L’istruttore, nonostante la richiesta di assegnazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, può invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione anche alla prima udienza di comparizione, laddove la ritenga matura per la decisione per la sussistenza di questioni pregiudiziali di rito ovvero di questioni preliminari di merito, ovvero ancora laddove i termini della controversia, sulla base delle allegazione delle parti e dei documenti già prodotti, ne consentano la immediata decisione senza ulteriori appendici assertive e istruttorie.
Una diversa conclusione comporterebbe il rischio di un evidente e inammissibile allungamento dei tempi del giudizio senza alcun beneficio effettivo per la difesa delle parti e ai fini della decisione finale, ed anzi favorirebbe richieste meramente strumentali della parte interessata a procrastinare i tempi di durata del processo, in palese contrasto con il principio di economia processuale e con l’art. 111 Cost..
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. terza, Pres. Vivaldi – Rel. Tatangelo, con la sentenza n. 4767 dell’11.03.2016.
Nel caso considerato, un soggetto proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, confermativa della statuizione del Giudice di prime cure, che aveva rigettato la sua richiesta di risarcimento dei danni patiti in conseguenza della caduta riportata mentre percorreva il marciapiede di una via pubblica del Comune a causa delle condizioni asseritamente pessime dell’asfalto.
L’amministrazione comunale resisteva con controricorso.
Il ricorrente, tra l’altro, denunciava la violazione e falsa applicazione di norme di diritto per non aver il giudice a norma dell’art. 183, c.p.c., stante la richiesta delle parti, concesso i termini perentori previsti per legge.
La Suprema Corte, preliminarmente, rilevava che il ricorrente non aveva richiamato, trascrivendone il contenuto, il verbale dell’udienza del giudizio di primo grado in cui aveva richiesto i termini per le integrazioni istruttorie, né indicato l’esatta collocazione del relativo documento nel fascicolo processuale e non aveva dedotto e dimostrato di aver reiterato la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni, né di aver proposto specifico motivo di appello in relazione alla conseguente nullità del procedimento.
All’uopo, osservava la Corte adita, aderendo all’orientamento giurisprudenziale maggioritario sul punto, che la mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, non determina un vizio processuale (e la conseguente nullità della sentenza), se non nei casi in cui da tale mancata concessione sia conseguita in concreto una lesione del diritto di difesa della parte istante, la quale pertanto, laddove denunzi un tale vizio, deve allegare il pregiudizio che gliene sia derivato, essendo altrimenti la relativa eccezione inammissibile per difetto d’interesse, e deve in particolare specificare quale sarebbe stato il “thema decidendum” sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fossero stati concessi i termini richiesti, e quali prove sarebbero state dedotte.
Gli ermellini, richiamate le disposizioni di cui agli artt. 187, c.p.c. ed 80-bis disp. att. c.p.c., ribadivano il principio per cui l’istruttore, nonostante la richiesta di assegnazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, può invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione anche alla prima udienza di comparizione, laddove la ritenga matura per la decisione per la sussistenza di questioni pregiudiziali di rito ovvero di questioni preliminari di merito, ovvero ancora laddove i termini della controversia, sulla base delle allegazione delle parti e dei documenti già prodotti, ne consentano la immediata decisione senza ulteriori appendici assertive e istruttorie.
Ad avviso del Giudice di legittimità, infatti, una impostazione differente comporterebbe il rischio di un evidente e inammissibile allungamento dei tempi del giudizio senza alcun beneficio effettivo per la difesa delle parti e ai fini della decisione finale, favorendo richieste meramente strumentali della parte interessata a procrastinare i tempi di durata del processo, in palese violazione con il principio di economia processuale di cui all’111 Cost..
Per quanto esposto, la Corte rigettava il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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