Testo massima
La contestazione della conformità
della copia all’originale, al pari del disconoscimento ex art.214 cc, devono
essere tempestivi, dovendo avvenire in modo formale e specifico nella prima
udienza o nella prima risposta successiva alla produzione del documento.
Così il Tribunale di Roma, con la pronuncia del 13
marzo 2012, ha precisato che anche se non sono richieste formule sacramentali,
è in ogni caso necessaria una chiara ed inequivoca contestazione della
conformità della copia all’originale, che consenta di desumere da essa in modo
inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che
possano considerarsi sufficienti contestazioni generiche o onnicomprensive.
Solo quando è stata fatta tale
formale contestazione è onere della parte, che ha effettuato la produzione, di
depositare in giudizio l’originale del documento.
Inoltre, precisano i Giudici, la
parificazione del disconoscimento della conformità ex art.2719 cc al
disconoscimento della scrittura e della sottoscrizione ex art.214 e ss cpc,
quanto alla procedura ed alle formalità del disconoscimento, non sussiste
quanto agli effetti atteso che, la contestazione ai sensi dell’art.2719 cc non
impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche
mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Roma – Sezione
Terza Civile, in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di
giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo
grado, iscritta al n. 46441 Ruolo Generale dell’anno 2010 e trattenuta in
decisione all’udienza del 3 ottobre 2011, vertente
TRA
T.P.L.;
ATTORE
E
G.S.M. Srl, e T.S.;
CONVENUTE
OGGETTO: TRASFERIMENTO DI QUOTE
SOCIALI.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente
notificato alla G.S.M. Srl e a T.S., l’attore T. P.L., premesso che la predetta
T. era titolare del 99% delle quote della G.S.M. Srl (intestataria di azienda
commerciale esercente attività di ristorazione), di cui era socio all’ 1%
D.G.G., allegava che in data 22/2/07 aveva sottoscritto con i predetti soci T.
e D.G. un contratto preliminare di cessione di quote;
che in particolare la T. aveva
ceduto il 49,5% delle sue quote, mentre la D.G. il proprio 0,5%, così da cedere
ad esso attore il complessivo 50% del capitale della G.S.M. Srl;
che era stato previsto il
pagamento della complessiva somma di 150.000,00 Euro da versarsi in dodici rate
mensili, regolarmente pagate;
che peraltro aveva versato alle
convenute una somma superiore (ulteriori 25.000,00 Euro) a quanto previsto nel
preliminare, il tutto come risultava dalle ricevute di pagamento in atti;
che nonostante la previsione del
termine (31/12/07) per il trasferimento delle quote, le cedenti non vi avevano
provveduto, nonostante i vari solleciti;
che pertanto era suo interesse
agire ex art.2932 cc, stante la scadenza del termine e il totale pagamento del
prezzo; che era suo interesse ottenere la restituzione della maggior somma
versata (25.000,00 Euro), nonché ottenere dalla società convenuta la restituzione
della somma di 281.000,00 Euro versata a titolo di finanziamento soci, così
come previsto sempre nel citato contratto del 22/2/07, ove peraltro era stato
previsto un finanziamento soci in favore della società per complessivi
150.000,00 Euro.
Si costituivano in giudizio le
due convenute (la GSM Srl e la T. anche in proprio), le quali concludevano come
in epigrafe riportato.
Nel corso del giudizio veniva
presentato ricorso per sequestro giudiziario delle quote societarie, che era
rigettato per difetto del periculum in
mora.
La causa era istruita
documentalmente, essendo stata ritenuta superflua ogni ulteriore attività
istruttoria.
All’udienza del 3/10/11 la causa
era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il
deposito di comparse conclusionali (60 giorni) ed eventuali repliche (ulteriori
20 giorni): i termini ex artt.190 e 281 quinquies
cpc sono scaduti il 22/12/11.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente rileva il Giudice
che la causa è stata introdotta dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del
2009, contenente l’abrogazione del cd. rito societario, per cui correttamente
la causa è stata trattata secondo il rito ordinario.
Va poi ribadito che per l’odierna
controversia non sussiste la riserva di collegialità ex art.50 bis n. 5 cpc e
che di conseguenza la competenza a decidere è del tribunale in composizione
monocratica.
Le eccezioni pregiudiziali
sollevate dalle convenute sono infondate alla luce dell’oggetto della domanda
attorea.
In primo luogo non vi è -né vi
deve essere- alcuna necessaria coincidenza fra l’odierna domanda e quella
cautelare a suo tempo proposta l ‘attore aveva invero presentato ricorso per
sequestro giudiziario delle quote, ante
causam -, in quanto il ricorso è stato rigettato per mancata adeguata
allegazione del periculum.
Con riferimento all’eccepita
mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di D.G.G., altra pretesa
parte del contratto di cessione delle quote della G.S.M. Srl, in quanto
titolare dello 0,5% delle quote cedute o di cui era stata promessa la cessione,
si osserva che in questo giudizio l’attore ha instato per l’adempimento
unicamente nei confronti della T. in relazione al suo 49,5% di quote cedute o
promesse ed ha proposto domanda di restituzione nei confronti della GSM Srl,
per cui nessuna rilevanza ha la partecipazione in questo giudizio della D.G.,
soggetto giuridico distinto tanto dalla T. quanto dalla GSM Srl e nei cui
confronti non è stata proposta alcuna domanda.
Va conseguentemente ritenuto
ultroneo ogni riferimento sulla falsità o meno della sottoscrizione della D.G.
in calce al contratto 22/2/07, anche a prescindere dal fatto che appare
giuridicamente impossibile disconoscere la sottoscrizione della firma di un
terzo, estraneo al processo, da parte del difensore di una delle parti del
processo.
Analogamente è inammissibile
qualsiasi richiesta o accertamento (cfr. conclusioni di parte convenuta), che
abbia riferimento alla D.G., rimasta estranea a questo processo.
Ultima questione da affrontare
riguarda la novità o meno delle conclusioni rassegnate dall’attore nella
memoria ex art.183/6 n. 1 cpc, sulle quali parte convenuta ha tempestivamente
dichiarato di non accettare il contradditorio.
Al riguardo ritiene il Giudice
che effettivamente siano nuove e come tali inammissibili, in quanto introducono
nuovi temi di indagini su nuovi fatti costituitivi, la domanda di risarcimento
danni per una somma determinata (50.000,00 Euro) a titolo di inadempimento
contrattuale della T., atteso che in citazione era stata richiesta una condanna
generica e quindi con esclusione di qualsiasi possibile determinazione in
concreto del danno, e la domanda di restituzione dei pretesi finanziamenti, da
parte tanto della T. che della GSM Srl, per indebito oggettivo ex art. 2033
c.c..
Dunque sono state prese in
considerazione solo le conclusioni rassegnate in citazione.
La domanda attrice è in parte
fondata e va accolta nei limiti di cui in motivazione.
Richiamato quanto esposto in
precedenza, appare opportuno prendere le mosse dal documento prodotto
dall’attore come proprio doc. 3.
Si tratta, come risulta
dall’intestazione (‘preliminare di
cessione di quote’), appunto di un contratto preliminare avente ad oggetto,
per quanto qui di interesse, la promessa di cessione dalla T. al T. del 49,5%
del capitale della G.S.M. Srl: per la precisione come ‘promittente venditore’
vi erano T.S. e D.G.G., le quali manifestavano nelle premesse del contratto
l’intenzione di cedere “… una
quota pari al 50% del capitale sociale della società …“;
pertanto, poiché la T. era
titolare del 99% del capitale sociale e la D.G. del restante 1% (cfr. doc. 1 di
parte attrice: visura CCIAA), si deve ritenere, in mancanza di indicazione su
una eventuale differente ripartizione interna fra le promittenti cedenti, che
l’obbligazione assunta si ripartisca per metà e che pertanto la T. si fosse
impegnata a cedere la metà delle proprie quote (ossia il 49,5%), così
altrettanto la D.G. (ossia lo 0,5%).
Orbene nel predetto preliminare
all’art.2 il promittente venditore -si continua per comodità a mantenere la
dicitura di promittente venditore, come risultante nel contratto, con
l’avvertenza peraltro che ogni riferimento deve essere fatto alla sola T. per
la propria quota promessa in vendita- “…
promette di cedere al promissario acquirente, che promette di acquistare le
quote di sua proprietà descritte in premessa, rappresentanti il 50% del
capitale sociale della società, al prezzo di 150.000,00 Euro, corrisposto con
le seguenti modalità: a) quanto a Euro 30.000 (trentamila/00) vengono
corrisposti contestualmente alla stipula del presente preliminare dal
promissario acquirente al promittente venditore e con la firma in calce al
presente atto quest’ultimo ne rilascia ampia e liberatoria quietanza; b) quanto
a Euro 20.000 (ventimila/00) verranno corrisposti entro la data del 28/2/07; c)
quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la data del
31/3/07; d) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la
data del 30/4/07; e) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti
entro la data del 31/5/07; f) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno
corrisposti entro la data del 30/6/07; g) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00)
verranno corrisposti entro la data del 31/7/07; h) quanto a Euro 10.000
(diecimila/00) verranno corrisposti entro la data del 31/8/07; i) quanto a Euro
10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la data del 30/9/07; j) quanto
a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la data del 31/10/07;
k) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la data del
30/11/07; I) quanto a Euro 10.000 (diecimila/00) verranno corrisposti entro la
data del 31/12/07; ….” (cfr. doc. 3).
Ritiene il Giudice che il
predetto contratto abbia natura di contratto preliminare di cessione di quote
di srl e non di contratto definitivo – e quindi non era immediatamente
traslativo della titolarità delle quote -, in quanto, oltre all’inequivoco dato
testuale, assume rilievo anche quanto previsto dai successivi art. 4 (‘Trasferimento quote’), in base al quale
era stato previsto che ” … il
trasferimento della titolarità delle quote oggetto del presente preliminare
avverrà entro il 31/12/07, e comunque dopo l’integrale pagamento di quanto
previsto dall’art. 2. La formalizzazione delle cessioni avverrà dinanzi a
notaio di fiducia del promissario acquirente …“, ed art. 5
(‘Decorrenza degli effetti della cessione’), in base al quale era stato
previsto che “… gli effetti della
cessione decorreranno dal momento dell’effettivo trasferimento delle quote alla
parte acquirente e, pertanto, solo da tale momento saranno a carico della
stessa i relativi effetti attivi e passivi” (cfr. citato doc. 3).
Tanto precisato e così valutato
il contenuto e la portata giuridica del contratto in questione, vi è la
necessità, alla luce delle contestazioni della convenuta T., di verificare
l’attribuibilità a quest’ultima del predetto documento e del relativo contenuto
negoziale.
Prima di tutto si osserva che non
vi è stato alcun formale disconoscimento ex art.2719 cc della conformità
all’originale della copia prodotta del contratto 22/2/07 .
Al
riguardo va ricordato che la contestazione della conformità della copia
all’originale deve essere tempestiva, al pari del disconoscimento ex art. 214
c.c., dovendo infatti avvenire in modo formale e specifico nella prima udienza
o nella prima risposta successiva alla produzione del documento (cfr. Cass.
212/06: “In tema di prova documentale,l’art. 2719 c.c., che esige
l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie
fotografiche non autenticate di scritture, si applica anche alle copie
fotostatiche, ed il suddetto disconoscimento, in mancanza del quale la copia
fotografica o fotostatica ha la stessa efficacia probatoria dell’originale, e’
soggetto alle modalita’ e termini fissati dagli arti. 214 e 215 c.p.c. per il
disconoscimento della propria scrittura e della propria sottoscrizione,
dovendo, pertanto, essere effettuato nella prima udienza o nella prima risposta
successiva alla produzione”): si tratta di orientamento ormai consolidato:
Cass. 1478/99; Cass. 10423/00; Cass. 8878/00; Cass. 11419/04; Cass. 1525/04).
Solo
quando è stata fatta tale formale contestazione è onere della parte, che ha
effettuato la produzione, di depositare in giudizio l’originale del documento
(cfr. Cass. 12299/03).
La
parificazione del disconoscimento della conformità ex art.2719 cc al
disconoscimento della scrittura e della sottoscrizione ex art.214 e ss cpc,
quanto alla procedura ed alle formalità del disconoscimento, non sussiste
comunque quanto agli effetti; infatti la contestazione ai sensi dell’art.2719
cc non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia
all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni
(cfr. Cass. 2419/06: si tratta anche in questo caso di un orientamento ormai .
consolidato: cfr. Cass. 866/00; Cass. 1525/04; Cass. 11269/04; Cass. 9439/10).
Nel caso di specie non vi è stato
alcun formale disconoscimento di conformità all’originale della copia prodotta;
infatti, ricordato che, benché non siano richieste formule sacramentali, è in
ogni caso necessaria una chiara ed inequivoca contestazione della conformità
della copia all’originale, si osserva che non vi è stata alcuna contestazione
in tal senso, atteso che le difese della convenuta T. sulle questioni di forma
e di contenuto del contratto non hanno riguardato specificatamente la
contestazione sulla conformità della copia all’originale; manca quindi una
tempestiva e idonea contestazione ex art. 2719 c.c. (cfr. Cass. 28096/09:
“In tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra
l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in
giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va
assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta
di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della
genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del
ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o
onnicomprensive. (Nella specie la S.C., in applicazione del citato principio,
ha escluso, ai fini del disconoscimento della genuinità della fotocopia di
alcuni assegni, l’efficacia della contestazione della stessa formulata con
l’espressione “nella forma e nella sostanza”, considerando tale
formula di mero stile e, perciò, non idonea a concretare un reale
disconoscimento di conformità delle fotocopie agli originali) “).
Va altresì rilevato che non vi è
stato alcun disconoscimento da parte della convenuta. T. in ordine alla
sottoscrizione in calce al citato documento, che pertanto va attribuito alla
convenuta con conseguente riferibilità alla stessa di tutte le dichiarazioni a
contenuto negoziale ivi contenute.
Le ulteriori deduzioni ed
eccezioni di parte convenuta sono manifestamente infondate e strumentali, alla
luce delle osservazioni che seguono.
Prima di tutto va ricordato,
dovendosi applicare il principio consensualistico anche nel caso di vendita di
quote o di azioni, che “… il
contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a
responsabilità limitata, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili
nel patrimonio di questa, non richiede né “ad substantiam” né
“ad probationem” la forma scritta, la quale non è necessaria per la
validità ed efficacia della cessione tra le parti, bensì soltanto per la sua
opponibilità alla società stessa” (cfr. Cass. 25468/10).
Del resto, è principio
giurisprudenziale ormai consolidato che la cessione di quota, anche di società
con patrimonio immobiliare, non richiede la forma scritta, a norma dell’art.1350
cc, in quanto detta cessione non comporta anche un trasferimento, dal socio
cedente a quello cessionario, dei diritti immobiliari, i quali restano nella
titolarità della società, che invero non è neanche parte del negozio di
cessione; oggetto diretto della cessione di quote o azioni è infatti unicamente
la partecipazione sociale ed il godimento dei diritti sociali, ma non anche la
corrispondente quota parte del patrimonio immobiliare, di cui in ipotesi sia
titolare la società (arg., in materia di vizi della cosa venduta e risoluzione
contrattuale, ma il principio generale, che se ne trae, conferma il superiore
assunto, ex Cass. 5773/96; Cass. 14287/99; Cass. 26690/06: “La cessione delle azioni o delle quote di
una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la
partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del
patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. … “; Cass.
16031/07).
In ogni caso le parti hanno
inteso suggellare il loro accordo con un atto scritto’ e tanto è sufficiente;
non era poi assolutamente necessario l’intervento del notaio, il cui intervento
è infatti richiesto per l’autenticazione delle sottoscrizioni solo in sede di
contratto definitivo di trasferimento di quote.
Alla luce delle superiori
premesse, vanno disattese tutte le eccezioni di parte convenuta sui requisiti
di forma del contratto preliminare.
Inoltre, rilevato che il
documento attoreo sub 3 si compone di quattro pagine numerate -il numero di
ciascuna pagina è in alto a destra- e che la sottoscrizione è stata apposta
dalla T., in qualità di promittente venditore, in calce a quella che risulta
espressamente numerata come quarta pagina, si deve ritenere, in base ad una
valutazione dell’uomo medio, che la convenuta, al momento di apporre la firma
in calce al contratto, abbia avuto la piena contezza del contenuto dell’intero
atto e che abbia apposto la propria firma dopo aver avuto fra le mani il
documento cartaceo nella sua interezza e dopo averlo letto.
Del resto proprio la circostanza
che si trattasse di un atto scritto e che fosse stata apposta la firma in calce
alla quarta pagina, ove erano riportati gli artt. da 5 a 10, deve far
ragionevolmente ritenere, proprio per quel normale grado di attenzione e di
diligenza richiesta nell’apposizione della firma in calce ai documenti, che la
convenuta abbia avuto fra le mani l’intero contratto e che lo abbia esaminato
prima di sottoscriverlo.
Non rileva se, come allegato, la
convenuta non abbia conservato copia del contratto ovvero che non risulti la
firma su ogni foglio; infatti, se la convenuta ha sottoscritto il contratto
all’ultima pagina, deve ragionevolmente ritenersi che la stessa abbia avuto a
disposizione l’intero atto, non essendo immaginabile che qualcuno, dotato di un
normale grado di attenzione e di capacità di intendere e di volere, possa
apporre la firma in calce al quarto foglio di un documento, senza prima aver richiesto
e letto i precedenti tre fogli.
Assolutamente prive di pregio e
generiche sono le doglianze sul rischio che le altre tre pagine possano essere
state modificate.
Da un lato detta doglianza
consente di indurre che effettivamente la convenuta abbia avuto fra le mani
l’intero atto, comprensivo di tutte le sue quattro pagine, e dall’altro la
stessa appare comunque assolutamente generica, sostanziandosi in un ipotetico
rischio di modifiche.
Invero, dovendosi ragionevolmente
presumere che la convenuta abbia letto tutto l’atto prima di firmarlo in calce,
è altresì evidente che costei avrebbe dovuto precisare dove ed in quale parte
vi sarebbe stata tale modifica.
In ordine alla conclusione
dell’accordo non rileva che la convenuta non abbia asseritamente conservato
copia dell’atto, in quanto è proprio la firma in calce che dimostra che il
documento le era stato consegnato e che l’accordo era stato raggiunto.
La prova provata non solo della
conclusione del contratto, ma anche della piena consapevolezza da parte della
T. della conclusione del contratto -e quindi dell’assoluta defatigatorietà
dell’odierna difesa- sta nel fatto che la T., che sul punto ha mantenuto un
indicativo silenzio ex art. 115 c.p.c., non ha contestato né alcunché ha
allegato sull’avvenuto incasso da parte sua di assegni consegnatile dall’attore
e -circostanza assolutamente rilevante-con una cadenza mensile sostanzialmente
corrispondente a quella prevista nel contratto preliminare di cessione, di cui
sopra.
Nel contratto preliminare risultano
indicate le date di pagamento delle rate mensili -dopo la prima di 20.000 Euro
da pagare entro il 28/2/07, le altre da 10.000 dovevano essere pagate entro la
fine di ogni mese fino al 31/12/07- e l’attore ha prodotto (come propri docc.
4) copia di bonifico bancario del 28/2/07 per 40.000,00 Euro in favore di
” … S.T. … causale … acquisto quote soc. GSM Srl …” e copie
(fronte/retro) di assegni bancari per 10.000,00 Euro ciascuno (uno è per
15.000,00 Euro), tutti intestati alla T. che poi li ha tutti firmati per
l’incasso, con indicate le seguenti date di emissione: 2/4/07, 2/4/07, 4/5/07,
30/5/07, 30/7/07, 29/8/07, 8/10/07, 29/10/07 (si tratta dell’assegno per
15.000,00 Euro), 8/11/07 e 4/12/07.
Si tratta di documentazione mai
contestata dalla convenuta T..
A questo punto è intuitivo che la
convenuta T., che è andata in banca per l’incasso degli assegni (cfr. copia dei
titoli fronte e retro) e che quindi si è attivata per acquisire la somma
portata dai titoli, non può pensare di riuscire a far credere che -a sua
insaputa e senza causa- sia stata beneficiata della complessiva somma di
145.000,00 Euro (40 mila + 10 mila x 9 + 15mila) con versamenti rateizzati, per
la maggior parte mediante assegni rilasciati a suo nome dall’odierno attore:
sul punto nessuna giustificazione è stata anche solo genericamente fornita a
confutazione di quanto allegato dall’attore sul fatto che i predetti versamenti
costituissero appunto il pagamento del corrispettivo pattuito.
Al riguardo, oltre al richiamo
dell’art.115, 1 comma, cpc nel testo introdotto dall’art.45, 14 comma, della L.
n. 69 del 2009 ed applicabile ratione
temporis (“Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero,
nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”)
-si tratta di una disposizione che codifica un precedente costante orientamento
giurisprudenziale-, va ricordato che già in precedenza la Cassazione aveva
ribadito la necessità per la parte convenuta di prendere specifica posizione
sui fatti allegati dalla parte attrice a fondamento della domanda, tanto da
giungere a considerare come pacifici fra le parti e non oggetto di prova i
fatti non specificatamente contestati dal convenuto (cfr. Cass. 10031/04; Cass.
6936/04; Cass. 5191/08; Cass. 13079/08; Cass. 5356/09; Cass. 18399/09).
Dunque sarebbe stato onere di
parte convenuta contestare non solo di aver incassato quella determinata somma,
anche a mezzo di assegni a lei intestati e poi girati per l’incasso, ma anche
il collegamento causale, chiaramente allegato in citazione dall’attore, fra la
cessione delle quote e la corresponsione rateale della predetta somma.
Del resto la stessa impostazione
difensiva di parte convenuta, che ha concluso per il rigetto della domanda di
restituzione sul presupposto della mancata giustificazione delle ragioni di
tale domanda, implicitamente ma inequivocabilmente conferma che vi era stata la
dazione di denaro, che -a questo punto, viepiù nel caso in cui fosse ritenuta
fondata l’eccezione di nullità del contratto- non si saprebbe -né parte
convenuta nulla ha dedotto sul punto- a quale titolo la convenuta ritenga di
poterne giustificare ulteriormente il possesso.
L’assoluto difetto di
contestazione da parte della convenuta consente di ritenere processualmente
provati i fatti costitutivi della domanda attrice, peraltro già risultanti per
tabulas alla luce della documentazione prodotta.
In definitiva si deve ritenere
che il versamento rateizzato nei termini su indicati sia appunto il
corrispettivo dovuto per la cessione delle quote in parola e che quindi la
condotta successiva della T., che pacificamente ha incassato dette somme,
costituisca ulteriore prova dell’avvenuta conclusione del predetto contratto voluto
e fatto proprio, quanto agli effetti a sé favorevoli, dalla T. stessa.
La completezza dell’accordo in
tutti i suoi elementi consente anche di ritenere infondate le deduzioni di
parte convenuta sulla qualificazione del contratto preliminare in termini di
mera puntazione.
La condotta processuale della T.
in parte qua verrà valutata ai fini della regolamentazione del regime delle
spese.
Attribuito pertanto il contratto
del 27/2/07 nella sua interezza alla convenuta T. e ritenuto concluso il
relativo contratto ivi cristallizzato, da qualificare come contratto
preliminare, è evidente che, rigettata la domanda principale per l’accertamento
dell’avvenuto trasferimento della titolarità delle quote, debba invece essere
accolta la domanda ex art. 2392 c.c. in tema di esecuzione in forma specifica.
Al riguardo, constatato che è
scaduto il termine previsto per il trasferimento definitivo (31/12/07) e che
l’attore (promissario acquirente) ha versato l’intero prezzo pattuito, va
emessa sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.; quindi deve essere trasferita la
proprietà del 49,5% del capitale sociale della G.S.M. Srl, del valore di
nominali 49.500,00 Euro, da T.S. a T. P.L..
Non è necessario subordinare
l’effetto traslativo al pagamento del prezzo, in quanto, come detto, è pacifico
l’adempimento della relativa obbligazione da parte dell’attore.
Non è infine inopportuno
ricordare che, a seguito della soppressione del libro dei soci (art. 2470,
secondo comma, c.c.), per rendere opponibile, anche alla società, il predetto
trasferimento è necessario procedere all’iscrizione della presente sentenza
presso il Registro delle Imprese di Roma.
Va conseguentemente disposto che
a cura della parte più diligente si provveda all’iscrizione della presente
sentenza presso il Registro delle Imprese di Roma, nella cui circoscrizione si
trova la sede legale della G.S.M. Srl.
Per quanto riguarda, seguendo
l’ordine dei vari capi delle conclusioni attoree, la domanda di condanna della
T. alla restituzione della maggior somma versata per l’acquisto delle quote
sociali, maggior somma indicata in 25.000,00 Euro, valgono le seguenti
osservazioni.
Premesso che il prezzo
complessivo della cessione del 50% delle quote della G.S.M. Srl era stato
determinato pattiziamente in 150.000,00 Euro (30mila alla firma + 20mila entro
il 28/2/07 + dieci rate mensili da 10 mila Euro ciascuna), è evidente che detto
prezzo debba necessariamente essere ripartito proporzionalmente in parte come
corrispettivo per l’acquisto del 49,5% intestato alla T. ed in parte come
corrispettivo per l’acquisto dello 0,5% intestato alla D.G.; quindi, rapportato
il prezzo complessivo di 150.000 Euro a 100, la quota parte del prezzo,
previsto per l’acquisto delle quote di specifica titolarità della T., unico
oggetto del presente giudizio, deve essere pari a 148.500,00 Euro, ossia al 99%
del prezzo: il rapporto, su base 100, fra la D.G. e la T. è dell’1%
Orbene, a fronte del
corrispettivo pattuito in 148.500,00 Euro per l’acquisto dalla T. del 49,5% del
capitale sociale della G.S.M. Srl, l’attore ha dimostrato di aver pagato la
complessiva somma, sempre calcolata in quota parte, di 173.250,00 Euro: anche
in questo caso dell’intera somma versata di 175.000,00 Euro, quale risulta
dalla documentazione in atti (30mila alla firma + 40mila con bonifico + nove
assegni da 10mila Euro ciascuno + un assegno da 15mila Euro), si può prendere
in considerazione -e quindi imputare all’acquisto della quota promessa in
vendita dalla T.- solo la corrispondente quota parte, ossia appunto solo
173.250,00 Euro, pari al corrispondente 99%.
In conclusione, essendo emerso
che l’attore ha versato alla T. per l’acquisto del 49,5% del capitale della
G.S.M. Srl la complessiva somma di 173.250,00 Euro e che viceversa, sempre in
quota parte, il prezzo era stato pattuito in 148.500,00 Euro, è conseguenziale
che l’attore abbia diritto, come richiesto, alla restituzione dell’eccedenza
ossia alla restituzione della complessiva somma di 24.750,00 Euro, pari appunto
al 99% della maggior somma versata per 25.000,00 Euro.
Si tratta di una ipotesi di
indebito oggettivo, in quanto la somma è stata corrisposta e viene trattenuta
senza causa, né tanto meno la convenuta ha fornito una qualche giustificazione
causale del diritto a ricevere e mantenere detta maggiore somma.
In applicazione della disciplina
sull’indebito oggettivo, gli interessi legali sono dovuti dal giorno del
pagamento, nel caso in cui l’accipiens sia in mala fede al momento in cui
percepisce la somma da restituire, ovvero dal giorno della domanda nel caso di buona
fede.
Nel caso di specie, poiché la
buona fede si presume e parte attrice non ha fornito alcuna prova atta a
superare detta presunzione, gli interessi in misura legale sono dovuti dal
19/7/10 (data di notificazione della citazione) fino al saldo effettivo.
Nulla è dovuto per rivalutazione
monetaria, in mancanza di prova del maggior danno.
Per quanto riguarda la richiesta
di condanna della convenuta “… al
risarcimento dei danni, da valutarsi in separata sede, per inadempimento
contrattuale ex art. 1218 c.c. …“, va osservato, a prescindere da
ogni altra considerazione, che anche nell’ipotesi di richiesta di condanna
generica il preteso danneggiato debba sempre provare, in base a conferente
allegazione, l’esistenza di un potenziale pregiudizio e del nesso causale,
essendo rimessa ad altra sede solo la quantificazione del danno.
Nel caso di specie nulla risulta
anche solo allegato dall’attore.
Alla luce della risultanze di
causa, vanno accolte la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda di restituzione
ex art. 2033 c.c., mentre va rigettata la domanda risarcitoria proposta nei
confronti della convenuta T..
Le superiori conclusioni
consentono, con ogni evidenza, di rigettare la domanda risarcitoria ex art. 96
c.p.c. di parte convenuta.
Le spese di lite, liquidate in
dispositivo, seguono la soccombenza.
Dato atto che, a seguito
dell’art. 9, 1 comma, D.L. n. 1 del 2012, sono state abolite le tariffe
professionali degli avvocati, rileva il Giudicante che, in attesa del decreto
del Ministero della Giustizia (art. 9, 2 comma, citato decreto), le previgenti
tariffe professionali degli avvocati possano continuare ad essere utilizzate
come parametro orientativo di riferimento per la liquidazione delle spese di
lite (cfr., in tal senso, nota Presidente Tribunale di Roma del 9/2/12); va
invece in ogni caso esclusa, in base alla normativa attualmente vigente, la
liquidazione del rimborso forfettario, mentre sono dovuti gli importi per CP
(cfr. art. 11 L. n. 576 del 1980) e per IVA.
Passando all’ultimo capo delle conclusioni
attoree, quali risultano riportate in citazione, ossia alla domanda di condanna
della G.S.M. Srl alla restituzione della complessiva somma di 281.000,00 Euro,
versata dall’attore a titolo di rimborso di finanziamento come socio ovvero
come terzo, si rileva che effettivamente nel contratto preliminare era stato
previsto che “… ciascuna parte si obbliga inoltre ad effettuare i
seguenti finanziamenti in favore della società mediante versamento o bonifico
sul conto corrente … intestato alla società, alle sotto indicate scadenze:
Euro 30.000 (trentamila/00) entro il 22/2/07, Euro 20.000 (ventimila/00) entro
il 28/2/07; Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 31/3/07; Euro 10.000
(diecimila/00) entro il 30/4/07; Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 31/5/07;
Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 30/6/07; Euro 10.000 (diecimila/00) entro
il 31/7/07; Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 31/8/07; Euro 10.000
(diecimila/00) entro il 30/9/07; Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 31/10/07;
Euro 10.000 (diecimila/00) entro il 30/11/07 e Euro 10.000 (diecimila/00) entro
il 31/12/07; ….” (cfr. citato doc. 3 di parte attrice).
L’attore ha allegato di aver
corrisposto, oltre ai predetti 150.000,00 Euro, anche ulteriori 131.000,00 Euro
sempre a titolo di finanziamenti ed ha chiesto la restituzione della
complessiva somma di 281.000,00 Euro, come da elenco riepilogativo e
documentazione varia prodotta (cfr. doc. 6).
Tanto premesso, è necessario
aprire una parentesi.
In caso di versamenti o esborsi
personalmente eseguiti dal socio a favore della società, è tradizionalmente
accolta in giurisprudenza e dottrina la distinzione fra capitale di rischio e
capitale di credito e cioè fra versamenti effettuati dai soci in conto di
futuro aumento di capitale e versamenti effettuati in favore della società a
titolo di mutuo (cfr. Cass. 21563/08; Cass. 7692/06; Cass. 9209/01).
Si tratta di una distinzione non
meramente terminologica o di mero inquadramento dogmatico, in quanto vi sono
dei notevoli risvolti pratici; infatti nel primo caso detti versamenti non
danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono
essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento
della stessa e solo nei limiti dell’eventuale residuo attivo risultante dal bilancio
di liquidazione, mentre nel secondo caso detti versamenti trovano la loro causa
in un normale contratto di mutuo e vi è la possibilità per i soci di esigerne
la restituzione anche durante la vita della società.
Il legislatore della riforma nel
disciplinare la materia dei finanziamenti dei soci non ha inteso vietarli, anzi
ha riconosciuto la piena legittimità degli apporti finanziari atipici dei soci,
ma ha inteso tutelare le ragioni dei creditori sociali, al fine di evitare che
possa determinarsi un contrasto fra il socio finanziatore e i creditori sociali
attraverso l’appostazione di fittizie voci creditorie; in base all’art. 2467
c.c. (nel testo successivo alla riforma e da applicare ratione temporis) è
infatti previsto che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore
della società è. postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori
….” (1 comma) e che “… Ai fini del precedente comma s’intendono
finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma
effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in
considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un
eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure una
situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento” (2 comma).
E’ stato efficacemente sostenuto
in dottrina che in tal modo il legislatore della riforma abbia voluto
introdurre un compromesso fra l’interesse della società al procacciamento di
risorse finanziarie con quello dei creditori sociali a non veder lese le loro
aspettative di pagamento; quindi i finanziamenti non vengono parificati tout
court ai conferimenti, ma, attraverso la postergazione, si opera una sorta di
riqualificazione coercitiva dei finanziamenti al fine di non pregiudicare i
creditori sociali, sempre che -ben inteso- ricorra una delle condizioni
previste dal su richiamato secondo comma dell’art. 2467 c.c..
Dunque nulla esclude, rientrando
detto accordo nell’autonomia privata, che tra la società ed i soci possa essere
convenuta l’erogazione di un capitale di credito e che i soci possano pertanto
effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza
interessi, non rileva), con la possibilità di esigerne la restituzione alla
scadenza del termine pattuito ed anche durante la vita della società.
A tal riguardo -a ben vedere- la
stessa ampia e generica formula utilizzata dal legislatore nel secondo comma
del citato art. 2467 c.c. (“…s’intendono finanziamenti dei soci a favore
della società, in qualsiasi forma effettuati, quelli …”) consente di
individuare, accanto al ‘tradizionale’ contratto di mutuo, un’ampia gamma di
possibili contratti creditizi fra la società e i soci (apertura di credito,
anticipazione bancaria, ecc.), oltre che una serie di comportamenti
concludenti, che concretamente denotino una causa ed una funzione economica di
finanziamento in favore della società: p.es. la mancata riscossione di
dividendi già deliberati, l’adempimento di un debito della società verso terzi
senza esercizio della rivalsa, ecc..
Il più volte richiamato art. 2467
c.c. si riferisce, quanto ai finanziamenti dei soci, a quegli apporti (diretti
o indiretti) di denaro dei soci, che comportano l’obbligo di restituzione a
carico della società e che, in quanto tali, si differenziano dai conferimenti
propriamente detti e da quegli altri apporti volontari, destinati a
capitalizzare la società (c.d. versamenti in conto capitale, versamenti a fondo
perduto, ecc.) e non oggetto di alcun diritto di credito in favore dei soci, se
non in sede di liquidazione o di operazioni sul capitale.
Alla luce delle superiori
osservazioni assume quindi estrema rilevanza, oltre all’accertamento della
volontà delle parti al fine di verificare a quale titolo sia stato effettuato
il versamento -si rimane, anche tenuto conto dell’oggetto dell’odierna
controversia, nell’ambito del mutuo-, anche la disciplina codicistica su
richiamata in ordine alla postergazione; infatti le pretese restitutorie dei
soci finanziatori risultano subordinate al preventivo soddisfacimento dei
creditori sociali, nel caso in cui, con riferimento all’epoca dei versamenti,
risultava un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio
netto ovvero la situazione finanziaria della società avrebbe richiesto un
conferimento da parte dei soci.
Dunque la prima questione da
esaminare riguarda appunto la natura del versamento, per verificare se si possa
trattare di un apporto di denaro assistito dall’obbligo di rimborso.
La costante giurisprudenza ha
affermato, quanto ai relativi oneri allegatori e probatori, che resta a carico
di chi agisce per la restituzione l’onere di fornire la prova, in base a
conferente allegazione, del titolo posto a fondamento della domanda e cioè che
quel determinato versamento derivi proprio da un mutuo e non si configuri
invece quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva (cfr.
Cass. 7692/06); quindi chi agisce per la restituzione di somme asseritamente
date a mutuo è tenuto, ex art. 2697, 1 comma, c.c., ad allegare e provare gli
elementi costitutivi della domanda e quindi non solo la materiale consegna del
denaro o di altra cosa fungibile, ma anche il titolo della consegna stessa, da
cui derivi l’obbligo a carico della controparte della richiesta restituzione:
in tale contesto l’esistenza di un contratto di mutuo non può di per sé essere
desunta dalla mera consegna di somme di denaro, che infatti potrebbe essere
avvenuta per svariate ragioni (cfr. Cass. 3642/04).
E’ pertanto compito del giudice,
in base alle norme che disciplinano l’interpretazione della volontà negoziale,
accertare la natura del versamento ed in tal senso possono p.es. essere di
aiuto anche le risultanze del bilancio (cfr. Cass. 21563/08: “… Lo
stabilire poi, in concreto, la natura del versamento, è una questione di
interpretazione che, in difetto di una chiara manifestazione di volontà, ben
può essere ricavata dalla terminologia adottata nel bilancio, poiché questo è
soggetto all’approvazione dei soci e la qualificazione che i versamenti hanno
ricevuto diventano determinanti per stabilire se si controverta, appunto, di
finanziamento o di un conferimento”).
Sempre come discorso di
inquadramento della fattispecie, va poi ribadito, applicati i principi generali
in tema di inadempimento contrattuale, che il preteso creditore deve dare la
prova dell’esistenza del titolo e della scadenza del termine previsto per
l’adempimento e limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, essendo poi onere
del preteso debitore dimostrare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi e
estintivi della pretesa attorea (cfr. Cass. SU 13533/01; Cass. 9439/08; Cass.
15677/09; Cass. 3373/10).
Tornando al caso di specie, va
osservato che l’attore al momento in cui ha effettuato i versamenti previsti
dall’accordo del 22/2/07 non era ancora socio, così come non lo era, nonostante
la scadenza del termine previsto per il rogito, al momento degli altri
versamenti.
In ogni caso, visto il contenuto
dell’odierna sentenza e l’assunzione della qualifica di socio, ben può
ritenersi, come del resto evidenziato in citazione, che l’attore sia da
qualificare come socio finanziatore e quindi soggetto alla su richiamata
disciplina.
Orbene, anche a voler ritenere
che si fosse in presenza di un finanziamento per il quale era stata prevista la
restituzione -come si desume dall’ultimo comma dell’art. 2 in cui appunto si
faceva riferimento alla restituzione dei finanziamenti-, nulla risulta allegato
circa il rispetto dei requisiti che, in base al citato art. 2467 c.c., possano
giustificare la restituzione, stante la ivi prevista postergazione rispetto
agli altri creditori sociali.
Al riguardo ritiene il giudice
che la postergazione legale, imposta dall’art. 2467 c.c., assume rilievo anche
al di fuori delle procedure concorsuali e che la stessa viene ad incidere sul
rapporto negoziale fra la società ed il socio-finanziatore, configurandosi come
condizione sospensiva dell’esigibilità del credito in deroga agli eventuali
accordi negoziali fra la società ed il socio sul termine di restituzione.
Alla luce delle risultanze di
causa, va rigettata la domanda attrice svolta nei confronti della società.
Sussistono giusti motivi, atteso
l’esito complessivo del giudizio, per compensare per intero le spese di lite
fra l’attore e la società convenuta.
PQM
definitivamente pronunciando:
– in esecuzione del contratto
preliminare del 22/2/07 fra (per quanto qui di interesse) l’attore T. P.L. e la
convenuta T.S., avente ad oggetto la cessione di parte (pari al 49,5%)
dell’intera quota di partecipazione della convenuta al capitale sociale della
G.S.M. Srl, e preso atto del pagamento da parte dell’attore del corrispettivo
pattuito, trasferisce dalla convenuta T.S. all’attore T. P.L. la proprietà del
49,5% del capitale sociale della predetta G.S.M. Srl , di cui era titolare la
convenuta, pari a nominali Euro. 49.500,00;
– dispone che, a cura della parte
più diligente, si proceda all’iscrizione della presente sentenza presso il
Registro delle Imprese di Roma, nella cui circoscrizione si trova la sede legale
della predetta società;
– condanna la convenuta T. al
pagamento, in favore dell’attore e a titolo di restituzione di indebito, della
complessiva somma di 24.750,00 Euro, oltre agli interessi legali dal 19/7/10
fino all’effettivo soddisfo;
– rigetta la domanda attrice
quanto al resto nei confronti della convenuta T.;
– rigetta la domanda risarcitoria
della convenuta T. ex art. 96 c.p.c.;
– condanna la convenuta T. al
pagamento delle spese di lite, che liquida in 7.500,00 Euro, di cui 1.000,00
Euro per diritti, 6.000,00 Euro per onorari, 500,00 Euro per spese, oltre Cp ed
Iva come per legge;
– rigetta la domanda svolta
dall’attore nei confronti della convenuta G.S.M. Srl;
– dichiara interamente
compensate le spese di lite fra l’attore e la società convenuta.
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