ISSN 2385-1376
Testo massima
Il 6 maggio 2015 è entrata in vigore la legge 44 sul prestito vitalizio ipotecario, istituto che consiste in una forma di finanziamento riservata a chi ha compiuto i 60 anni ed è proprietario di un immobile.
Il soggetto dotato dei predetti requisiti può avere in prestito una somma di denaro, il cui rimborso è garantito da ipoteca sul bene, libero da altre iscrizioni pregiudizievoli, per il quale non dovrà pagare nessuna rata, né interessi per tutta la vita. L’importo ottenibile varia tra il 15% ed il 55% del valore di mercato del bene ed è in relazione alla età del beneficiario: più alta è questa, più elevata la misura del finanziamento.
Al momento della morte del contraente, gli eredi possono optare per una delle seguenti soluzioni:
a) pagare il debito accumulato e mantenere l’immobile, ricorrendo all’occorrenza ad un mutuo;
b) permettere che la banca venda l’immobile per coprire il debito, con l’obbligo di restituire agli eredi le somme eccedenti.
È stato ritenuto che l’istituto in questione rappresenti una sorta di “mutuo al contrario” in quanto non c’è nessun rimborso fino alla scadenza, ossia per tutta la vita del sottoscrittore, ma nel momento in cui gli eredi devono restituire l’importo, attraverso una delle due forme anzidette, esso sarà pari alla capitalizzazione composta sul capitale prestato e sugli interessi maturati secondo le regole dell’anatocismo, previste dallo strumento finanziario de quo, che, in deroga all’art. 1283 c.c., rende possibile (salvo i correttivi di cui si dirà), la maturazione degli interessi anche su quelli già scaduti, causando una crescita esponenziale del debito. Ciò potrebbe scoraggiare il ricorso a tale istituto, invero già introdotto con la legge finanziaria del 2006, cui ha fatto seguito l’aggiornamento in esame, anche in ragione del fatto di essere rimasto in pratica “lettera morta“. Se è così, potrebbe essere vanificata la ratio che ha ispirato il provvedimento adottato dal legislatore, mosso dall’intento di stimolare la domanda privata di beni e servizi, stante l’indebolimento di quella pubblica mercé l’immissione sul mercato di liquidità attraverso il prestito bancario.
Queste, in buona sostanza, le linee guida della legge 44, che ha prescritto una disciplina più compiuta ed articolata rispetto a quella (scarna) prevista dalla precedente legge 248/2005, relativamente ad un istituto giuridico che, nato in Gran Bretagna alla fine degli anni ’90, con la definizione Reverse Mortgate, si è diffuso rapidamente in tutto il mondo anglosassone, per poi approdare in Italia. Qui, però, come visto, ha avuto una timida accoglienza, cui il legislatore del 2015 tenta ora di rimediare per il perseguimento degli obiettivi macroeconomici di cui si è detto, ma anche per soddisfare i fabbisogni di molte famiglie italiane che, a seguito dell’inasprimento della congiuntura economica, non dispongono più di risorse per conservare il proprio livello di benessere, necessario, ad esempio, per procedere alla ristrutturazione della propria abitazione, per aiutare i propri figli negli studi o mantenerli per l’obiettiva crisi del mercato del lavoro che genera sempre più una situazione di disoccupazione.
Ma vediamo quali sono in dettaglio gli aspetti più significativi ed innovativi, rispetto la precedente disciplina, della legge 44/15 costituita da un unico articolo con cui viene sostituito il comma 12 dell’art. 11 quaterdecies del DL 30/09/2005 n. 203 convertito con modificazioni della L. 02/12/2005 n. 148, ed aggiunti i commi 12 bis, ter, quater, quinquies e sexies.
Ruolo importante assume in tale contesto il nuovo comma 12, che definisce il contenuto del prestito ipotecario vitalizio e ne detta le condizioni per accedervi.
Trattasi di un contratto tipico che
a) ha per oggetto la concessione da parte di banche, nonché di intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, di finanziamenti a lungo e medio termine, in cui però, a differenza ad esempio del mutuo, stante la tipologia del contratto, la durata è determinabile solo ex post;
b) prevede la capitalizzazione annuale di interessi e spese;
c) risulta riservato agli ultrasessantenni (non più alle persone da 65 anni in poi, come prevedeva la precedente disciplina);
d) richiede che il contraente sia in grado di offrire, attraverso una garanzia ipotecaria di primo grado, il proprio immobile a destinazione residenziale (non necessariamente abitato), stante la espressa previsione in tal senso del comma 12 quater, da cui anche si evince che il diritto reale di garanzia possa gravare su un solo immobile, prevedendo tale disposizione un divieto di iscrizione contemporanea su più immobili di proprietà del soggetto finanziato.
Un contratto tipico, che costituisce, per coloro che intendono ricorrere al credito, una valida alternativa all’istituto similare della vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto, laddove si consideri che nel prestito ipotecario vitalizio sono assenti i due principali fattori negativi di detta vendita, ossia il trasferimento definitivo della proprietà, che poi si consolida all’usufrutto a seguito della morte dell’usufruttuario, impedendo così agli eredi in futuro (ed allo stesso soggetto disponente), di poter riscattare e/o riacquistare il bene, nonché l’impossibilità di vedere rivalutato il prezzo di mercato del proprio immobile.
V’è da dire che la legge 44/15 non prevede se il finanziamento debba avvenire in un’unica soluzione o attraverso una forma di erogazione periodica, il che renderebbe possibile entrambe le ipotesi. Comunque, occorrerà attendere il regolamento del Ministero dello Sviluppo economico, il quale, a mente del comma 12-quinquies, sentite l’ABI e le Associazioni dei Consumatori, dovrà emanare ulteriori disposizioni dirette “a favorire la trasparenza e certezza dell’importo oggetto del finanziamento, dei termini di pagamento, degli interessi e di ogni altra spesa“, ed in cui dovranno essere stabilite “le regole per l’offerta dei prestiti vitalizi ipotecari ed individuati i casi e le formalità che comportino una riduzione significativa del valore di mercato dell’immobile, tale da giustificare la richiesta di rimborso integrale del finanziamento“.
Come già accennato, una importante peculiarità dell’istituto, è data dal fatto che esso costituisce una deroga (implicita) all’art. 1283 c.c., secondo cui gli interessi anatocistici (o composti), in mancanza di usi contrari, possono, a loro volta, produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno 6 mesi. Al creditore, infatti, non è normalmente consentito pretendere gli interessi composti come si è visto ed è noto che sul punto vi è una notevole “produzione giurisprudenziale“.
Dunque, nel corso della vita del soggetto finanziato nulla è dovuto alla Banca e l’apertura della successione costituisce il temine di adempimento dell’obbligo di rimborso del finanziamento, secondo il meccanismo sopraindicato.
Quindi, non vi è alcuna possibilità di risoluzione nel corso della durata del prestito a meno che il soggetto finanziato non decade dal beneficio del termine così come previsto dal comma 12, seconda parte, laddove “vengano trasferiti in tutto o in parte la proprietà o gli altri diritti reali o di godimento dell’immobile dato in garanzia o si compiano atti che ne riducano significativamente il valore inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile“.
La specificazione, posta a garanzia del finanziatore, appare di dubbia comprensione e/o di utilità considerate le sufficienti garanzie previste dall’art. 2812 c.c. per la giusta tutela del soggetto che ha erogato il finanziamento. Più giustificabile è invece la previsione , contenuta nel comma 12, secondo cui l’obbligo del rimborso scatta al verificarsi di un evento quale quello relativo al trasferimento in godimento dell’immobile dato in garanzia, fa propendere per la sussistenza di un divieto di concedere il bene in locazione.
Certamente più rilevante appare il comma 12 bis che, evidentemente al fine di prevedere un correttivo alle regole dell’anatocismo, ha previsto, innovando alla precedente disciplina, la possibilità di optare, in sede di stipula del finanziamento, per un rimborso graduale in vita, della quota degli interessi e spese senza alcuna loro capitalizzazione. In caso di inadempimento si applica l’art. 40, co., 2 TU 385/1993, secondo cui la Banca potrà invocare, come causa di risoluzione del contratto, il ritardato pagamento della quota di interessi e spese quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte anche non consecutive. Non è preclusa, nel silenzio della legge, la possibilità che le parti prevedano la risoluzione del contratto al verificarsi di eventi diversi da quelli di cui all’art.40, comma 2, TUB, trovando applicazione la disciplina ordinaria.
Ritornando alla ipotesi del rimborso del prestito in caso di morte (che si affianca a quella relativa la risoluzione anticipata del contratto poc’anzi accennata), è previsto in entrambe, e qualora esso non avvenga entro 12 mesi, che il finanziatore possa vendere l’immobile al valore di mercato, determinato da un perito indipendente, ex art. 1349 c.c., incaricato dal finanziatore medesimo, utilizzando le somme ricavate per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso. Trascorsi inutilmente ulteriori 12 mesi, è previsto un ribasso del 15% e così di seguito per i successivi 12 mesi.
La parte del prezzo ricavato dalla vendita eccedente il capitale residuo del finanziamento è destinata agli eredi o al soggetto finanziato, in caso di risoluzione anticipata del rapporto.
In dottrina si discute a quale titolo la Banca possa vendere l’immobile concesso in garanzia. L’opzione preferibile, in mancanza di esplicita previsione normativa, è quella che vede, nel potere del finanziatore di vendere l’immobile, un mandato gratuito ad alienare (provvedendo in questo senso in nome e per conto del finanziato), eventualmente post mortem, in rem propriam, ex art. 1723, co. 2, c.c., caratterizzato dalla presenza di un interesse diretto del rappresentante a concludere il negozio. Un mandato che non si estingue per la morte del soggetto, in forza del principio della c.d. ultrattività e, quindi, della sua insensibilità ad un evento normalmente estintivo. Impostazione, questa, che appare coerente con le finalità della legge circa la possibilità del finanziatore di vendere il bene ipotecato dopo la morte del soggetto finanziato.
Continuando nella disamina della legge, la lettura del comma 12 quater sollecita alcune riflessioni.
Può invero accadere che il soggetto finanziato abbia dato in garanzia un immobile, ricevuto in eredità o per causa di donazione e poi venduto a terzi, che ne potrebbero dunque subire l’evizione per effetto degli esiti positivi di una domanda giudiziale in cui si contesti il fondamento dell’acquisto a causa di morte, ovvero si chieda la riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima.
Orbene, il comma 12 quater stabilisce che “nei confronti dell’acquirente dell’immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all’art. 2652, primo comma, numeri 7 e 8 del c.c., trascritte successivamente alla trascrizione dell’acquisto“.
La deroga è prevista a favore del terzo acquirente, il quale sarebbe posto nella condizione di non correre il rischio di subire una richiesta di restituzione dell’immobile a seguito delle suddette domande, che renderebbe vana la possibilità di realizzazione del credito da parte della Banca attraverso la vendita coattiva, rendendo il terzo acquirente immune dalla evizione in pregiudizio del chiamato all’eredità pretermesso o dell’erede necessario leso. Il che non escluderebbe il dubbio di illegittimità costituzionale ex art 3 Cost. ponendo l’interprete nella condizione di dover selezionare gli interessi sottesi: quello del finanziatore e quello dei soggetti lesi nei loro diritti successori.
È importante segnalare che il contratto di finanziamento dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, stante l’esigenza di iscrizione ipotecaria. In questo senso, la Banca potrebbe contare su un titolo esecutivo, così come previsto dall’art. 474, co. 2 e 3, c.p.c., peraltro non indispensabile per procedere all’esecuzione forzata, prevedendo l’art. 502 c.p.c. che la vendita dei beni immobili ipotecati avvenga senza la necessità dell’effettuazione del previo pignoramento.
Il soddisfacimento del credito della Banca, attraverso la vendita coattiva, potrà essere conseguito, quindi, attraverso modalità deformalizzate, nel senso che si prescinde dalle regole degli artt. 555 e seg. c.p.c.. Per cui, ad esempio, non è prevista una forma di pubblicità atteso che la vendita stessa può anche avvenire per trattativa privata.
Trattasi, quindi, di una nuova forma di autotutela esecutiva del privato, che si sviluppa sulla base della iniziativa del creditore ipotecario ed in cui il controllo del Giudice è solo eventuale ed attuabile su opposizione del soggetto che subisce la vendita e che ritenga di essere da essa leso.
Concludiamo con un accenno ai benefici fiscali che conseguono alla scelta della operazione de qua, consistenti nella esenzione delle imposte di bollo, di registro, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative in virtù del versamento di un’imposta sostitutiva (0,25 % dell’ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati, 2% se non riferiti a prima casa e relative pertinenze). Essi sono ricavabili dal richiamo alle norme fiscali operato dai commi 12 ter e quater.
Con riguardo ancora al trattamento fiscale dell’immobile, va ricordato che durante la durata del prestito, il soggetto finanziato dovrà continuare a pagare le varie imposte patrimoniali sul possesso (IMU, eventualmente TASI), la tassa sui rifiuti (TARI), oltre che, eventualmente, l’IRPEF.
Testo del provvedimento
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