Ai sensi dell’art. 365 c.p.c., la procura rilasciata all’avvocato iscritto nell’apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per Cassazione deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. E’, pertanto, inidonea allo scopo, e, come tale, determina l’inammissibilità del ricorso, la procura apposta in margine od in calce all’atto introduttivo del giudizio di merito, ancorché conferita per tutti i gradi e le fasi del giudizio.
La rilevata inammissibilità non può essere superata con l’esercizio del potere previsto, per i gradi di merito, dall’art. 182 c.p.c., comma 2, sia perchè si verte in tema di procura del tutto mancante, sin dall’origine, ed, in quanto tale, insuscettibile di sanatoria, trattandosi di un requisito preliminare di ammissibilità, sia perchè l’invito alla regolarizzazione da parte del giudice previsto dalla norma invocata risulta incompatibile con la struttura del giudizio di legittimità, che esclude l’espletamento di un’attività istruttoria e prevede la necessità di produrre, a pena d’improcedibilità, i documenti sull’ammissibilità del ricorso all’atto del suo deposito.
In materia di spese processuali, qualora il ricorso per cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio.
Questi sono i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. sesta, Pres. Curzio – Rel. Esposito, con l’ordinanza n. 15895 del 26.06.2017.
Nel caso controverso, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione del giudice di primo grado che, accertata l’esistenza tra una datrice di lavoro ed una lavoratrice, di un rapporto di lavoro subordinato, aveva condannato la ricorrente al pagamento di somme a titolo di differenze retributive.
Avverso la sentenza del Giudice di seconde cure, proponeva ricorso per Cassazione la datrice di lavoro, sulla base di un unico motivo, illustrato mediante memoria, a cui la lavoratrice resisteva con controricorso.
La Suprema Corte osservato, preliminarmente, che l’AVVOCATO della datrice di lavoro aveva dichiarato, nell’intestazione del ricorso per Cassazione, di rappresentare e difendere la sua assistita, sulla base di delega in calce al ricorso in appello, rilevava l’inammissibilità del ricorso, poiché ai sensi dell’art. 365 c.p.c., la procura rilasciata all’avvocato iscritto nell’apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per Cassazione, deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, risultando, pertanto, inidonea allo scopo, la procura apposta in margine od in calce all’atto introduttivo del giudizio di merito, ancorchè conferita per tutti i gradi e le fasi del giudizio.
Gli Ermellini, in proposito, specificavano che la rilevata inammissibilità non poteva essere superata con l’esercizio del potere previsto, per i gradi di merito, dall’art. 182 c.p.c., comma 2, sia perchè si verte in tema di procura del tutto mancante, sin dall’origine, e, in quanto tale, insuscettibile di sanatoria, trattandosi di un requisito preliminare di ammissibilità, sia perchè l’invito alla regolarizzazione da parte del giudice previsto dalla norma invocata risulta incompatibile con la struttura del giudizio di legittimità, che esclude l’espletamento di un’attività istruttoria e prevede la necessità di produrre, a pena d’improcedibilità, i documenti sull’ammissibilità del ricorso all’atto del suo deposito.
La Cassazione, infine, sottolineava che in materia di spese processuali, qualora il ricorso per Cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio.
Sulla base di quanto esposto, la Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava l’AVVOCATO della datrice di lavoro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia al seguente contributo pubblicato in rivista:
PROCURA: IL DIFETTO DI RAPPRESENTANZA, EX ART. 182 C.P.C., SANABILE IN QUALSIASI FASE E GRADO DEL GIUDIZIO
L’INTEGRAZIONE DOCUMENTALE OPERATA ANCHE IN APPELLO, NON PUÒ AFFATTO RITENERSI TARDIVA
Sentenza | Corte Appello di Roma, sez. seconda, Pres. – Rel. Norelli | 15.02.2017 | n.1099
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