Segnalata dall’Avv. Ascanio Amenduni del Foro di Bari
Per i depositi fallimentari, sotto la vigenza dell’art.34 l.fall ante riforma del 2006 non vi era l’obbligo di redigere i mandati di pagamento in triplice originale e/o di esibirli alla banca in copia conforme, pertanto l’istituto non aveva che l’onere di esaminare il mandato in copia, trattenendone un esemplare. Né la banca era tenuta a verificare la sussistenza del provvedimento del giudice collegato allo specifico mandato.
La mancata ottemperanza all’ordine di esibizione di documentazione bancaria ultradecennale è giustificata dalle disposizioni di cui agli artt. 119 TUB e 2220 cc, che pongono a carico dell’istituto un onere di conservazione a ritroso per soli dieci anni.
È inconfigurabile in concreto la responsabilità contrattuale della banca per aver dato corso ad un mandato di pagamento contraffatto, laddove non siano dedotti elementi per i quali la contraffazione dovesse ritenersi grossolana e/o comunque rilevabile “ictu oculi” dall’operatore bancario medio.
Infatti, benché la diligenza richiesta all’istituto non sia quella ordinaria né quella media, bensì quella “professionale”, propria dell’operatore (per l’appunto) professionale nel campo della intermediazione del denaro, cosicché, nella identificazione della correttezza formale e sostanziale di ogni mandato di pagamento non devono essere consentite alla banca disattenzioni che, se invece rapportate all’uomo comune, potrebbero anche non integrare gli estremi del comportamento negligente, il “bancario medio” non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né deve essere un esperto grafologo.
Così si è espresso il Tribunale di Bari, in persona del dott. Giuseppe Rana, all’esito di una complessa vicenda processuale avente ad oggetto l’esecuzione di mandati di pagamento in favore di un Curatore fallimentare, in mancanza di specifiche autorizzazioni del giudice delegato e le conseguenti (eventuali) responsabilità configurabili in capo alla banca ed al Curatore “infedele”.
LA VICENDA PROCESSUALE
La pronuncia trae origine dall’azione di responsabilità contrattuale o – in subordine – extracontrattuale promossa dalla (nuova) curatela di un Fallimento contro un istituto di credito, sul presupposto che quest’ultimo avesse effettuato pagamenti in favore del precedente curatore (revocato per condotta illecita), con prelievo dal conto corrente intestato alla procedura, omettendo di rilevare la falsificazione dei mandati di pagamento e/o di verificare la sussistenza dei sottostanti provvedimenti autorizzativi del Giudice Delegato.
Prima di avviare l’azione contro la banca in sede giudiziale, la curatela aveva richiesto alla Banca l’esibizione dei mandati di pagamento posti alla base delle singole operazioni di prelevamento, con le relative autorizzazioni del Tribunale, nonché la consegna di tutti gli estratti conto analitici relativi al conto corrente intestato alla procedura.
Successivamente la curatela aveva promosso azione di responsabilità e rendiconto nei confronti del precedente curatore, ottenendo dal giudice ordine di esibizione della documentazione richiesta alla banca.
La banca aveva ottemperato solo parzialmente all’ordine di esibizione pronunciato dal G.I. fornendo i soli estratti del c/c intestato al fallimento e la documentazione relativa alle operazioni effettuate limitatamente all’ultimo decennio, sul presupposto che l’onere di conservazione di detti documenti non si estendesse oltre tale stretto periodo temporale.
Per tale ragione la curatela aveva proposto ricorso ex art. 700 cpc – accolto dal Tribunale – allo scopo di ottenere l’adempimento integrale all’ordine di esibizione, ma anche in tal caso la banca aveva dato corso solo parzialmente al provvedimento ordinatorio, deducendo peraltro che nelle more era stato eseguito un sequestro dalla Procura della Repubblica su parte dei documenti richiesti.
Provata la responsabilità del vecchio curatore “infedele”, che aveva prelevato senza autorizzazione somme dal conto corrente della procedura, mediante mandati di pagamento contraffatti e/o comunque in assenza di provvedimento autorizzativo del Giudice Delegato, per una cifra pari circa a 225 mila euro, la (nuova) curatela citava in giudizio la Banca per ottenere, nell’ordine:
- l’accertamento della responsabilità contrattuale nell’adempimento della prestazione, per violazione degli artt. 1366-1374-1375 cc;
- la condanna dell’istituto al risarcimento del danno arrecato al fallimento, per aver favorito con la sua condotta incauta e negligente la distrazione delle somme di pertinenza della massa fallimentare, per un importo pari alle somme distratte dal curatore;
- l’accertamento della responsabilità extracontrattuale della banca per aver arrecato danno ai creditori concorsuali, con condotta imprudente e negligente;
- la conseguente condanna dell’istituto banca a risarcire il danno arrecato nella misura ritenuta di giustizia.
Si costituiva in giudizio la banca convenuta, respingendo ogni addebito e chiedendo (ed ottenendo) la chiamata in causa in manleva del vecchio curatore fallimentare, rispetto al quale non poteva non estendersi la responsabilità dei fatti prospettati dalla nuova curatela.
Il Tribunale disponeva consulenza tecnica d’ufficio e tratteneva la causa in decisione.
LA DECISIONE
Con coerenti ed articolate argomentazioni, il giudice barese ha preso le mosse dalla configurazione della invocata responsabilità della banca quale responsabilità contrattuale conseguente alla violazione degli obblighi oggetto dell’esecuzione della prestazione richiesta, non tanto per aver causato direttamente il danno, quanto per aver favorito, con una sorta di “agevolazione colposa”, l’operato infedele del Curatore Fallimentare.
Ciò posto, ai fini della valutazione della – eventuale – violazione degli obblighi contrattuali, il Tribunale ha dovuto preliminarmente individuare il contenuto e la misura di detti obblighi, per giungere ad una risoluzione concreta circa la configurabilità della responsabilità in capo all’istituto.
La soluzione sta nella risposta al seguente interrogativo: qual è (rectius, era) l’estensione della misura della diligenza richiesta all’istituto nella esecuzione dei mandati di pagamento? Ovvero, sotto altro angolo prospettico, quali attività doveva porre in essere la banca per evitare di concorrere alla causazione del danno ai creditori concorsuali?
Il Tribunale affronta tale questione partendo dall’esame di un dato normativo: l’art. 34 l.fall., precedentemente alla riforma delle procedure concorsuali del 2006-2007 (cioè all’epoca dei fatti), nel far riferimento al “mandato di pagamento”, non richiedeva l’esibizione di copia conforme e – peraltro – la prassi bancaria già da tempo escludeva la necessità di presentare un originale del mandato.
Diversamente da quanto invocato dalla curatela, non vi era la necessità di redigere il mandato in triplice originale, né tantomeno la banca aveva l’onere di verificare la sussistenza del provvedimento del giudice collegato allo specifico mandato.
In definitiva: la banca aveva semplicemente l’onere di esaminare il mandato in copia, trattenendone un esemplare.
Quindi, tornando al contenuto ed alla misura della diligenza richiesta alla banca, il Tribunale ha ritenuto di dover valutare unicamente il profilo della sussistenza/insussistenza dei mandati in relazione ai quali erano stati eseguiti i prelievi e della rilevabilità della contraffazione degli stessi.
Qui un necessario inciso circa la richiesta – formulata a più riprese dalla curatela attrice – di esibizione della documentazione bancaria anteriore al decennio, dal momento che, naturalmente, le indagini non potevano che effettuarsi sui soli mandati e documenti presenti agli atti.
Sul punto, il giudice barese ha chiaramente affermato la piena giustificabilità della mancata esibizione dei documenti più “vecchi” di dieci anni rispetto alla richiesta stragiudiziale di consegna formulata dalla curatela: gli artt. 119 TULB e 2220 cc chiaramente impongono un onere di conservazione che non può estendersi oltre tale lasso di tempo.
Di conseguenza, sarebbe incoerente un ordine processuale (e/o comunque una valutazione negativa della condotta della banca che non vi abbia ottemperato) del tutto scollegato dalla normativa sostanziale e del tutto disomogeneo rispetto alla ratio di quest’ultima.
Peraltro, nel caso di specie, la banca aveva opportunamente giustificato la mancata esibizione anche con l’intervenuto sequestro in sede penale della documentazione richiesta.
Per le altre operazioni, l’avvenuta acquisizione dei mandati ha imposto una considerazione in termini di diligente esame da parte della banca del documento esibito allo sportello al momento dell’operazione.
Si viene quindi alle risultanze della consulenza: il CTU ha verificato che in tutti i casi oggetto di contestazione, si era in presenza di dolosa creazione/alterazione di mandati di pagamento e di presentazione degli stessi in banca.
In fattispecie siffatte – afferma il Tribunale – si potrebbe in via astratta ascrivere, in capo alla banca, una responsabilità contrattuale per la tenuta di una condotta non diligente e la non osservanza di precise norme negoziali.
E si noti che, sul punto, la diligenza richiesta «non sarebbe semplicemente quella ordinaria né quella media bensì è quella “professionale”, propria dell’operatore (per l’appunto) professionale nel campo della intermediazione del denaro, cosicché, nella identificazione della correttezza formale e sostanziale di ogni mandato di pagamento non devono essere consentite alla banca disattenzioni che, se invece rapportate all’uomo comune, potrebbero anche non integrare gli estremi del comportamento negligente».
Fissata la regola astratta, si viene alla valutazione concreta: qual è la diligenza professionale richiesta al “bancario medio” e quali elementi avrebbe dovuto dedurre la curatela per dimostrare la mancata adozione di detta diligenza?
La decisione del Tribunale, conformemente alla propria giurisprudenza ed a consolidati orientamenti in punto di contraffazione di mandati di pagamento o di assegni, è netta: la responsabilità della banca va limitata ai soli casi in cui l’alterazione sia rilevabile “ictu oculi”, in base alle conoscenze del funzionario di media competenza o esperienza, in quanto quest’ultimo «non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né deve essere un esperto grafologo».
Ebbene, nel caso di specie, la curatela non aveva prodotto neppure una perizia grafologica di parte, idonea a dimostrare la percepibilità ictu-oculi ovvero la grossolanità delle contraffazioni, né aveva dedotto altri elementi di fatto che avrebbero potuto o dovuto indurre il banchiere ad un atteggiamento più prudente, quali per esempio l’abnormità delle somme prelevate o la concentrazione di molte operazioni nell’unità di tempo.
Sulla scorta di tali argomentazioni, non essendovi luogo a provvedere sulla domanda di manleva proposta dalla banca nei confronti del curatore “infedele”, il Tribunale ha rigettato ogni domanda della curatela, ritenendo l’istituto esente da qualsivoglia responsabilità per i prelievi fraudolenti del professionista revocato.
IL COMMENTO
La pronuncia del Tribunale di Bari desta particolare interesse per la ricchezza delle argomentazioni e l’importanza dei principi espressi.
Invero, troppo spesso si tende superficialmente a formulare l’equazione “pagamento di titolo/mandato contraffatto = automatica responsabilità della banca”, trascurando il reale contenuto e l’estensione degli obblighi contrattuali dell’istituto di credito e la concreta rilevabilità della contraffazione e/o alterazione.
È invece evidente che non può richiedersi alla banca una specifica e complessa attività di analisi dei titoli e/o dei mandati presentati allo sportello, che vada oltre il controllo formale della apparente integrità, completezza e coerenza del documento.
Sarebbe paradossale peraltro pretendere dal funzionario di media esperienza una valutazione di ordine grafologico e/o l’utilizzo di complessa strumentazione per la rilevazione delle alterazioni fisiche o chimiche.
Il principio, di ordine generale, è stato più volte oggetto di riflessione su questa Rivista. Sul punto si segnala un’importante pronuncia della Corte d’Appello di Napoli:
ASSEGNO BANCARIO – FIRMA APOCRIFA: LA BANCA NON È RESPONSABILE SE LA FALSITÀ NON EMERGE ICTU OCULI
La banca non è tenuta a predisporre particolari attrezzature idonee ad evidenziare il falso o l’alterazione mediante strumenti meccanici o chimici
Sentenza | Tribunale di Napoli, dott. Fabio Perrella | 28.05.2014 |
La decisione del Tribunale pugliese è poi rilevante per un aspetto che non può passare “sotto traccia”: la giustificazione dell’inottemperanza della banca all’ordine di esibizione di documenti risalenti ad epoca anteriore al decennio.
La normativa sostanziale, di cui agli artt. 119 TUB e 2220 cc, si traduce in regola processuale: la banca non ha l’onere di conservare documentazione ultradecennale e, pertanto, non può essere onerata ad esibirla in giudizio, potendo legittimamente sottrarsene.
Invero, sarebbe paradossale il contrario.
Dunque, non si tratta tanto di valutare il provvedimento che ordini l’esibizione di documentazione più “vecchia” del decennio in termini di legittimità-illegittimità. Bisogna prendere piuttosto atto che un siffatto provvedimento ordinatorio si palesa – di fatto – ineseguibile, né la condotta della banca che intenda sottrarsene può essere negativamente valutata sul piano processuale, in termini di valutazione dell’onere della prova, ovvero ai fini della condanna alle spese.
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