Ai fini della valutazione sulla legittimità o meno del protesto, nessun rilievo può assumere, l’eventuale sussistenza, tutta da dimostrare, di un credito restitutorio vantato dai clienti nei confronti della banca.
In tema di legittimità del protesto, la mancanza fondi è un dato oggettivo che non può minimamente essere influenzato dall’esistenza di contestazioni nel rapporto banca-clienti.
Questi i principi espressi dalla Corte di Appello di Bologna, Pres. Aponte, Rel.De Cristofaro, con la sentenza n. 536 del 21 febbraio 2018.
Nel caso di specie due correntisti proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, chiamato a pronunziarsi sulla domanda di accertamento dell’inadempimento contrattuale della Banca e l’illegittimo comportamento riferito alla levata del protesto di un assegno per “difetto di provvista”.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto che il protesto fosse stato legittimamente levato per la dimostrata mancanza di fondi a copertura dell’assegno e che la mancanza di fondi fosse un dato oggettivo e inconfutabile e che la levata del protesto è un atto dovuto, a nulla rilevando le motivazioni addotte dai correntisti circa la presunta violazione delle particolari condizioni inizialmente pattuite dalla banca in loro favore, valutando altresì l’irrilevanza, ai fini della legittimità del protesto, delle censure rivolte alla banca circa addebiti sul conto corrente di spese e competenze diverse da quelle pattuite che avevano determinato la scopertura del conto.
La Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado dichiarando la legittimità del protesto in quanto atto necessitato e dovuto che non era altrimenti evitabile se non ottemperando all’invito della banca a recarsi in filiale (al fine di ripristinare la provvista), così statuendo: “l’unico modo per ritenere illegittimo il protesto sarebbe stato dimostrare che, alla data della presentazione dell’assegno all’incasso, sul conto corrente vi fosse la provvista sufficiente al suo pagamento”.
Altra considerazione svolta dalla Corte è che “nessun rilievo può assumere, ai fini della valutazione sulla legittimità o meno del protesto, l’eventuale sussistenza, tutta da dimostrare, di un credito restitutorio vantato dai clienti nei confronti della banca”.
A nulla rileverebbe, tanto da considerarlo contrario alla buona fede, il comportamento del cliente che ritenga di non dovere ripristinare la provvista, invocando, in modo del tutto soggettivo, un comportamento della banca in violazione agli accordi contrattuali (addebito di spese e commissioni non pattuite).
Orbene, il comportamento del correntista che, volendo evitare le conseguenze negative del protesto, ammette espressamente la mancanza di provvista, integra tutti gli estremi di una condotta colposa, evitabile solo se lo stesso avesse provveduto a recarsi sollecitamente in filiale per versare i fondi necessari, con o senza invito della banca, mentre ciò nel caso di specie non era stato fatto.
Atteso che nel corso del giudizio primo grado è stata espletata la ctu che ha confermato la legittimità degli addebiti e che il saldo del conto corrente è risultato sempre a debito per il correntista, la Corte ha rigettato l’appello confermando che il comportamento del correntista integrasse la fattispecie di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. avendo gli attori perpetrato nel moltiplicare i procedimenti (fase cautelare, reclamo, giudizio di primo grado, giudizio di appello e finanche giudizio penale, terminato con l’archiviazione), abusando dello strumento processuale in danno della Banca, senza peraltro mai provvedere al pagamento delle spese provocate da tale condotta.
La Corte, definitivamente pronunciando ha respinto l’appello proposto dai correntisti nei confronti di Banca, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite dei due gradi di giudizio e alla ulteriore somma ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c. nonché al pagamento del doppio del contributo unificato ai sensi dell’articolo 13 co.1 quater T.U. 115/2002.
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