ISSN 2385-1376
Testo massima
Ai fini della validità della procura al difensore da parte di una persona giuridica, quando nelle premesse dell’atto è fatta menzione del potere rappresentativo dell’ente che sta in giudizio (nella specie con indicazione dell’amministratore delegato), non è necessario che di esso si faccia menzione anche nella procura sottoscritta per lo stesso ente, come pure non produce nullità della procura la mancata indicazione del nominativo della persona che l’ha sottoscritta, ove non ne sia controverso il potere di rappresentanza, né l’illegibilità della firma, se questa possieda una precisa individualità propria e sia stata autenticata dal difensore.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24283-2008 proposto da:
ALFA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore
– ricorrente –
contro
D.T.L.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 359/2008 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 19/08/2008 R.G.N. 785/05;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato in data 19/7/2004, D.T.L. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo, Giudice del Lavoro, la Ditta GOMA T srl, in persona del legale rappresentante R.A., per sentire annullare il licenziamento comminato ad esso ricorrente con lettera del 16/2/2004, con la conseguente condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, unitamente al risarcimento del danno, oltre alla condanna per differenze retributive.
Premetteva il ricorrente di aver lavorato – svolgendo straordinario non retribuito per un’ora al giorno fino al luglio 2003, e per mezz’ora al giorno successivamente – alle dipendenze della Ditta convenuta dal 12/9/2001 al 16/2/2004, data quest’ultima in cui gli veniva comminato il licenziamento; che il licenziamento era da considerarsi illegittimo, in quanto conseguenza di una discussione con la sig.ra R., nel corso della quale, con tono aggressivo, lo accusava di insubordinazione.
Si costituiva regolarmente la Ditta convenuta la quale contestava in fatto ed in diritto la domanda e ne chiedeva il rigetto.
All’esito dell’istruttoria, il Giudice di primo grado accoglieva la domanda relativa alle differenze retributive per lavoro straordinario, e disattendeva la domanda di annullamento del licenziamento, riconoscendo In motivazione la legittimità del provvedimento espulsivo; compensava parzialmente le spese di lite.
2. Contro tale decisione, in data 13/10/05 il lavoratore proponeva appello, il quale – nella contumacia della parte appellata – veniva accolto con sentenza non definitiva del 2/11/07 con la quale la Corte d’appello di Ancona annullava il licenziamento inflitto al ricorrente con lettera 16/2/04, ordinava alla convenuta di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato, la condannava, al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione globale dal licenziamento alla reintegra, con versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali, e disponeva procedersi come da separata ordinanza per la quantificazione delle somme dovute a tale titolo.
3. Nel successivo corso del giudizio veniva disposta una CTU per il conteggio di quanto dovuto.
All’udienza del 13/6/08 si costituiva l’appellata Società la quale a sostegno delle indicate conclusioni contestava che la ricorrente avesse svolto lavoro straordinario e comunque che alcunchè le fosse dovuto a tale titolo.
L’adita corte d’appello di Ancona con sentenza definitiva del 20 giugno 2008 – 19 agosto 2009 quantificava le somme dovute all’appellante.
4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con cinque motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in cinque motivi con cui, sotto vari profili, la società ricorrente contesta che il rifiuto del dipendente di iniziare in orario l’attività lavorativa (alle 8.00 anzichè alle 8,30) e l’aggressione verbale della datrice di lavoro (con ingiurie e bestemmie) non costituisse giusta causa di licenziamento disciplinare.
Contesta anche il rilievo del mancato pagamento del lavoro straordinario e la mancata affissione del codice disciplinare.
2. Deve preliminarmente considerarsi che nel controricorso si eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione, poichè la procura speciale risulta essere stata rilasciata da chi l’ha sottoscritta in proprio e non nella qualità di amministratore delegato della società datrice di lavoro, che aveva intimato il licenziamento.
Il rilievo è infondato, non essendovi alcuna incertezza sui poteri del soggetto che aveva rilasciato la procura speciale, il quale come amministratore, carica richiamata nell’intestazione del ricorso, ha la rappresentanza della società e può perciò compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dalla legge o dall’atto costitutivo, qui non denunziate.
D’altra parte, secondo Cass. n. 1702/87 ai fini della validità della procura al difensore da parte di una persona giuridica, quando nelle premesse dell’atto è fatta menzione del potere rappresentativo dell’ente che sta in giudizio (quale l’indicazione dell’amministratore delegato), non è necessario che di esso si faccia menzione anche nella procura sottoscritta per lo stesso ente, come pure non produce nullità della procura la mancata indicazione del nominativo della persona che l’ha sottoscritta, ove non ne sia controverso il potere di rappresentanza, nè l’illeggibilità della firma, se questa possieda una precisa individualità propria e sia stata autenticata dal difensore.
3. Il ricorso è comunque improcedibile.
Deve infatti considerarsi che la società ricorrente non ha depositato copia della sentenza non definitiva impugnata, l’unica che ha censurato, non avendo investito di censure la sentenza definitiva, entrambe pronunciate dalla Corte d’appello tra le medesime parti.
Questa Corte (Cass., Sez. Lav., 12 gennaio 1983, n. 209, ha infatti affermato che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, esigendo, a pena d’improcedibilità, che con il ricorso per cassazione venga depositata copia autentica della sentenza impugnata, esclude che al mancato deposito di questa copia possa supplirsi con la conoscenza che della stessa sentenza si attinga da altri atti del processo e, in particolare, dalle copie fotostatiche, depositate per la formazione del fascicolo d’ufficio, mancanti della garanzia dell’autenticità.
4. Il ricorso va quindi dichiarato improcedibile.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 50 per esborsi oltre Euro 3.000,00 (tremila) per compensi d’avvocato ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2013
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