Nel procedimento di correzione degli errori materiali, anche applicando il principio di causalità, non risulta giustificata una statuizione sulle spese processuali, poiché il procedimento trae origine da un errore materiale del giudice e non da comportamenti processuali o preprocessuali delle parti. Ne deriva che la necessità di agire per la correzione non può essere ascritta né all’una né all’altra parte come causa dell’azione.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. Unite, Pres. Cassano – Rel. Iannello con la sentenza n. 29432 del 14 novembre 2024.
Accadeva che il debitore proponeva istanza di correzione di errore materiale della sentenza emessa dal Tribunale di Foggia nella parte in cui, dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione proposta avverso l’esecuzione promossa nei suoi confronti da un avvocato che lo aveva assistito, lo aveva condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 1.618,00, per onorario. L’errore materiale, secondo la tesi attrice, risiedeva nel fatto che tale importo fosse esorbitante, dovendo essere parametrato al valore della causa, pari ad euro 78,95, così come esposto nella parte motiva del provvedimento.
L’avvocato si opponeva all’istanza, deducendo l’inesistenza dell’errore, e chiedeva la condanna del cliente al pagamento delle spese e dei compensi del procedimento.
Con ordinanza, il Giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza, affermando che quello dedotto non configurasse un errore materiale ma un error in judicando, scaturente da una attività valutativa del giudice, e condannava l’istante a rimborsare all’avvocato le spese del procedimento di correzione, con applicazione del principio secondo cui, in tale procedimento, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, si configura, all’esito della decisione, una situazione tecnica di soccombenza.
Avverso tale ordinanza, e segnatamente in relazione alla statuita condanna alle spese, il cliente proponeva ricorso straordinario per cassazione sulla base di un unico motivo, cui l’avvocato resisteva depositando controricorso.
Con ordinanza interlocutoria, la Terza Sezione Civile della Corte rimetteva gli atti alla Prima Presidente, ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in relazione alla questione “se, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, così contrapponendo il proprio interesse a quello proprio della parte ricorrente, si configuri, all’esito del giudizio, una situazione di soccombenza che impone al giudice di provvedere sulle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ.“
Sul punto, le Sezioni Unite hanno affermato che si contrappongono due tesi.
Secondo un orientamento maggioritario, nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. e 391 – bis cod. proc. civ., non è in alcun caso ammessa una statuizione sulle spese processuali.
Tale tesi poggia sui seguenti presupposti:
– il procedimento, disciplinato dagli art. 287 ss. c.p.c., non ha natura giurisdizionale, bensì amministrativa;
– esso dà luogo ad un mero incidente del giudizio in cui il provvedimento da correggere è stato pronunciato, che non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta;
– l’ordinanza di correzione non ha dunque natura decisoria, perché non incide sul contenuto concettuale del provvedimento oggetto della correzione e non realizza mai una statuizione sostitutiva di quella contenuta nel provvedimento corretto;
– il provvedimento di correzione non è impugnabile; in virtù del disposto dell’art. 288, quarto comma, c.p.c., è infatti il provvedimento corretto che, relativamente alle parti corrette, può essere impugnato con lo specifico mezzo di gravame per questo di volta in volta previsto
– trattandosi di procedimento in camera di consiglio, non contenzioso, ma in materia di giurisdizione volontaria, non è suscettibile di determinare una posizione di soccombenza.
A quest’orientamento si oppone la tesi minoritaria, secondo cui, ferma l’inammissibilità di una statuizione sulle spese in caso di istanza congiunta o non opposta, ad essa invece occorre far luogo ove sorga contrasto in ordine all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione.
Tale tesi si fonda su argomenti diretti a rivedere il significato e il fondamento logico dei due presupposti tradizionalmente indicati come necessari perché si abbia soccombenza ai fini della pronuncia sulle spese: ossia il carattere “contenzioso” del procedimento al quale tale pronuncia accede e la natura “giurisdizionale” del provvedimento che lo conclude.
Sulla base di una approfondita disamina della questione, le Sezioni Unite hanno ritenuto di aderire alla tesi maggioritaria, che nega, in ogni caso, l’ammissibilità di una statuizione sulle spese nel procedimento de quo, affermando il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287 – 288 e 391 – bis cod. proc. civ., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una situazione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 91 cod. proc. civ., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all’istanza“.
Per tal motivo ha accolto il ricorso; cassato senza rinvio il provvedimento impugnato nella parte in cui statuisce sulle spese, con compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SPESE PROCESSUALI: NON LIQUIDABILI NEL PROCEDIMENTO DI CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI
È IMPOSSIBILE IDENTIFICARE NEL PROCEDIMENTO DI CORREZIONE UNA PARTE SOCCOMBENTE ED UNA VITTORIOSA
Ordinanza | Corte di Appello di Lecce, dott. Riccardo Mele Presidente dott.ssa Anna Rita Pasca Relatore | 18.12.2014 |
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