In tema di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito bancario, la verifica dell’effetto prescrittivo da parte del CTU va eseguita sul saldo del conto così com’è, non su quello rettificato a seguito dell’eliminazione di poste illegittime, non potendosi aderire a quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 9141 del 19/5/2020 e con quella n. 3858/21 del 15/2/2021.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Torino, Giudice Silvia Vitrò, con la sentenza n. 4671 del 20 ottobre 2021, che si è espressamente distaccato dalla posizione assunta in materia dalla Corte di Cassazione.
Nella fattispecie in esame è accaduto che una società correntista agiva in danno della Banca onde richiedere la restituzione di somme indebitamente percepite dall’Istituto a titolo di interessi ultralegali, spese e commissioni – a suo dire – non debitamente pattuite.
La correntista lamentava allo stesso tempo che il saldo al momento della chiusura del conto risultava illegittimo perché non epurato di tutte le voci indebite.
Per le ragioni indicate, chiedeva predisporsi una CTU tecnico-contabile in grado di rilevare il quantum indebitamente percepito dalla Banca, con condanna della medesima al risarcimento dei danni patiti.
Costituitasi in giudizio, la Banca convenuta eccepiva la prescrizione ordinaria del diritto alla ripetizione con riferimento a tutte le poste asseritamente indebite, intervenute sul rapporto di conto corrente oltre il decennio anteriore alla domanda di mediazione promossa dal cliente, trattandosi di rimesse solutorie ovvero di rimesse avvenute su conto c.d. “scoperto” (in assenza di fido o, comunque, con versamenti destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento), e, dunque, qualificabili come “pagamenti” di competenze bancarie, il cui diritto alla ripetizione si prescrive a decorrere dalla data della relativa annotazione.
Pertanto, ai fini dell’accertamento dell’eventuale sconfinamento, la Banca convenuta chiedeva di considerare il saldo come configuratosi prima degli accertamenti condotti in sede peritale (saldi contabili).
RIMESSE SOLUTORIE –RIPRISTINATORIE
Il Giudice, intervenuto a dirimere la controversia, ha in primo luogo richiamato la differenza ontologica tra le due tipologie di rimesse: rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie, evidenziando la prescrittibilità delle sole rimesse solutorie, cioè di quelle che si riferiscono a reali pagamenti effettuati dal correntista a titolo di interessi, spese, ecc., e non le c.d. rimesse ripristinatorie, che hanno luogo in caso di esistente affidamento bancario (in tal caso i versamenti del correntista hanno solo funzione ripristinatoria della provvista che può essere continuamente riutilizzata, con conseguente assenza di effetto solutorio).
PRESCRIZIONE
In materia di contratto di conto corrente bancario, la decorrenza della prescrizione delle rimesse solutorie, operate cioè su di un conto in passivo, quando non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure su di un conto scoperto, essendo i versamenti destinati a coprire quella parte del passivo eccedente il limite dell’accreditamento, matura sempre dalla data dell’annotazione; per le rimesse ripristinatorie, che al contrario, ripristinano l’affidamento concesso dalla Banca in conto corrente, il termine prescrizionale inizia a decorrere dalla data di chiusura del rapporto di conto corrente.
ONERE PROBATORIO
Dunque il termine di prescrizione decorre, per le rimesse solutorie, dalla data dell’effettuazione dei singoli pagamenti; in caso di rimesse ripristinatorie, invece, dalla data di chiusura del conto corrente (v., per es.: Cass. SU n. 24418/2010).
In tema di onere probatorio, il Giudicante chiarisce altresì che la Banca convenuta che abbia eccepito la prescrizione dell’azione, ha l’onere di allegare l’inerzia del titolare nel termine di prescrizione ordinario e dichiarare di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie.
Spetterà poi all’attore correntista l’onere di provare la natura ripristinatoria delle rimesse effettuate e dunque l’esistenza dell’affidamento.
Tra l’altro, resta onere del correntista anche la prova della pattuizione scritta dell’affidamento.
Infatti, l’esistenza del contratto di apertura di credito deve essere provata con la forma scritta e non può essere fondata su altri elementi come prove indirette, quali gli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, la stabilità dell’esposizione, l’entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto, oppure voci quali “spese gestione fido” e “revisione fido”.
Ai fini della individuazione delle rimesse solutorie e/o rispristinatorie – in mancanza di contratto scritto – il limite dell’affidamento non si può individuare nello stesso massimo scoperto consentito di fatto (Cass. civ., sez. 1, 30/10/2018 n. 27705; nello stesso senso: Corte Appello Torino 9/6/2017 n. 1277; Trib. Catania 17/5/2018 n. 2167);
Tuttavia, rispetto al rigore propugnato in giurisprudenza ai fini della prova della sussistenza di un affidamento scritto, il Giudice richiama la più recente Cassazione (Cass. civ., sez. I, 28/2/2020 n. 5610; si veda anche Trib. Milano 28/11/2017 n. 11984) che, invece, arriva ad affermare che è comunque possibile dedurre dalla documentazione prodotta elementi indiziari sufficienti a sostegno della stipulazione del contratto di affidamento
“Per vero, non sussiste a carico del cliente alcuna preclusione, né sul piano della validità, né conseguentemente su quello della prova. Sul piano della validità, la nullità del contratto bancario amorfo – come in generale le nullità previste dalle norme di trasparenza del T.U. – è nullità c.d. unilaterale, ossia soltanto il cliente può farla valere: così, chiaramente, l’art. 127 co. 2 T.U. bancario. A ciò segue che, se il cliente preferisce chiedere l’esecuzione del contratto bancario ancorché amorfo o in ogni caso non ne eccepisce la nullità ex art. 117, il giudice non può rilevarla d’ufficio in deroga alla generale rilevabilità ex art. 1421 c.c. della nullità contrattuale”
SALDO BANCA
Il Tribunale di Torino, nella fattispecie de qua, rispetto alla verifica dell’effetto prescrittivo da parte del CTU assume una posizione divergente rispetto a quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 9141 del 19/5/2020 e con quella n. 3858/21 del 15/2/2021 (redatta, peraltro, dal medesimo estensore di quella precedente), affermando che la suindicata verifica vada effettuata sul saldo del conto così com’è, non su quello rettificato a seguito dell’eliminazione di poste illegittime.
La recente Cass. 19.5.2020 n. 9141 ha espresso l’opinione che “per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento. L’eventuale prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato non influisce sulla individuazione delle rimesse solutorie, ma solo sulla possibilità di ottenere la restituzione di quei pagamenti coperti da prescrizione”.
Per avvalorare il proprio motivato dissenso dall’anzidetto pronunciamento di legittimità, il Giudice torinese ha argomentato sui presupposti della nota decisione della Cassazione a Sezioni Unite sui rapporti tra prescrizione e natura delle rimesse (Cass. Civ. SS.UU. 24418/2010).
Le Sezioni Unite, segnatamente, sanciscono che hanno natura di “pagamento” – determinando la decorrenza della prescrizione dalla data in cui sono eseguiti – i versamenti che “abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca”. La circostanza che il pagamento sia avvenuto in virtù di un titolo nullo, come normalmente si verifica nelle controversie tra cliente e banca, non posticipa il dies a quo dal momento del pagamento a quello dell’accertamento giudiziale della nullità, poiché la pronuncia ha carattere meramente dichiarativo e non toglie che lo spostamento patrimoniale, dal solvens all’accipiens, abbia avuto luogo con l’esecuzione della prestazione indebita.
Nell’ottica delle Sezioni Unite, il giudizio sulla qualificazione del versamento deve farsi secondo la situazione esistente alla data in cui è eseguito e non in funzione di scenari ipotetici. In questa cornice, il versamento su conto affidato non è diverso da un versamento su conto attivo, nel senso che l’uno e l’altro non comportano la perdita della disponibilità delle somme versate dal lato del cliente, il quale, come ha versato, così può riutilizzare le medesime somme, e non equivalgono pertanto a “pagamento”. Al contrario, se il conto è scoperto, il versamento riduce l’esposizione debitoria del cliente, fino al limite del suo azzeramento (se in assenza di fido) o al limite superiore del fido (se in sconfino), senza che il cliente abbia facoltà di nuovamente utilizzare le somme versate, né che la banca sia tenuta a consentire un nuovo utilizzo delle stesse. Nel contesto dato, appare certo che il versamento ha avuto “lo scopo e l’effetto di determinare uno spostamento patrimoniale”, determinando la perdita di disponibilità delle somme che il cliente ha versato, e che lo stesso è pertanto assimilabile quoad effectum a un pagamento e non a un deposito di somma di denaro.
In sintesi, lo spostamento patrimoniale è escluso se la riduzione dell’esposizione debitoria comporta la riespansione, in pari misura, della facoltà di utilizzo della medesima somma di denaro e sussiste invece se questa riespansione non può verificarsi, perché il versamento è fatto su un conto “scoperto”, senza fido o oltre il limite del fido.
Alla luce di ciò, il Tribunale di Torino ritiene che due considerazioni depongano per l’utilizzo del “saldo banca”, anziché di quello depurato, al fine di decidere la qualificazione del versamento, se pagamento o deposito.
La prima è che, per previsione di legge (art. 119 TUB), la banca e non il cliente è la parte contrattualmente autorizzata a elaborare i conti. Il cliente può evidentemente impugnare le risultanze dell’estratto e censurare anche oltre i limiti temporali fissati dall’art. 1832 c.c. la legittimità della registrazione in conto, perché avvenuta per un titolo nullo, ma finché l’errore non è riconosciuto dalla banca o è giudizialmente accertato e il conteggio non è conseguentemente rettificato, il saldo elaborato dalla banca ha effetto anche nei confronti del cliente.
La seconda è che non esistono modalità di utilizzo del c/c che non richiedano la cooperazione della banca per avere efficacia. Se il saldo evidenzia che il conto è “scoperto”, il prelievo di contanti, l’esecuzione degli ordini di bonifico ecc. sono prima facie impossibili.
Se il cliente dipende da scelte discrezionali della banca, ciò vuol dire che egli non ha facoltà di disporre in assenza di copertura.
La possibilità di impugnare la nullità del contratto o di sue singole clausole, più ampiamente l’illegittimità degli addebiti e di portare alla luce un saldo rettificato a credito o entro i limiti del fido, non restituisce al versamento su conto “scoperto” lo “scopo ed effetto di ripristinare la disponibilità”, anziché di ridurre puramente e semplicemente l’esposizione debitoria, poiché la nullità del titolo non toglie che il denaro sia uscito dalla sfera di controllo del cliente.
Secondo la sentenza in esame, non è possibile rimettere il giudizio sulla qualificazione della rimessa, se pagamento o ripristino di disponibilità, “all’esito della declaratoria di nullità”, poiché “la disponibilità” idonea a impedire lo spostamento patrimoniale consiste nella concreta conservazione del potere di disporre di una somma di denaro e non può che essere verificata sulla base della situazione dichiarata esistente al tempo in cui il versamento è eseguito. Che a distanza di oltre dieci anni si scopra che il c/c era attivo o entro i limiti del fido non toglie che il cliente, nell’intervallo, abbia perduto la disponibilità della somma versata e che l’abbia perduta al tempo stesso del versamento.
Per tali ragioni, il Giudice ha ritenuto infondata la difesa dell’attrice, di utilizzo del saldo banca anziché di quello “legittimo”, rigettando le pretese avanzate, con condanna al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
INDEBITO BANCARIO: AI FINI DELLA PRESCRIZIONE È IRRILEVANTE IL “FIDO DI FATTO”
L’AFFIDAMENTO RICHIEDE LA FORMA SCRITTA “AD SUBSTANTIAM”, LA CUI PROVA GRAVA SULL’ATTORE IN RIPETIZIONE
Sentenza | Tribunale di Reggio Calabria, Giudice Elena Manuela Aurora Luppino | 01.09.2021 | n.118
INDEBITO-PRESCRIZIONE: È VALIDAMENTE PROPOSTA QUANDO LA PARTE HA PROVATO L’INERZIA DEL TITOLARE
IL CORRENTISTA HA L’ONERE DI PROVARE L’ESISTENZA DI UN AFFIDAMENTO
Sentenza | Tribunale di Napoli, GOT Avv. Vincenzo Scalzone | 27.07.2020 | n.5326
ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE – RIPETIZIONE INDEBITO: NON NECESSITA DEL DIES A QUO DEL DECORSO
L’ELEMENTO QUALIFICANTE È L’ALLEGAZIONE DELL’INERZIA DEL TITOLARE DEL DIRITTO
Sentenza | Corte di Cassazione, sez. I civ., Pres. De Chiara – Rel. Scotti | 28.02.2020 | n.5610
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