ISSN 2385-1376
Testo massima
Il mancato rilascio di procura alle liti determina l’inesistenza soltanto di tale atto, ma non anche dell’atto di citazione, non costituendone requisito essenziale, atteso che, come si evince anche dall’art. 163, II comma, n. 6 c.p.c., sulla necessità di indicare il nome ed il cognome del procuratore e della procura, se già rilasciata, il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo art. 164 c.p.c., che ne producono la nullità.
Questo il principio sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Pres. Bucciante Rel. Lombardo, n. 21533, depositata il 22.10.2015.
Nel caso in esame, il Collegio era chiamato a decidere una controversia relativa ai compensi, dovuti ad un avvocato da parte del proprio cliente, per l’attività professionale svolta a favore del medesimo nell’ambito di un giudizio di impugnazione innanzi alla Corte di Appello di Milano. Essa era stata introdotta dall’avvocato, il quale aveva affidato, all’uopo, l’incarico ad un suo collega, attraverso lo strumento processuale di cui agli artt. 28 e 29 della L. 794/1942, per l’appunto innanzi alla predetta Corte Territoriale, che aveva deciso la causa con ordinanza di condanna del cliente al pagamento degli onorari pretesi dal professionista, a nulla rilevando le eccezioni svolte dalla controparte, la quale aveva dedotto il difetto di procura dell’avvocato stesso che non l’aveva sottoscritta, ancorché il ricorso fosse stato firmato dal suo difensore costituitosi in giudizio.
I Giudici milanesi, infatti, avevano ritenuto che l’inesistenza della procura potesse ritenersi sanata per il fatto che l’avvocato, in quanto tale, poteva difendersi da sé. Avverso tale pronuncia, il cliente proponeva ricorso per cassazione, evidenziando che l’avvocato, oltre a non aver sottoscritto il ricorso, non si era presentato all’udienza di trattazione, né aveva in qualche modo manifestato l’intenzione di volere difendersi da sé.
Nell’accogliere il ricorso i Giudici di Palazzo Cavour hanno ricordato, sulla base di precedenti conformi della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 4020/2006 e soprattutto Cass. 20934/2011), quali siano le conseguenze della introduzione del giudizio in mancanza di sottoscrizione di procura, che così possono sintetizzarsi.
1) Il difetto di procura non interferisce sull’atto di citazione che è, quindi, idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere-dovere del Giudice di decidere la controversia.
2) Il Giudice, però, rilevato detto vizio, deve concedere alla parte un termine perentorio per il rilascio della procura stessa, come si evince dall’art. 182, comma 2, c.p.c., novellato nel 2009, che, laddove rispettato, comporta la sanatoria dei vizi determinando che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della notificazione.
3) Laddove non sia stata fatta applicazione dell’art. 182, comma 2, c.p.c., la sentenza pronunciata fra le parti sarebbe nulla ed idonea al passaggio in giudicato, se non impugnata nei termini, in quanto i motivi di nullità derivanti dalla mancanza di procura si convertirebbero in motivi di impugnazione per cui, in difetto, sarebbe preclusa l’actio o excepitio nullitatis consentiti solo nel caso di inesistenza della sentenza.
Nella specie la Cassazione, quindi, ha ritenuto fondata l’impugnazione perché la Corte di Appello Ambrosiana doveva, a fronte della evidenza suddetta (l’avvocato creditore non aveva rilasciato alcuna procura al collega incaricato di presentare il ricorso, né aveva sottoscritto tale atto in quanto esentato, in qualità di soggetto esercente la professione forense, dall’obbligo di munirsi di un difensore, né aveva presenziato all’udienza camerale all’uopo fissata), doveva fare applicazione del citato art. 182, comma 2, c.p.c., necessario per sanare il vizio, poi fatto valere con il ricorso in Cassazione dalla controparte.
Di qui la cassazione della ordinanza e la rimessione della causa avanti ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 182 c.p.c..
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte fa riferimento alla funzione recuperatoria dell’art. 182 c.p.c. in ogni caso in cui la procura alle liti risulti affetta da vizi riconducibili alle ipotesi di inesistenza o di semplice nullità.
Ricorre la prima ipotesi, alla luce dell’insegnamento della Cassazione (v. Cass.10706/2006), quando, per l’appunto, la procura manchi del tutto, impedendo così la costituzione di un rapporto processuale in capo alla parte e l’esercizio dello ius postulandi.
Ricorre la seconda ipotesi, quando manchino, invece, alcuni elementi della procura stessa (ad esempio nei casi classici della illegibilità della firma di colui che la ha apposta – v. Cass. 4810/2005- o della incertezza del nome di chi la ha conferita – Cass.16331/2002 e Cass. 4139/2001). Alla inesistenza, invero, si riferisce la sentenza in questione, che riguardava proprio un caso in cui la procura non era stata materialmente rilasciata con la sottoscrizione dell’avvocato che reclamava i propri compensi. Vizio emendabile con la rimessione della causa al Giudice, per gli adempimenti di cui all’art. 182 c.p.c..
Ma la questione non è proprio pacifica, dovendosi registrare opinioni che, sulla scorta di una differenza ontologica tra le ipotesi di inesistenza e quelle di nullità della procura, propende per l’applicazione del rimedio di cui all’art. 182 c.p.c. solo nel secondo caso. Il che sarebbe predicabile sulla base di una interpretazione letterale dell’art. 182 c.p.c. laddove il legislatore utilizza il temine di “nullità” per riferirsi al vizio che risulterebbe sanabile attraverso il meccanismo obbligatoriamente disponibile dal Giudice per il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa entro un temine perentorio dallo stesso assegnato (v. ad esempio Tribunale di Tivoli 05/11/2010).
Il richiamo operato dall’art. 182 alla sola nullità della procura sarebbe, insomma, indice della voluntas legis e, quindi, della esclusione dal novero della sanabilità di tutti i casi di inesistenza. In tale contesto, il riferimento effettuato dal comma 2 dell’art 182 c.p.c. al rilascio ex novo della procura sulla base di un difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione della parte ex art 75 c.p.c., ed espressamente di un vizio di nullità della procura stessa al difensore, individuerebbe in dette ipotesi gli unici casi in cui il giudice è obbligato ad assegnare un termine perentorio per le necessarie regolarizzazioni del ministero del difensore anche attraverso il rilascio di una nuova procura da parte del soggetto legittimato.
Secondo tale interpretazione, l’art. 182 c.p.c. andrebbe letto in combinato disposto con l’art. 125, comma 2, c.p.c., il quale prevede la possibilità di sanare i vizi derivanti dalla inesistenza della procura dopo la notificazione dell’atto, anteriormente alla costituzione delle parti interessate: solo in presenza di tali condizioni, si legge nell’art. 125 c.p.c., la procura può essere validamente rilasciata al difensore.
Purtuttavia, non manca chi sostiene, per superare detto ostacolo (v. ad esempio Tribunale Busto Arsizio 10.09.2010 n. 329), che la riformulazione dell’art. 182 c.p.c., operata dalla novella del 2009, avrebbe inteso privilegiare la conservazione della validità del rapporto processuale, prevedendo la assegnazione di termini “per il rilascio della procura alle liti“, non prevista in precedenza, e che pertanto “l’interprete si trova di fronte alla scelta di non attribuire alcun significato a tale disposizione ovvero di ritenere che la stessa abbia implicitamente derogato alla confliggente norma prevista dall’art 125 c.p.c., che richiede il rilascio della procura anteriormente alla costituzione in giudizio“.
I sostenitori della tesi restrittiva si riportano ad altri riferimenti normativi, rappresentati, in primo luogo, dall’art 83 c.p.c., il quale prevede che quando “la parte sta in giudizio con il ministero di un difensore, questi deve esser munito di procura (comma 1) e, ciò, affinché il difensore possa esercitare lo ius postulandi in rappresentanza della parte che l’ha conferita“. La procura, infatti, costituisce il presupposto della valida costituzione del rapporto processuale, non operando nel nostro ordinamento il principio secondo cui gli effetti posti in essere da un soggetto privo di potere rappresentativo possano essere ratificati con efficacia retroattiva, salvo la eccezione espressamente prevista dal comma 2 dell’art 125 c.p.c. (cfr. Cass 8708/2009), che esclude, al di fuori di detta ipotesi, qualsivoglia possibilità di sanatoria (cfr Cass 6287/2003, Cass 5125/2005).
Inoltre, sempre secondo la tesi restrittiva, vi sarebbero, ancora, altre disposizioni di legge che, insieme a quelle testé ricordate, sarebbero svuotate di contenuto, laddove l’assenza di procura dovesse essere ritenuta comunque sanabile. Si tratterebbe dell’art. 165 c.p.c. (e specularmente dell’art. 166 c.p.c.), che prescrivono alla parte, all’atto della costituzione in giudizio, il deposito in Cancelleria del fascicolo contenente anche la procura .
Comunque, non può dimenticarsi che l’orientamento prevalente (v. anche, ad esempio, oltre Cass. S.U. 28337/2011, Cass. 11743/2012, Cass. 24353/2013, nella giurisprudenza di merito v. Tribunale di Busto Arsizio 10/09/2010 n. 325, già citato), è quello della possibilità di regolarizzare anche la c.d. procura inesistente. Ma il dibattito in dottrina e giurisprudenza non è affatto giunto ad un approdo sicuro. In questo senso, la sentenza in commento appare importante perché segna un punto a favore della prima delle due indicate tesi, la quale si fonderebbe anch’essa su un dato testuale rappresentato dal termine “rilascio della procura” che presupporrebbe la relativa inesistenza, indicando la precisa volontà del legislatore di prevedere uno strumento del tutto recuperatorio.
In tale contesto, secondo i fautori del primo orientamento, la direzione che l’art. 182 c.p.c. indica nel vizio determinante “la nullità” della procura la sola ipotesi per cui esso possa essere sanato, potrebbe essere facilmente superabile attraverso la considerazione che nel codice del rito non si parla mai di inesistenza, come categoria autonoma dei vizi dell’atto, con la conseguenza che sotto la categoria della nullità verrebbero fatte rientrare sia le ipotesi di vizio sanabile, sia quelle di vizio insanabile. La volontà di semplificare lo svolgimento del processo e di impedire che le parti possano avvalersi di meri formalismi per fini dilatori, militerebbe ulteriormente a favore di detta argomentazione.
Per concludere, la vexata quaestio rimane aperta ancorché le coordinate esegetiche fornite dal Giudice della nomofilachia indicano decisamente, ed in questa direzione si pone la decisione in commento, un percorso di generale sanatoria, secondo gli strumenti ricordati, tanto nei casi di nullità quanto in quelli di inesistenza della procura alle liti al difensore. Al riguardo, sembra utile ricordare che, laddove la nullità dell’atto introduttivo per mancanza o nullità della procura ad litem sia fatta valere in appello, ciò non comporta l’obbligo del giudice della impugnazione di rimettere la causa al primo giudice, non ricorrendo alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c. (vedasi, da ultimo la decisione della Cassazione, di poco precedente quella in esame, 05.10. 2015 n. 19868).
Testo del provvedimento
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