ISSN 2385-1376
Testo massima
La domanda di cancellazione del protesto dall’elenco della Camera di Commercio è strettamente correlata all’accertamento dell’illegittimità della levata. Il giudizio, pertanto, non può prescindere dalla presenza necessaria del soggetto cui questa potrebbe essere astrattamente addebitata. Nel caso in cui sia dedotta l’illegittimità della levata del protesto di un assegno bancario, in quanto emesso con firma di traenza diversa da quella del titolare del conto corrente, va convenuta non la banca trattaria che legittimamente abbia rifiutato il pagamento in rapporto all’inesistenza della provvista ma il pubblico ufficiale che ha levato il protesto, cui compete la verifica della regolarità formale della compilazione dell’assegno all’atto della sua emissione.
Peraltro, il carattere materiale e non tipicamente amministrativo dell’attività che la Camera di Commercio svolge, in materia di pubblicazione dell’elenco dei protesti di cambiali e assegni, non preclude al soggetto interessato all’accertamento dell’illegittimità della levata di protesto ed alla conseguente cancellazione del suo nominativo dall’apposito elenco di convenire in giudizio anche la Camera di Commercio, affinché l’eventuale pronuncia alla cui ottemperanza quest’ultima non potrebbe in ogni caso sottrarsi faccia direttamente stato anche nei suoi confronti per la parte relativa all’obbligo di cancellazione.
Questi i principi espressi nella sentenza n. 26417, pubblicata il 26 novembre 2013, con la quale la Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento sui rapporti tra l’azione di accertamento dell’illegittima levata del protesto, finalizzata alla cancellazione, e gli strumenti di tutela previsti dal D.Lgs. n.196/2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) a presidio del legittimo trattamento dei dati personali, nonché sui soggetti legittimati in ciascuna domanda.
LA NORMATIVA
L’art.3-bis, introdotto nel D.L. 18 settembre 1995 n.381 dalla relativa legge di conversione, dispone, nella formulazione vigente, come modificata dal’art.4, co.1 della L. n.235/2000, quanto segue: “Al fine di accrescere il livello di certezza e trasparenza dei rapporti commerciali, alla pubblicazione ufficiale dell’elenco dei protesti cambiari, di cui all’articolo 1 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, si provvede mediante il registro informatico dei protesti, tenuto dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in modo da assicurare completezza, organicità e tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale. La notizia di ciascun protesto levato è conservata nel registro informatico fino alla sua cancellazione, effettuata ai sensi dell’articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, e successive modificazioni, o dell’articolo 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero, in mancanza di tale cancellazione, per cinque anni dalla data della registrazione”.
In materia di trattamento dei dati personali, l’art.152 del D.Lgs. 196/2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, prevedeva un complesso di disposizioni processuali speciali, applicabili a tutte le controversie che riguardassero l’applicazione delle norme del “codice” stesso, devolute al Giudice Ordinario, in composizione monocratica.
LA VICENDA
La vicenda trae origine dal ricorso ex art.152 D.Lgs. n.196/2003 presentato innanzi al Tribunale di Roma nei confronti della Camera di Commercio e del Garante per la protezione dei dati personali, per ottenere la cancellazione dei dati relativi alla registrazione di un protesto dall’apposito registro.
La ricorrente lamentava che il protesto era stato levato per un assegno di cui aveva denunciato il furto. Si doleva, inoltre, della mancata applicazione della Legge n. 480 del 1995, come modificata dalla Legge n.285 del 2000 istitutiva del registro informatico dei protesti che prevede l’obbligo di cancellazione di questi ultimi, decorso un quinquennio dalla loro registrazione. Chiedeva, di conseguenza, la condanna in solido della CCIA e del Garante al risarcimento dei danni asseritamente subiti per la persistenza del protesto a suo carico.
Il Tribunale aveva rigettato le domande attoree, atteso che la CCIA convenuta non era obbligata da alcuna disposizione di legge ad eliminare i registri cartacei, che comunque non erano più consultabili. In ogni caso essa si era adeguata, anche se con ritardo, all’obbligo di istituzione dei registri informatici, dai quali poteva agevolmente evincersi che il protesto a carico della ricorrente era stato levato nei confronti di “titolo rubato o smarrito”.
Avverso tale pronuncia, l’istante ha proposto ricorso per cassazione, affidando le proprie doglianze a nove articolati motivi di censura.
LA DECISIONE DELLA CORTE
Il Collegio, soffermatosi preliminarmente sull’inammissibilità di otto dei nove motivi di ricorso, così come formulati, sulla scorta dei principi elaborati in riferimento all’abrogato art.366-bis cpc, applicabile ratione tempiris, ha esaminato il primo (ed unico ammissibile) motivo, concludendo per il rigetto del ricorso, in applicazione dei principi di diritto riportati in epigrafe, con la conseguente conferma della decisione di merito, in quanto corretta ed adeguatamente motivata.
L’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte, alla luce delle questioni sollevate dalla resistente CCIA con il controricorso, circa la mancanza della propria legittimazione passiva, può essere riassunto nei termini che seguono.
Il soggetto interessato alla cancellazione del protesto dal relativo elenco della CCIA avrebbe dovuto presentare la domanda di accertamento della illegittimità del protesto medesimo, non nelle forme di cui all’art. 152 del D.Lgs. n. 196/2003, ma secondo altro rito, convenendo in giudizio il pubblico ufficiale eventualmente responsabile dell’errata e pregiudizievole registrazione.
La via prescelta dalla ricorrente, infatti, consente unicamente di censurare il comportamento della CCIA relativamente al trattamento dei dati personali.
Nel caso di specie, tuttavia, la condotta della Camera di Commercio, come stabilito dal Giudice di prime cure e confermato dalla Cassazione in quanto correttamente motivato, è risultata scevra da profili di illegittimità, stante l’insussistenza di qualsivoglia obbligo di eliminazione dei registri cartacei (resi comunque non consultabili). Nulla, pertanto, alla CCIA (né al Garante per la protezione dei dati personali) può imputarsi a titolo di responsabilità per i danni asseritamente subiti.
La pronuncia, pur ribadendo la possibilità per il soggetto protestato di agire nei confronti del pubblico ufficiale che ha provveduto alla registrazione, qualora assuma che quest’ultima sia illegittima (in questo senso si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza n.8797/2012 della medesima sezione, laddove, tuttavia, l’illegittimità del protesto era dettata dal fatto che la firma di traenza dell’assegno era riconducibile chiaramente a soggetto diverso da quello poi protestato), va correttamente inserita nel contesto normativo e giurisprudenziale in materia.
Giova ricordare, al riguardo, che il protesto levato nei confronti di soggetto che abbia subito il furto del titolo, anche regolarmente denunciato, è pienamente legittimo, ed anzi rappresenta un atto dovuto a tutela del portatore del titolo, perché quest’ultimo possa agire nei confronti dei coobbligati “di regresso”.
La Banca trattaria, una volta rifiutato il pagamento dell’assegno con firma di traenza diversa da quella del titolare del c/c, ha l’obbligo di segnalare dettagliatamente l’accaduto al pubblico ufficiale incaricato della registrazione del protesto, che deve iscriverlo con la causale “assegno smarrito o rubato” ed effettuare regolare segnalazione alla competente Procura della Repubblica.
Se tali adempimenti vengono rispettati, al soggetto protestato non resta che ricorrere al Giudice Ordinario. Solo l’Autorità Giudiziaria, infatti, ha il potere di disporre la sospensione o la definitiva cancellazione del protesto dal relativo registro della CCIA.
A tale consolidato orientamento si aggiunge la precisazione resa con la pronuncia in commento, che conferma richiamandoli in parte motiva un principio già acclarato dalla giurisprudenza di legittimità: chiunque voglia ottenere la cancellazione del protesto, deducendone l’illegittimità, deve convenire in giudizio il soggetto a cui tale illegittima registrazione possa essere astrattamente addebitata. E, si badi, tale soggetto non è la banca trattaria, la quale ha solo l’obbligo di segnalare il mancato rispetto dell’ordine di pagamento, per essere l’assegno stato tratto con firma di un soggetto diverso dal titolare del rapporto di conto corrente, bensì il pubblico ufficiale che ha levato il protesto e che, eventualmente, non ha rispettato l’obbligo di verifica della regolarità formale della compilazione del titolo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6590/2007 proposto da:
D.N.L.;
– ricorrente –
contro
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA;
– controricorrente –
contro
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI;
– intimato –
avverso la sentenza n. 11355/2006 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 31/05/2006;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- Con ricorso al Tribunale di Roma ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, D.N.L., assumendo che la C.C.I.A.A. di Roma aveva illegittimamente levato un protesto per un assegno del quale aveva denunciato il furto nell’anno 1991, che, ancora alla data del 25.6.2001, detto protesto risultava pubblicizzato nel registro cartaceo dei protesti della medesima C.C.I.A.A. di (OMISSIS), nonostante l’entrata in vigore della L. n. 489 del 1995, come modificata dalla L. n. 235 del 2010; istitutiva del registro informatico e dell’obbligo di cancellazione dei protesti dopo un quinquennio dalla loro levata, e lamentando che il Garante per la protezione di dati personali da lei adito si era limitato a disporre il blocco anzichè la cancellazione dei dati e che siffatta situazione le aveva arrecato ingenti danni, ha chiesto la cancellazione del suo nominativo dal registro cartaceo dei protesti e la condanna in solido della C.C.I.A.A. di (OMISSIS) e dello stesso Garante al risarcimento di tutti i danni asseritamente subiti.
Il Garante per la protezione dei dati personali e la C.C.I.A.A di Roma hanno chiesto il rigetto di entrambe le domande attoree.
Con sentenza del 31.5.2006 il tribunale ha rigettato il ricorso.
1.1.- Ha osservato il giudice del merito che nessuna norma ha previsto l’obbligo per le C.C.I.A.A. di eliminare i registri cartacei dei protesti al momento dell’entrata in funzione dei registri elettronici e che tuttavia oggi, per effetto del divieto di pubblicizzare i protesti trascorsi cinque anni dalla loro levata, i registri cartacei non possono più essere consultati.
Pertanto correttamente il Garante si è limitato a disporre il blocco dei dati della D., non anche la loro cancellazione.
In ogni caso la C.C.I.A.A. di Roma, sebbene con un certo ritardo, risultava essersi adeguata alla suddetta normativa, posto che da tempo non consentiva più la consultazione dei propri registri cartacei (circostanza non contestata) e comunque nessun pregiudizio la ricorrente avrebbe potuto subire dalla pubblicazione del protesto de quo, posto che accanto al suo nominativo risultava stampato il codice numerico “07” che, secondo la legenda riportata nello stesso Bollettino dei protesti, evidenziava trattarsi di protesto levato nei confronti di un “titolo rubato o smarrito”, come attestato dalle copie di detto Bollettino esistenti in atti.
2.- Contro la sentenza del Tribunale la D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
Resiste con controricorso la C.C.I.A.A. di Roma, mentre non ha svolto difese il Garante.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.
3.1.- Con il PRIMO motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza e vizio di motivazione e formula – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis – il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “è nulla la sentenza in cui non sia rilevabile la ratio decidendi e comunque le argomentazioni ivi addotte siano logicamente incomprensibili ovvero sia priva dell’enunciazione delle conclusioni delle parti, dell’esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”.
3.2.- Con il SECONDO motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle domande ex art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “ai sensi e per effetto dell’art. 112 c.p.c., avrebbe dovuto il Tribunale Civile di Roma pronunciarsi anche in relazione alla domanda con la quale si chiedeva al giudice di ordinare alla CCIAA l’indicazione delle finalità e delle modalità del trattamento relativo ai dati personali della ricorrente contenuti nei registri cartacei dei protesti e alla domanda di condanna al risarcimento dei danni conseguenti dalla sua inerzia del Garante”.
3.3.- Con il TERZO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “l’ordinanza di rigetto ai sensi della L. n. 106 del 1996, art. 17 in quanto il protesto non è stato levato è titolo esecutivo avente efficacia esecutiva per ottenere la cancellazione dell’illegittima pubblicazione del proprio nominativo sul registro cartaceo dei protesti o, comunque, consente all’interessato di chiedere ad altro Tribunale che la CCIAA cancelli il nominativo pubblicato nel registro cartaceo dei protesti”.
3.4.- Con il QUARTO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “nell’ipotesi di assegno bancario rubato o smarrito sul quale sia stata falsificata la firma dell’emittente, con sottoscrizione con un nome chiaramente e totalmente diverso da quello del titolare del conto, il protesto dev’essere levato con riferimento al nome del traente inesistente e non con riferimento al conto di traenza dell’assegno con conseguente diritto alla cancellazione nel caso questa regola sia violata”.
3.5.- Con il QUINTO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “in virtù della normativa indicata in rubrica, ed in particolare della L. n. 77 del 1955, avrebbe dovuto l’Autorità Giudiziaria disporre la cancellazione del nominativo della ricorrente dal registro cartaceo essendo il protestato incolpevole”.
3.6.- Con il SESTO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “i principi in materia di cancellazione del protesto prevedono che la cancellazione del protesto debba avvenire sia dal registro informatico che dal registro cartaceo dei protesti trascorsi 5 anni dalla sua levata”.
3.7.- Con il SETTIMO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “avrebbe dovuto l’Autorità Giudiziaria disporre la cancellazione del nominativo della ricorrente dal registro cartaceo sulla base della normativa a tutela dei dati personali, come anche attuata in materia archivistica, in quanto il nominativo della ricorrente non doveva essere trattato od essere identificabile oltre il tempo di conservazione necessario per lo svolgimento delle funzioni della CCIAA”.
3.8.- Con l’OTTAVO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “in base alla normativa richiamata in rubrica, avrebbe dovuto l’Autorità Giudiziaria considerare ogni prova indicata dai ricorrenti e, se del caso, motivare per quale motivo non l’abbia ritenuta rilevante ai fini della decisione”.
3.9.- Con il NONO motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi: se “in base alla normativa richiamata in rubrica, avrebbe dovuto l’Autorità Giudiziaria decidere su ogni istanza istruttoria indicata dalla ricorrente e, se del caso, motivare per quale motivo non l’abbia ritenuta rilevante”.
4.- La resistente, nel controricorso, ha sollevato la questione della propria legittimazione passiva in ordine alle domande contro di essa proposte.
Appare, pertanto, opportuno evidenziare che “il carattere materiale e non tipicamente amministrativo dell’attività che la Camera di commercio svolge in materia di pubblicazione dell’elenco dei protesti di cambiali e di assegni, in osservanza della L. 12 febbraio 1955, n. 77, art. 3, non preclude al soggetto interessato all’accertamento della illegittimità della levata di protesto ed alla conseguente cancellazione del suo nominativo dall’apposito elenco di convenire in giudizio anche la Camera di commercio, affinchè l’eventuale pronuncia – alla cui ottemperanza quest’ultima non potrebbe in ogni caso sottrarsi – faccia direttamente stato anche nei suoi confronti per la parte relativa all’obbligo di cancellazione. Essendo, tuttavia, la domanda di cancellazione strettamente collegata all’accertamento della illegittimità della levata di protesto, il giudizio non può prescindere dalla presenza necessaria del soggetto cui questa potrebbe essere astrattamente addebitata: soggetto che, nel caso in cui venga dedotta la illegittimità del protesto di un assegno bancario in quanto emesso con firma di traenza diversa da quella del titolare del conto corrente, va identificato non già nella banca trattaria – non discutendosi della illegittimità del rifiuto di pagamento in rapporto alla inesistenza della provvista -, ma unicamente nel pubblico ufficiale che ha levato il protesto, cui compete la verifica della regolarità formale della compilazione dell’assegno all’atto della sua emissione” (Sez. 1, n. 14991 del 2006 e, anche in relazione alla L. n. 235 del 2000, Sez. 1, n. 14005 del 2010).
Peraltro, il presente giudizio ha ad oggetto domande (e si è svolto con il rito) di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 e, quale titolare del trattamento, la CCIAA è responsabile della correttezza dei dati trattati.
La cancellazione del protesto che si assume illegittimamente levato, dunque, doveva essere richiesta con altre forme e in contraddittorio con i responsabili mentre solo il (legittimo) trattamento dei dati relativi al protesto di cui non è stata chiesta ritualmente la cancellazione e l’asserita tardiva eliminazione dei dati potrebbero essere imputata alla CCIAA perchè, ai sensi della L. n. 235 del 2000, art. 4, comma 1, (con il quale è stato sostituito l’ultimo periodo del D.L. 18 settembre 1995, n. 385, art. 3 bis, comma 1, conv., con modif., dalla L. 15 novembre 1995, n. 480) – la notizia di ciascun protesto è conservata nel registro informatico fino all’intervento della sua cancellazione e, comunque, ove questa non sia avvenuta, per cinque anni dalla pubblicazione.
5.- Ciò premesso, osserva preliminarmente la Corte che anche recentissimamente le Sezioni unite hanno ribadito che “è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo” (Sez. Un., Sentenza n. 21672 del 23/09/2013: nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia). Peraltro, “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366 bis. cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati” (Cass. sez. un. del 16345/2013).
Le stesse Sezioni Unite hanno da tempo chiarito, poi, che “è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto” (Sez. UN Sentenza n. 7770 del 2009). In altri termini, “è inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonchè, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis alla fattispecie, sebbene abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47)” (Sez. 3, Sentenza n. 12248/2013). Resta in ogni caso fermo il principio per il quale è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Sez. U, Sentenza n. 26020/2008).
5.1.- Alla luce dei principi esposti sub p.5, l’ottavo e il nono motivo sono inammissibili per assoluta genericità dei quesiti, mentre le rimanenti censure – fatta eccezione per quelle di cui al primo motivo – sono inammissibili per la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), non accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonchè, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo.
Infine, il primo motivo è infondato alla luce dell’adeguata e congrua motivazione della sentenza impugnata, innanzi riassunta sub p.1.1 e in relazione a quanto esposto sub p.4 in merito all’estraneità della resistente rispetto ai danni imputabili alla dedotta illegittimità della levata del protesto.
6.- Da ultimo, è infondata la richiesta della resistente di cancellazione della frase “vendita dei protestati” contenuta nel ricorso sub 7.6.b e alla correlata richiesta di condanna al risarcimento dei danni perchè non può essere disposta, ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione delle parole che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte (Sez. 3, Sentenza n. 26195 del 2011, la quale ha escluso che fossero offensive dell’altrui reputazione le parole – come l’avverbio “subdolamente” -, che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell’esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell’avversario).
Le spese del giudizio di legittimità – nella misura determinata in dispositivo – seguono la soccombenza. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 154, comma 6, copia del presente provvedimento sarà trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante per la protezione dei dati personali.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 688/2013