, sebbene tali soci fossero stati dichiarati falliti ai sensi della L. Fall., art. 147, comma 1, quali soci illimitatamente responsabili, i Fallimenti della Società e di ciascuno dei soci restavano autonomi e distinti; b) dedusse poi che non sussistevano i presupposti della revocatoria proposta, in quanto con la scrittura costitutiva del pegno era stato stipulato un pactum de compensando, con la conseguenza che astrattamente revocabile era non già l’incameramento della somma ma tale patto, peraltro stipulato ben prima (26 luglio 1991) dell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (11 febbraio 1993); c) dedusse infine che il pegno di un libretto di deposito bancario è pegno “irregolare”, con la conseguenza che, intervenuto l’inadempimento del costituente – come nella specie -, la Banca poteva procedere alla compensazione ai sensi dell’art. 1853 cod. civ.;
che il Tribunale adito, con la sentenza n. 2214/03 del 21 febbraio 2003, dichiarò inammissibile la domanda, per carenza di legittimazione attiva del Fallimento della Società;
che, a sèguito di appello del Fallimento della Società, cui resistette la s.p.a. Banca della (già omissis), la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3018/05 del 28 ottobre 2005, ha accolto l’appello e, per l’effetto, ha dichiarato l’inefficacia nei confronti del Fallimento dell’acquisizione, da parte della Banca, della somma di L 220.767.762, di cui al libretto di risparmio n. (OMISSIS), ed ha condannato la Banca della Campania alla restituzione, in favore del Fallimento della Società, della somma di Euro 114.017,03, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalla domanda al saldo ed agli interessi legali sulla somma predetta, annualmente rivalutata secondo gli indici Istat dalla domanda al saldo;
che, in particolare – per quanto in questa sede ancora rileva -, la Corte d’Appello ha affermato: a) quanto alla legittimazione attiva del Fallimento della Società: “Nell’esperire l’azione revocatoria in questione, il curatore della società agisce come esclusivo portatore egli interessi della massa dei creditori, onde la legittimazione ad esercitare le azioni che giovano ad incrementare le masse attive, sia dei singoli soci che della società, è in re ipsa. Il curatore del fallimento della società infatti prospetta la diretta titolarità della situazione fatta valere, dal momento che le risorse recuperate giovano direttamente ai creditori sociali in danno dei quali – oltrechè in danno dei creditori individuali – esse erano fuoruscite da patrimonio del fallito, nel periodo sospetto, riducendo o annullando la garanzia patrimoniale che avevano costituito o concorso a costituire, anche a loro vantaggio” (viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione n. 7105 del 2001); b) quanto al merito: “Al riguardo si osserva che, nel documento costitutivo del pegno, G.G. e V.M. costituirono in pegno, in favore dell’istituto e in garanzia di quanto dovutovi in relazione alle suddette operazioni la fideiussione bancaria per L. 242.000.000 concessa alla F.lli G. s.n.c. il 26/7/1991 dalla stessa B. P. I. il libretto R. O. n. (OMISSIS) con saldo creditore di L. 242.000.000 emesso dalla B. P. I. sede di (OMISSIS). L’art. 7 del predetto atto prevedeva inoltre che ove siano costituiti in pegno libretti di risparmio al portatore, l’Azienda di credito, col preavviso di cui all’art. 6 – 5 gg. con lettera raccomandata – può prelevare direttamente le somme depositate fino alla concorrenza di quanto dovutole. La circostanza che il libretto dato in deposito sia stato specificamente identificato dalle parti nel documento costitutivo di pegno, e che il potere di prelevare la somma depositata fino alla concorrenza di quanto dovutole sia stato previsto solo in caso di inosservanza da parte del cliente degli obblighi assunti – e peraltro dopo il decorso di 5 giorni dalla richiesta di pagamento di cui all’art. 6, comunicata dall’azienda di credito con lettera raccomandata al cliente – porta ad escludere che, nel caso in esame, ricorrano gli estremi del pegno irregolare di cui all’art. 1851 c.c. Avendo infatti il G. e la V. vincolato, a garanzia del proprio adempimento, un determinato libretto di risparmio, e non avendo gli stessi conferito alla banca medesima la facoltà di disporre del relativo diritto, va riconosciuta la sussistenza di un pegno regolare (art. 1997 c.c. e art. 2784 cod. civ., e segg.), in base al quale la banca garantita non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare o scomputare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo od il documento stesso viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione n. 5845 del 2000. Deriva da quanto sopra, pertanto, la non configurabilità di un obbligo della Banca di restituire, anzichè il libretto, un importo pari a quello in esso annotato, e quindi la radicale assenza del presupposto dell’invocata compensazione con l’esposizione passiva della società (inerenza di entrambi i debiti a somme di denaro)”; c) quanto ai riconosciuti rivalutazione ed interessi: “La somma L. 220.767.762, in quanto debito di valore, va rivalutata sulla base degli indici di svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta dalla domanda al saldo viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione n. 2936 del 1997, ed incrementata degli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, sempre secondo indici istat, dalla domanda al saldo”;
che, avverso tale sentenza, la s.p.a. Banca (già omissis) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;
che resistono, con controricorso, il Fallimento della s.n.c. Fratelli G. di G. G. & C, nonchè il Fallimento dei soci illimitatamente responsabili G.G. e V. M.;
che ambedue le parti hanno depositato memoria;
che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che, con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla L. Fall., artt. 147 e 148, agli artt. 99 e 100 c.p.c., nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno erroneamente aderito all’orientamento espresso dalla sentenza di questa Corte n. 7105 del 2001, senza considerare che questa stessa sentenza e la successiva n. 4234 del 2005 depongono nel senso della carenza di legittimazione del Fallimento della Società in riferimento all’oggetto dell’atto revocando che è stato pacificamente effettuato dai due soci, G.G. e V. M., in nome proprio e non in nome e per conto della Società;
che, con il secondo (con cui deduce: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 345 c.p.c., nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) e con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 112 c.p.c., nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno omesso di considerare che il Fallimento attore, con la domanda formulata in primo grado, aveva chiesto la revoca – ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3 – dell’incameramento della somma di L. 242.000.000 portata dal libretto di risparmio, mentre, con 1 la domanda formulata in grado d’appello, aveva chiesto la revoca, ai sensi della medesima disposizione, dell’atto costitutivo di pegno, domanda questa inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 1, perchè nuova; b) omettendo di rilevare la novità della domanda, sono incorsi nel vizio di extrapetizione;
che, con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla L. Fall., art. 61, comma 1, n. 3, nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus, in contrasto con la lettera della evocata disposizione, hanno omesso di considerare che “il pegno non è stato affatto costituito a garanzia di debiti preesistenti non scaduti, ma a garanzia della eventuale escussione della fideiussione contestualmente prestata”;
che con il quinto motivo (con cui deduce: “Violazione o falsa applicazione, di norme di diritto, con riferimento all’art. 1224 c.c., e alla L. Fall., art. 61, nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, nella parte in cui concede la rivalutazione sulla somma oggetto di revocatoria, sostenendo che l’obbligazione restitutoria dell’accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore (viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 437 del 2000);
che il primo motivo del ricorso è infondato;
che, per respingere tale motivo, è sufficiente richiamare il prevalente orientamento di questa Corte – che il Collegio condivide – secondo cui, in ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (ai sensi della L. Fall., art. 147), il curatore del fallimento sociale è attivamente legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio, in quanto la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale, mentre il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l’intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall’insolvenza dello stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che l’accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell’accoglimento di azioni revocatorie produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10725 del 1996, 969 del 1998, 7105 del 2001, 22629 del 2006, 15677 del 2007);
che anche il secondo ed il terzo motivo sono privi di fondamento;
che in particolare, quanto al secondo motivo, la denunciata “novità” della domanda di revoca (ri)proposta in grado d’appello non sussiste;
che – posto che la domanda proposta con l’atto introduttivo del presente giudizio era così testualmente formulata: “1) accogliere la domanda e, per l’effetto, revocare L. Fall., ex art. 61, comma 1, n. 3, l’incameramento operato dalla convenuta Banca con l’acquisizione dell’importo del libretto di risparmio ordinario n. (OMISSIS) con saldo creditore di L. 242.000.000 emesso in data 26.7.1991 dalla stessa Banca, sede di —-, dichiarando illegittimo il suo accredito, apprensione e/od estinzione da parte della convenuta siccome in violazione della par condicio creditorum per la conseguente acquisizione alla massa fallimentare; 2) conseguentemente, condannare la stessa convenuta al pagamento e/o alla restituzione in favore dell’istante Curatela per tale causale della somma di L. 242.000.000 …”, e che la domanda (ri) proposta in grado d’appello era così testualmente formulata: “… 2) per l’effetto e in ogni caso, revocare L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 3, il pegno e/o l’incameramento operato dalla convenuta Banca mediante l’acquisizione dell’importo risultante a saldo del libretto di risparmio n. (OMISSIS) emesso in data 26.7.1991 dalla stessa Banca, sede di (OMISSIS), dichiarandone illegittimo l’accredito, l’apprensione e/o l’estinzione da parte della convenuta Banca siccome in violazione della par condicio creditorum per la conseguente acquisizione alla massa fallimentare; 3) conseguentemente, condannare la convenuta al pagamento e/o alla restituzione in favore dell’istante curatela per tale causale della somma di Euro 124.982,57 …”; – è del tutto evidente che il vizio denunciato non sussiste;
che, al riguardo, deve premettersi che, per costante orientamento di questa Corte, il mutamento della causa petendi determina una mutatio libelli quando la diversa causa petendi, essendo impostata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettati in precedenza, comporti l’immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza, mentre si ha semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 18513 del 2007 e 17457 del 2009);
che, nella specie, non v’è alcun dubbio che i fatti costitutivi del diritto fatto valere non hanno subito alcun mutamento nel passaggio dal primo al secondo grado del giudizio – com’è del resto incontestato, e tenuto comunque conto del fatto che il giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli si è concluso con il rigetto della domanda esclusivamente per l’affermata carenza di legittimazione attiva del Fallimento della Società -, mentre le lievi modifiche delle conclusioni formulate dinanzi al giudice dell’appello, rispetto a quelle formulate nel giudizio di primo grado, non costituiscono mutatio libelli, per il decisivo rilievo che la richiesta revoca dell'”incameramento” della somma portata dal libretto di risparmio costituito in pegno – ferma restando la domanda di revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3 – presuppone e comprende la revoca del pegno, cioè dell’atto costitutivo della garanzia;
che, quanto al terzo motivo, lo stesso è consequenzialmente infondato perchè, una volta esclusa la sussistenza di domanda “nuova”, è parimenti da escludere che i Giudici a quibus abbiano pronunciato su domanda inammissibile, incorrendo perciò nel denunciato vizio di extrapetizione;
che, invece, il quarto motivo – con il quale il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus, in contrasto con la lettera della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3, hanno omesso di considerare che “il pegno non è stato affatto costituito a garanzia di debiti preesistenti non scaduti, ma a garanzia della eventuale escussione della fideiussione contestualmente prestata” – merita accoglimento nei sensi di seguito indicati;
che la L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3, evocato dal Fallimento fin dall’atto introduttivo del presente giudizio – nel testo originario, applicabile alla fattispecie, ratione temporis -, dispone(va): “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore: … 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti”;
che alla critica della ricorrente il controricorrente Fallimento replica, al fine di supportare la giustezza dell’accoglimento della proposta revocatoria, che “il negozio fideiussorio, posto in essere dalla Banca, aveva il solo fine di apprestare una garanzia liquida alla C. S.p.A., permettendo allo stesso tempo al fideiussore convenuto il “sicuro” recupero del credito di regresso”, tale negozio fideiussorio essendo cioè un “espediente volto ad apprestare, attraverso la costituzione di un negozio formalmente ed apparentemente autonomo, ma sostanzialmente collegato al credito preesistente, una garanzia alla C. costretta a cautelarsi in un momento successivo al sorgere del credito”, sicchè “La prestazione della fideiussione garantita da pegno su libretto di deposito ordinario era … teleologicamente preordinata a preservare, ad un tempo, sia le ragioni della C. che della ricorrente Banca”;
che, tuttavia, i Giudici a quibus hanno del tutto omesso di motivare in ordine alla puntuale ricostruzione della fattispecie “trilaterale” – quale risulterebbe dall’esposizione del Fallimento -, alle relative vicende, ed all’eventuale collegamento negoziale tra il rapporto di finanziamento intercorso tra la Società fallita e la s.p.a.
C., il rapporto di fideiussione a favore di quest’ultima intercorso tra la Banca ed i soci G. G. e V.M. ed il rapporto di pegno di libretto di risparmio ordinario dagli stessi costituito unitamente alla prestata fideiussione, limitando invece la motivazione all’accertamento del rapporto di pegno ed alla qualificazione di tale garanzia come pegno regolare, con conseguente “non configurabilità di un obbligo della Banca di restituire, anzichè il libretto, un importo pari a quello in esso annotato, e quindi la radicale assenza del presupposto dell’invocata compensazione con l’esposizione passiva della società (inerenza di entrambi i debiti a somme di denaro)”;
che gli omessi accertamenti – e le conseguenti valutazioni – concernono fatti decisivi, dipendendo da essi le precise descrizione e qualificazione della fattispecie e la sua riconducibilità ad una delle ipotesi di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1 o comma 2;
che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al motivo accolto, con assorbimento del quinto motivo, e la causa deve essere rinviata alla stessa Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, la quale provvederà ad eliminare gli accertati vizi, nonchè a regolare le spese del presente grado del giudizio.
PQM
Rigetta i primi tre motivi del ricorso ed accoglie il quarto, assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 79/2013