Il giudice, allorchè rilevi un difetto di rappresentanza (id est di legitimatio ad processum), ex artt. 75 e 182 del c.p.c. deve promuovere la sanatoria in qualsiasi fase e grado del giudizio, assegnando alla parte un termine per la regolarizzazione della costituzione, trattandosi di un presupposto processuale rilevabile ex officio, con la conseguenza che l’integrazione documentale, fatta anche in appello, non può affatto ritenersi tardiva ex art. 345, comma 3, c.p.c..
Questo il principio espresso dalla Corte d’Appello di Roma, sez. seconda, Pres. Rel. Norelli, con la sentenza n. 1369 del 17.02.2017.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in commento, accogliendo l’appello proposto dalla Banca per violazione degli artt. 75 e 182 c.p.c., ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma il quale, rilevando il presunto difetto di rappresentanza (id est difetto di legitimatio ad processum) avrebbe dovuto quanto meno invitare l’attrice a regolarizzare la sua costituzione, assegnandole il termine di cui all’art. 182 c.p.c..
I Supremi Giudici della nomofilachia, secondo la Corte romana, hanno, infatti, statuito che l’art. 182, secondo comma, c.p.c. (nel testo applicabile, ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “ può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall’art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice “ deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali ( Cass. Sez. Un. 19.4.2010, n. 9217; conf. Cass. 24.10.2013, n. 24068).
Di tal guisa, l’integrazione fatta anche con l’atto di appello non può affatto ritenersi tardiva, sia perché l’art. 345, comma terzo, c.p.c., (nel testo applicabile ratione temporis) ammette la produzione di nuovi documenti ove ritenuti indispensabili ai fini della decisione della causa, sia perché la legittimazione ad processum, riguardando un presupposto della regolare costituzione del rapporto processuale, è questione esaminabile anche d’ufficio, come dimostra la previsione dell’art. 182, secondo comma, c.p.c., in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite della formazione del giudicato, con la conseguenza che non rileva il momento processuale in cui sia fornita la relativa prova, non operando, ai relativi effetti, le ordinarie preclusioni istruttorie ( cfr. Cass. 26.9.2013, n. 22099).
Infatti, l’art. 75 c.p.c., in forza del quale le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta secondo la legge o lo statuto, si riferisce esclusivamente, per le società, alle persone che dall’atto costitutivo risultano dotate del potere di rappresentanza (art. 2328, n. 9 c.c.), per cui solo per queste persone, agevolmente individuabili dai terzi, può ritenersi presunta la legittimatio ad processum e, perciò, applicabile il principio secondo il quale, quando sia parte in giudizio una persona giuridica privata, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore nella qualità di organo della persona giuridica non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, spettando alla parte che la contesta fornire la prova dell’inesistenza del rapporto organico (cfr. ex plurimis Cass. civile, sez. III, 9 dicembre 1992, n. 13014).
Si deve pertanto concludere nel senso che le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa delle parti, segnatamente con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l’invalidità si riferisce; mentre l’intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio e va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, avendo efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.
La previsione secondo cui il giudice “ha la possibilità di concedere un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio”, vale invece a contemplare una ipotesi di sanatoria di nullità, non ad attribuire al giudice un potere arbitrario ed ha, dunque, un duplice significato:
a) l’invalidità derivante dall’incapacità processuale della parte è sanabile, appunto perché può essere sanata con la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza o con il rilascio delle necessarie autorizzazioni;b) la sanatoria deve essere promossa dal giudice, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa (cfr. Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9217).
Orbene, l’art. 182 c.p.c., contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, non attribuisce affatto alla parte un potere arbitrario, in quanto obbliga quest’ultima sempre a promuovere la sanatoria del vizio denunciato ex adverso, senza attendere la definizione del giudizio: quanto esposto è indice del fatto che il tribunale a quo ha violato grossolanamente gli artt. 75 c.p.c. e 182 c.p.c., che fanno obbligo al giudice di consentire la regolarizzazione della posizione processuale della parte ed il deposito dei documenti riconosciuti difettosi, anche dinanzi al giudice di legittimità.
Sulla base di quanto esposto, la Corte adita ha accolto l’appello, condannando gli appellati alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
IL DIFETTO DI PROCURA È RILEVABILE D’UFFICIO ANCHE IN SEDE DI LEGITTIMITÀ
Sentenza | Corte di Cassazione, SS.UU., Pres. Luigi Antonio Rovelli – Rel. Pasquale D’Ascola | 04.03.2016 | n.4248
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