LA MASSIMA
Nell’ambito di un procedimento introdotto con ricorso, è obbligo del ricorrente farsi parte attiva presso la cancelleria per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso, atteso che non vi è alcun onere da parte della stessa di procedere alla comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza, per cui la totale omissione della notificazione non giustifica la richiesta di prolungamento dell’originario termine per la notificazione da parte del difesone incaricato della lite.
Nel procedimento di appello per SEPARAZIONE dei CONIUGI, vige il principio della IMPROROGABILITÀ DEL TERMINE PER LA NOTIFICAZIONE del decreto emesso dalla Corte.
L’esistenza di un precedente CONTRASTO IN GIURISPRUDENZA in caso di successiva decisione a sezioni unite comporta esclusivamente un mutamento di orientamento interpretativo, con la semplice affermazione di un principio giurisprudenziale in precedenza controverso per cui overruling della Giurisprudenza in quanto manca l’affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo.
IL CASO
Successivamente alla emissione di una sentenza con la quale il Tribunale aveva pronunciato la separazione personale tra coniugi, il marito proponeva appello con ricorso.
Successivamente al deposito del ricorso in appello veniva fissata l’udienza a 10 mesi di distanza.
Detto provvedimento non veniva notificato dal ricorrente appellante, il quale nella prima udienza di trattazione in appello denunciava di non aver avuto la possibilità di rispettare il termine originariamente stabilito dal Presidente della sezione per la notifica del ricorso alla moglie.
Chiedeva, pertanto, a tal fine, la concessione di nuovo termine per la notifica, ma tale richiesta veniva disattesa e successivamente l’impugnazione veniva dichiarata improcedibile.
Diversamente da quanto chiesto dal ricorrente la Corte territoriale affermava che nei giudizi di appello la totale omissione della notificazione non giustifica il prolungamento del termine, “salvo che sia stata richiesta la mera proroga di esso prima della sua scadenza e, nel caso di ulteriore proroga, ricorrano motivi particolarmente gravi e sia adottato un provvedimento motivato”, ipotesi non verificatasi nel caso di specie.
Avverso tale decisione, il MARITO proponeva ricorso per cassazione con il quale denunciava l’erroneità della decisione atteso che la cancelleria non aveva mai comunicato la fissazione dell’emissione del decreto di comparizione e che, in ogni caso, il principio applicato della IMPROROGABILITÀ DEL TERMINE PER LA NOTIFICAZIONE era stato espresso dalla Corte di Cassazione a sezioni unite n. 20604 del 30.7.2008, con un decisione innovativa che avrebbe modificato il mutamento di giurisprudenza, verificatosi dopo la presentazione dell’istanza di concessione di un nuovo termine per la notifica del ricorso per cui, tale circostanza avrebbe dovuto indurre a tener conto dell’indirizzo giurisprudenziale più recente “in tema di remissione in termini, di overruling e di comportamento processuale incolpevole”.
LA DECISIONE
La Corte ha rigettato il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I giudici hanno ritenuto totalmente infondato il ricorso in quanto nell’ipotesi di rito camerale la proposizione dell’appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria e la violazione del termine per i successivi incombenti, pur se ordinatorio ex art.154 cpc, determina la decadenza dall’attività processuale cui è correlato, se (come nella specie) non prorogato prima della sua scadenza.
Tale principio è stato per vero affermato dalle sezioni unite di questa Corte nell’ambito del rito del lavoro.
La asserita mancata comunicazione, da parte della cancelleria, del decreto di fissazione di udienza è stata giudicata assolutamente neutra in quanto, nei procedimenti camerali attivati su istanza di parte, il giudice adito è tenuto a depositare il decreto di fissazione di udienza, ma non anche a disporne la relativa comunicazione.
Manca pertanto una norma dispositiva di un obbligo della cancelleria alla comunicazione della emissione del decreto, essendo pacifico viceversa che incombe sul ricorrente l’obbligo di attivarsi presso la cancelleria, per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso.
In merito alla IMPROROGABILITÀ DEL TERMINE PER LA NOTIFICAZIONE la Corte ha rilevato che A) il principio innovativo espresso con il mutamento di giurisprudenza era intervenuto a seguito della sentenza n. 20604 del 2008 in quanto effettivamente in precedenza esisteva un CONTRASTO IN GIURISPRUDENZA per il quale altre decisioni avevano ritenuto che una volta depositato il ricorso tempestivamente, in caso di omessa notificazione, il giudice aveva il potere-dovere di ordinare la rinnovazione della notificazione a norma dell’art.291 cpc, con efficacia ex tunc e con salvezza degli effetti derivati dal tempestivo deposito del ricorso;
B) proprio la precedente esistenza di un contrasto giurisprudenziale esclude dunque che il ricorrente abbia fatto ragionevole affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo.
IL COMMENTO
La decisione è in linea alla giurisprudenza della Corte la quale ha più volte evidenziato l’obbligo del ricorrente di prendere cognizione dell’esito del ricorso proposto.
Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, non sussiste l’affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo cd. overruling della Giurisprudenza ove vi sia l’esistenza di un precedente CONTRASTO IN GIURISPRUDENZA per cui la successiva decisione a sezioni unite comporta esclusivamente un mutamento di orientamento interpretativo, con la semplice affermazione di un principio giurisprudenziale in precedenza controverso.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARITO
RICORRENTE
CONTRO
MOGLIE
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n.1730 del 22.4.2009;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 5.3.2008 il MARITO impugnava la sentenza con la quale il Tribunale di Roma, pronunciando la sua separazione personale dalla MOGLIE, aveva rigettato la domanda di addebito formulata in primo grado dall’appellante ed aveva altresì stabilito l’obbligo di corresponsione di un assegno mensile di Euro 973,23 in favore della MOGLIE e di un ulteriore assegno di Euro 412,69 in favore della figlia V.
Nella prima udienza di trattazione davanti al giudice del gravame, tuttavia, l’appellante denunciava di non aver avuto la possibilità di rispettare il termine originariamente stabilito dal Presidente della sezione per la notifica del ricorso alla moglie.
Chiedeva pertanto, a tal fine, la concessione di nuovo termine, richiesta sulla quale la Corte di Appello di Roma decideva negativamente, dichiarando improcedibile l’impugnazione.
In particolare la Corte territoriale decideva nel senso indicato richiamando principi affermati da questa Corte con decisione adottata a sezioni unite, e precisando, segnatamente, che nei giudizi di appello la totale omissione della notificazione non giustifica il prolungamento del termine, “salvo che sia stata richiesta la mera proroga di esso prima della sua scadenza e, nel caso di ulteriore proroga, ricorrano motivi particolarmente gravi e sia adottato un provvedimento motivato”, ipotesi non verificatesi nel caso di specie.
Contro la detta statuizione il MARITO ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui ha resistito la MOGLIE con controricorso, con il quale ha denunciato l’erroneità della decisione sotto diversi aspetti, e segnatamente in quanto: la decisione della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 20604 del 30.7.2008, posta a base della motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stata pubblicata in data successiva al deposito dell’istanza di concessione di un nuovo termine per la notifica dell’atto di impugnazione; diversa sarebbe la natura della controversia definita con la sentenza n.20604 rispetto a quella in oggetto, vertendo la prima in materia di lavoro; il principio affermato con la sentenza ora richiamata, individuabile nell’affermata esigenza di assicurare una ragionevole durata del processo, contrasterebbe con il ritardo di circa sette mesi, con il quale era stato dichiarato improcedibile l’appello; la stessa esigenza di celerità caratterizzante il rito del lavoro non sarebbe ravvisabile nei giudizi di separazione personale, “laddove gli interessi in gioco suggeriscono una maggiore cautela nell’istruttoria”.
Successivamente il relatore designato ai sensi dell’art.377 cpc proponeva la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio, ritenendolo manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte.
Tale conclusione non è stata tuttavia condivisa nè dal Procuratore Generale né dal ricorrente, i quali con memoria hanno rispettivamente evidenziato:
a) che il mutamento di giurisprudenza richiamato dal relatore si è verificato dopo la presentazione dell‘istanza di concessione di un nuovo termine per la notifica del ricorso (circostanza che avrebbe dovuto indurre a tener conto dell’indirizzo più recente “in tema di remissione in termini, di overruling e di comportamento processuale incolpevole“);
b) che l’udienza per la comparizione delle parti era stata fissata a distanza di dieci mesi dalla presentazione dell’appello, il decreto di fissazione dell’udienza non era stato mai comunicato dalla cancelleria ad esso ricorrente, il mutamento di giurisprudenza era intervenuto a seguito di una interpretazione consolidata delle norme regolatrici del processo deponente in senso opposto.
Sulla base dei detti rilievi il Collegio ha ravvisato l’opportunità della trattazione della controversia in pubblica udienza, poi fissata per il 31.10.2011.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la memoria illustrativa successiva alla notificazione della relazione, contrastata dalla MOGLIE con la memoria depositata ai sensi dell’art.378 cpc prima della pubblica udienza, il MARITO ha ribadito quanto già rappresentato con il ricorso, evidenziando in particolare che il Presidente della Corte di Appello aveva fissato, per la comparizione delle parti, “una data distante dieci mesi dalla presentazione dell’appello“; che il decreto di fissazione di udienza non era mai stato comunicato dalla cancelleria, e la sua conoscenza sarebbe intervenuta casualmente “a soli diciotto giorni di distanza dalla sua scadenza“; che a torto non sarebbe stata data rilevanza al cosiddetto “overruling“, ovverosia al mutamento, “ad opera della Corte di Cassazione a SS.UU., di una interpretazione consolidata delle norme regolatrici del processo”, sulla quale la parte avrebbe fatto incolpevole affidamento.
Osserva il Collegio che il ricorso è infondato poichè, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare (C. 10/11992, C. 10/11600, C. 09/1721, C. S.U. 08/20604), con il rito camerale la proposizione dell’appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria e la violazione del termine per i successivi incombenti, pur se ordinatorio ex art.154 cpc, determina la decadenza dall’attività processuale cui è correlato, se (come nella specie) non prorogato prima della sua scadenza.
Tale principio è stato per vero affermato dalle sezioni unite di questa Corte nell’ambito del rito del lavoro, ma tuttavia è da ritenere che lo stesso sia dotato di forza espansiva nei confronti delle diverse controversie trattate con il rito camerale, caratterizzato in via generale dalla “vocatio in ius” tramite deposito del ricorso e sua successiva notifica unitamente al decreto di fissazione di udienza (C. 10/11992).
Nè valgono in senso contrario i due argomenti valorizzati dal ricorrente a sostegno delle argomentazioni svolte, consistenti rispettivamente nell’asserita mancata comunicazione, da parte della cancelleria, del decreto di fissazione di udienza e dell’omessa valutazione degli effetti riconducibili all'”overruling“.
Sul primo punto è infatti sufficiente rilevare che nei procedimenti camerali attivati su istanza di parte, quale quello in oggetto, il giudice adito è tenuto a depositare il decreto di fissazione di udienza, ma non anche a disporne la relativa comunicazione.
Manca infatti una norma dispositiva di un obbligo in tal senso, mentre viceversa incombe sul ricorrente l’obbligo di attivarsi presso la cancelleria, per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso (C. 05/19514, C. 03/3251).
In ordine al secondo, occorre considerare che il mutamento di giurisprudenza intervenuto a seguito della sentenza n. 20604 del 2008 è stato determinato dalla necessità di comporre un contrasto di giurisprudenza fra decisioni che avevano qualificato la notifica come fase esterna dell’impugnazione, volta solo ad instaurare il contraddittorio, ed altre che avevano viceversa affermato la decadenza dall’attività processuale per il cui compimento i termini erano stati fissati, ove non prorogati prima della scadenza.
La precedente esistenza di un contrasto giurisprudenziale esclude dunque che il ricorrente abbia fatto ragionevole affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo (C. 11/98, C. 10/17704, C. 10/15809, C. 10/14627), e che quindi nella specie possa essere ravvisato un errore scusabile da parte del ricorrente.
Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
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