LA DECISIONE
E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 152, ultimo periodo, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui, nei giudizi per prestazioni previdenziali, sanziona, con l’inammissibilità del ricorso, l’omessa indicazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, il cui importo deve essere specificato nelle conclusioni dell’atto introduttivo, in quanto sproporzionata ed irragionevole rispetto al fine stesso in quanto si tradurrebbe in un ulteriore aggravio a carico della parte nonché in una perdita della potestas decidendi del Giudice.
L’obbligo di dichiarare il valore della prestazione ha lo scopo di commisurare a tale valore il limite massimo alla liquidazione delle spese processuali intendendosi così “scoraggiare fenomeni elusivi consistenti nella prassi di non quantificare il petitum, limitandosi a richiedere un accertamento generico ovvero indicando valori generici o richieste non sufficientemente quantificate” ed evidentemente pretestuose.
Corte Costituzionale, Pres. Grossi – Rel.Prosperetti, sentenza n. 241 del 20.11.2017.
LA NORMA
DISP ATT: CPC Art. 152. (Esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali)
Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L’interessato che, con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 79 e dell’articolo 88 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della repubblica n. 115 del 2002. Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio. A tal fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo.
LA DECISIONE
Con il provvedimento esaminato la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’ultimo periodo dell’art. 152 delle disp. att. c.p.c., come modificato dall’art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, sollevata dalla Corte d’Appello di Torino, sezione lavoro.
In particolare, il collegio ha osservato che la sanzione di inammissibilità del ricorso prevista dalla norma in caso di inadempimento della dichiarazione del valore della prestazione prescritta al ricorrente al fine di vincolare il giudice alla liquidazione delle spese, sarebbe sproporzionata ed irragionevole rispetto al fine stesso, in quanto da un lato dalla mancata specificazione ne deriva la perdita della potetas decidendi del Giudice, e dall’altro in quanto si tradurrebbe in un ulteriore aggravio a carico della parte.
La Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimità della norma, ha ritenuto fondata la questione di incostituzionalità circa l’eccessiva gravosità della sanzione dell’inammissibilità, che integrerebbe una penalizzazione irragionevole e sproporzionata, a fronte di un mancato adempimento di rilevanza meramente formale, ed eccedente rispetto al fine perseguito dal legislatore.
Sul punto, i Giudicanti hanno spiegato che l’ultima parte dell’art. 152 disp. att. c.p.c. deve essere letta congiuntamente all’art. 52 della L. 18 giugno 2009, n. 69 nella parte in cui limita il potere del giudice, nei giudizi per prestazioni previdenziali, di liquidare spese, competenze ed onorari per importi non superiori al valore della prestazione dedotta in giudizio.
In particolare, il Collegio ha ritenuto che la sanzione dell’inammissibilità del ricorso per mancata indicazione del valore della prestazione è eccessiva, allorchè l’obbligo di dichiarare il valore della prestazione ha lo scopo di commisurare a tale valore il limite massimo alla liquidazione delle spese processuali intendendosi così “scoraggiare fenomeni elusivi consistenti nella prassi di non quantificare il petitum, limitandosi a richiedere un accertamento generico ovvero indicando valori generici o richieste non sufficientemente quantificate” ed evidentemente pretestuose.
Alla luce delle suesposte argomentazione la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 152, ultimo periodo, delle disp. att. c.p.c., come modificato dall’art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98.
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