ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n.11816 del 12/07/2012 si è pronunciata sull’annosa questione relativa alla legittimità delle sanzioni disciplinari poste a carico dei medici che pubblicizzino la propria attività professionale con particolare riferimento alle tariffe delle prestazioni da effettuare.
La questione trae origine da una sanzione irrogata ad un medico (sospensione di un mese dall’esercizio della professione) che aveva diffuso alcuni volantini ove erano pubblicizzate le prestazioni offerte dalla struttura della quale lo stesso era direttore sanitario. L’Ordine professionale di appartenenza del medico riteneva, infatti, che la diffusione di volantini pubblicitari era deontologicamente scorretta, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale e ispirata a realtà di esclusiva natura commerciale.
Proposto appello innanzi la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie veniva confermata la sanzione irrogata sul presupposto che il messaggio diffuso dal medico era da considerarsi falso nella parte in cui postulava l’esistenza di una tariffa professionale minima nazionale, ormai abrogata, in relazione alla quale i prezzi praticati dalla struttura risultavano ridotti di 2/3.
Proposto ricorso per cassazione gli Ermellini hanno accolto il gravame sostenendo che, il richiamo da parte del sanitario alla tariffa professionale presuppone un carattere puramente orientativo della tariffa proposta, ragion per cui non si vede il motivo per il quale detto richiamo possa configgere con la trasparenza e la veridicità della comunicazione.
Né, spiega la Corte, ha troppo senso la valorizzazione, in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari.
In tale contesto, la riaffermazione dei poteri di verifica degli Ordini professionali, fermo restando l’indiscutibile eliminazione del divieto di svolgere pubblicità sui servizi offerti, sui prezzi e sui costi complessivi delle prestazioni professionali (art.2 Legge n.248 del 2006), è del tutto inidonea a giustificare la decisione adottata con conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie affinché decida attenendosi ai principi e rilievi in tale sede esposti.
Testo del provvedimento
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE – III
Sentenza 12 luglio 2012, n.11816
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
È stata depositata in cancelleria la seguente relazion, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.
Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti.
OSSERVA:
1. Il dottor TIZIO venne sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Ordine dei Medici in relazione alla diffusione di un volantino ove erano pubblicizzate le prestazioni offerte da ALFA SRL, struttura della quale lo stesso era direttore sanitario.
L’accusa formulata nei suoi confronti era di aver tenuto un comportamento non conforme al disposto degli artt.55 e 56 del Codice Deontologico.
All’esito del procedimento, la Commissione dell’Albo degli Odontoiatri dell’Ordine irrogò all’incolpato la sanzione della sospensione di un mese dall’esercizio della professione.
Per quanto risulta dal provvedimento impugnato, ritenne la Commissione che la diffusione di volantini pubblicitari fosse deontologicamente scorretta, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale e ispirata a realtà di esclusiva natura commerciale;
che il messaggio diffuso fosse falso, nella parte in cui postulava l’esistenza di una tariffa minima nazionale, ormai abrogata.
2. L’impugnazione proposta dal Dott. TIZO alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie è stata da questa respinta in data 7 febbraio/1 luglio 2001.
Segnatamente la Commissione, nel confutare la tesi difensiva secondo cui il riferimento alla tariffa minima nazionale – rispetto alla quale i prezzi praticati dalla struttura risultavano ridotti di 2/3 – aveva un valore meramente parametrico, ha affermato che la stessa necessità di chiarire il significato dell’espressione era indice di un’inemendabile mancanza di trasparenza del messaggio pubblicitario.
Ha aggiunto che il richiamo a quei minimi, in un contesto normativo in cui essi erano stati abrogati, era biasimevole e che una riduzione generalizzata delle tariffe, non riferita alle singole prestazioni, si poneva in contrasto con il principio di correttezza.
Quanto poi alle innovazioni in materia di pubblicità sanitaria sancite dalla normativa comunitaria e dal cd. decreto Bersani (legge n.248 del 2006), le disposizioni sopravvenute non avevano inciso sulla competenza degli Ordini professionali di verificare la rispondenza dei messaggi pubblicitari ai criteri di trasparenza e veridicità.
3. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre dunque a questa Corte il sanitario, formulando due motivi e notificando l’atto all’Ordine dei Medici, al Ministero della Salute, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione nonché alla Prefettura.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
4. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall’art.360 bis, inserito dall’art.47, comma 1, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., per esservi accolto.
Queste le ragioni.
5.1 Con il PRIMO MOTIVO l’impugnante denuncia violazione degli artt.42 e 49 del Trattato UE, della Direttiva n.123 del 2006, nonché vizi motivazionali.
Ricordato che le disposizioni comunitarie risultano ispirate alla massima liberalizzazione possibile delle prestazioni di servizi (ivi comprese quelle di tipo professionale);
che la Corte di Giustizia ha ribadito anche in tempi recentissimi, nella sentenza del 5 aprile 2011 (causa C-119/09), l’obbligo, sancito per gli Stati membri della Comunità dall’art.24 della direttiva n.123 del 2006, di sopprimere tutti i divieti in materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate;
che, in tale contesto, l’anacronistica disciplina dettata dalla legge n.175 del 1992 deve ritenersi inapplicabile, sostiene l’esponente che sia l’Ordine dei Medici, sia la Commissione, avrebbero apoditticamente affermato che le informazioni contenute nel volantino contrastavano con i doveri di correttezza e trasparenza, senza specificare in che modo esse potessero ledere l’indipendenza, la dignità, l’integrità nonché il segreto professionale, e cioè gli unici valori legittimanti limitazioni a siffatto tipo di comunicazioni.
Assume che la Commissione si sarebbe limitata a ribadire la legittimità del proprio potere di controllo, senza chiarire le ragioni per le quali la condotta ascritta al Dott. TIZIO fosse deontologicamente scorretta, così di fatto perseguendo in maniera surrettizia il fine di vietare la pubblicità professionale.
5.2 Con il SECONDO MEZZO il ricorrente lamenta violazione dell’art.2 del d.l. 223 del 200 e della relativa legge di conversione 4 agosto 2006, n.248, nonché, ancora una volta, erroneità o insufficienza della motivazione.
Ricorda che la predetta fonte ha sancito, dalla data della sua entrata in vigore, l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni. Né, rileva, in tale contesto normativo, la motivazione della sanzione irrogata consentirebbe di identificare i connotati censurabili dell’opuscolo di Dentale Coop.
6. Entrambi i motivi appaiono fondati.
Le argomentazioni addotte dalla Commissione a sostegno della scelta decisoria adottata sono speciose e tautologiche.
L’assunto dell’ambiguità e, in definitiva, del carattere ingannevole del riferimento a una tariffa ormai abrogata è all’evidenza viziato da un’insopprimibile insofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell’esercente la professione sanitaria.
Non si vede, infatti, come quel richiamo, che necessariamente presuppone, piuttosto che smentire, il carattere puramente orientativo della tariffa, possa configgere con la trasparenza e la veridicità della comunicazione.
Né ha troppo senso la valorizzazione, in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari.
7. In tale contesto, la riaffermazione dei poteri di verifica degli Ordini professionali, malgrado l’indiscutibile eliminazione del divieto di svolgere pubblicità sui servizi offerti, sui prezzi e sui costi complessivi delle prestazioni professionali (art. 2 legge n. 248 del 2006), è del tutto inidonea a giustificare la decisione.
Quei poteri – la cui sopravvivenza è fuori discussione – sono funzionali alla verifica della trasparenza e della veridicità del messaggio. Ma si è già visto che le ragioni addotte dalla Commissione a sostegno della negativa valutazione formulata al riguardo sono giuridicamente scorrette e logicamente inappaganti”.
Ritiene il collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione. Ne deriva che, in accoglimento del ricorso, la decisione impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie che, nel decidere, si atterrà ai principi e ai rilievi innanzi esposti.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione
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Numero Protocolo Interno : 17/2012