In tema di risarcimento del danno da protesto, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per s’è sufficiente al risarcimento, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza di un’efficace rettifica, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell’onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute.
Qualora la domanda di risarcimento sia proposta dalla società in riferimento ai danni patiti dal soggetto che all’epoca dei fatti rivestiva la qualità di legale rappresentante, la stessa va respinta per assenza di legitimatio ad causam, posto che ai fini della sussistenza della legittimazione attiva deve risultare la coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che nella domanda è affermato titolare del diritto.
Questi i principi espressi dalla Corte d’ Appello di Roma, Pres. Cofano – Rel. Thellung de Courtelary con la sentenza n. 308 del 17/01/2018.
Nella fattispecie in disamina una società s.a.s. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Latina che aveva respinto la domanda dalla stessa proposta tendente ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da lesione alla propria immagine commerciale derivante dall’illegittima condotta della Banca e del Notaio per aver illegittimamente protestato una cambiale nonostante la piena capienza del conto corrente.
In particolare, la società censurava la decisione di prime cure per aver erroneamente ritenuto insussistente la legittimazione attiva della stessa, motivando che seppur nelle originarie conclusioni era stata richiesta la condanna dei convenuti al risarcimento danno patito dall’allora socio accomandatario, in proprio e nella qualità di institore della società, la precisazione della domanda svolta nella memoria ex art. 183 c.p.c., nella quale, si chiedeva il risarcimento del danno patito anche dalla stessa società doveva considerarsi come una semplice ementatio libelli e non, come invece sostenuto dal Tribunale, una domanda nuova atta a modificare il titolare del diritto azionato.
Si costituivano la Banca ed il Notaio levatore del protesto insistendo per il rigetto del gravame.
Sul punto la Corte osservava che, avendo agito in giudizio la società per i danni dalla stessa riportati, il riferimento al socio quale institore era evidentemente pleonastico, giacché parte attrice era, appunto, il soggetto rappresentato che si deduceva aver patito il danno e che sebbene sotto questo profilo la domanda contenuta nella memoria 183 VI co n. 1 c.p.c. poteva considerarsi quale specificazione della domanda originariamente proposta tanto non era sufficiente a ritenere sussistente la legittimazione attiva della società.
Infatti, osserva il Collegio, la società aveva agito per ottenere il risarcimento del danno da lesione alla propria immagine commerciale nonché il risarcimento del danno patrimoniale, nella duplice veste del danno emergente e del lucro cessante in quanto, a causa dell’illegittimo protesto, vi era stata l’impossibilità di accedere al credito funzionali alla realizzazione dell’acquisto di quote di una società, i cui contratti preliminari risultavano sottoscritti dal socio in proprio, senza specificazione della qualità di institore della società attrice, con ciò afferendo le domande formulate non a danni riportati dalla società, bensì dal socio in proprio, con la conseguenza che, in relazione ad essi, la società attrice risultava in ogni caso carente di legittimazione attiva.
Quanto, invece, al danno non patrimoniale derivante dall’illegittimo protesto i Giudici hanno ribadito, in conformità a maggioritaria giurisprudenza di legittimità, che la semplice illegittimità del protesto non è ex se sufficiente al risarcimento del danno alla reputazione, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno oltre alla mancanza di un’efficace rettifica, con la conseguenza che la domanda avrebbe dovuto essere anche nel merito respinta.
Sulla scorta di tali considerazioni la Corte ha rigettato integralmente l’appello condannando la società alla rifusione delle spese del giudizio nei confronti di tutte le parti in causa.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
PROTESTO CAMBIALE: ELEVABILE ANCHE NELL’IPOTESI DI SEQUESTRO DEL TITOLO NEL CORSO DI UN PROCEDIMENTO CIVILE O PENALE
IL TITOLO È LEGITTIMAMENTE PROCEDIBILE MEDIANTE PRESENTAZIONE DI COPIA AUTENTICA, DA RESTITUIRSI ALL’ESITO AL PORTATORE
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L’INTERESSE ALLA LEVATA DEL PROTESTO NON È ESCLUSIVAMENTE RICONDUCIBILE ALLA PRESENTAZIONE ALL’INCASSO DI UN ASSEGNO PRIVO DI PROVVISTA
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