ISSN 2385-1376
Testo massima
L’incapacità a testimoniare deve essere eccepita dalla parte interessata nell’immediatezza dell’assunzione della prova, non trattandosi di nullità rilevabile d’ufficio, sicché essa non può essere denunciata, per la prima volta, in sede di legittimità. (Rigetta, App. Roma, 01/06/2006)
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10922/2007 proposto da:
C.M.
–ricorrente –
Contro
alfa SRL;
–intimata –
sul ricorso 14258-2007 proposto da:
alfa S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. B.M.
– ricorrente –
contro
C.M., CE.AD.;
– intimati –
sul ricorso 18087/2007 proposto da:
CE.AD. (OMISSIS),
– ricorrente –
Contro
alfa S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. B.M.,
– controricorrente –
e contro
C.M.;
–intimati –
avverso la sentenza n. 2651/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2006, R.G.N. 5637/2003;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi principali e incidentale di alfa srl, assorbito il ricorso incidentale Ce..
svolgimento del processo
Tra la società alfa s.r.l. (di seguito anche IPGM) e C.M. era intercorso, nell’aprile del 1992, un contratto che prevedeva, a fronte di un corrispettivo di lire 151.250.000, la “redazione di un pacchetto software” e la fornitura ed installazione di computer ed altri macchinari “allo scopo di informatizzare i punti vendita della società”.
Sul presupposto che il C. si fosse reso inadempiente a detto contratto (non avendo ultimato la fornitura nel termine negoziale di sei mesi, avendo consegnato solo una parte dei computer ed un solo programma software sui quarantanove previsti), la IPGM s.r.l. lo conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma per sentirlo condannare alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione del contratto ed al risarcimento dei danni patiti.
Il C. contestava la fondatezza delle domande, adducendo l’inadempimento della società per condotta negligente nel fornire le informazioni utili per lo sviluppo dei software e per il mancato pagamento di fatture emesse per il versamento di ulteriori acconti, così da indurre esso convenuto alla sospensione della prestazione, tale che, per il considerevole lasso temporale trascorso, il contratto doveva reputarsi risolto consensualmente. Sicchè, oltre ad instare per il rigetto delle domande attoree, proponeva domanda riconvenzionale volta: a far accertare l’inadempimento della IPGM e la legittimità del proprio rifiuto a dare ulteriore esecuzione al contratto; a far dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento colpevole della IPGM o, in subordine, per mutuo consenso ; per ottenere la condanna della s.r.l. attrice al pagamento del residuo corrispettivo dovuto, pari a L. 43.125.000, oltre al risarcimento dei danni per lite temeraria.
2. – Autorizzata, su istanza della IPGM s.r.l., la chiamata in causa di Ce.Ad. (in quanto anch’esso sottoscrittore “per adesione” del contratto concluso dal C. e dalla IPGM), che si costituiva in giudizio contestando la propria legittimazione passiva, emessa ingiunzione di pagamento nei confronti della IPGM, istruita la causa (con acquisizione di documentazione, espletamento di prova per interrogatorio e testimoniale), l’adito Tribunale, con sentenza del febbraio 2003, dichiarava risolto il contratto per inadempimento del C., che condannava alla restituzione delle somme percepite, previa contestuale restituzione da parte della società attrice del materiale ricevuto, nonchè alla corresponsione degli interessi legali, previa detrazione del canone di locazione del materiale hardware; respingeva le domande della IPGM di rivalutazione della somma versata in esecuzione del contratto, di risarcimento del danno e quella avanzata nei confronti del Ce., chiamato in causa; respingeva, infine, la domanda riconvenzionale del C..
3. – Con sentenza resa pubblica il 1 giugno 2006, la Corte di appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame principale interposto dalla società alfa s.r.l. avverso detta sentenza, condannando C.M. alla restituzione del complessivo importo percepito di Euro 59.662,84 (già pari a L. 115.523.383), con esclusione di un “contestuale” obbligo di restituzione del “materiale ricevuto” e della “previa detrazione del canone di locazione del materiale hardware”, quali domande non proposte in precedenza.
Rigettava l’appello principale della IPGM nei confronti di Ce.Ad., che era ritenuto estraneo al rapporto contrattuale in contestazione. Respingeva anche l’appello incidentale del Ce. sulla liquidazione delle spese, che riteneva congrua. Rigettava, poi, il gravame incidentale del C., osservando che la risoluzione del contratto per il suo inadempimento era dovuta alla particolare rilevanza dell’obbligazione di fornitura di software, il cui mancato assolvimento legittimava il rifiuto di adempiere da parte della IPGM; nè era riscontrabile uno scioglimento del contratto per mutuo consenso, siccome dedotto dallo stesso C.. La Corte territoriale provvedeva, infine, alla compensazione integrale delle spese del grado tra tutte le parti in causa.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in via principale C.M., affidato a quattro motivi ed illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la società alfa s.r.l., che ha proposto ricorso incidentale, affidato a sei motivi, in relazione alla statuizione concernente la posizione di Ce.
A., depositando altresì memoria in prossimità dell’udienza.
Il Ce. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale e, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere disposta, ai sensi dell’art.335 cod. proc. civ., la riunione di tutte le impugnazioni separatamente proposte avverso la medesima sentenza.
– I quattro (articolati) motivi del ricorso principale della società “alfa” s.r.l..
a.1. – Con il PRIMO mezzo è denunciata, in relazione all’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art.1455 cod. civ..
Ci si duole che, nell’indagine sull’importanza dell’inadempimento, la Corte territoriale non abbia tenuto in debito conto il principio del valore economico del corrispettivo pattuito, secondo un criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione inadempiuta ha rispetto ad essa. Nella specie, il contratto prevedeva un corrispettivo di L. 101.250.000 per la vendita dei beni hardware e di L. 50.000.000 per la realizzazione e la fornitura del software, là dove tutto l’hardware era stato consegnato, mentre erano stati realizzati 31 programmi sui 49 previsti contrattualmente, per un valore di circa L. 35.000.000; sicchè, alla controparte era stata fornita una prestazione di valore pari a circa L. 136.000.000, mentre era rimasta inadempiuta una prestazione di valore pari a circa L. 15.000.000. Di qui, l’erronea statuizione assunta dalla Corte territoriale, che avrebbe dovuto invece dichiarare risolto il contratto per inadempimento della IPGM, che non aveva pagato nemmeno “il mero controvalore economico della parte hardware ricevuta ed utilizzata per gestire altri programmi”, mentre esso C. correttamente si era avvalso della facoltà concessagli dall’art.1460 cc. e dall’art. 7 del contratto inter partes.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dichiari la S.C. adita se nell’ indagine finalizzata a stabilire la gravita dell’inadempimento effettuata Giudice di merito debba o meno tenersi conto del valore economico, determinabile mediante criterio di proporzionalità tra le prestazioni, che la parte dell’obbligazione inadempiuta ha rispetto al tutto”; con richiesta di enunciare il seguente principio di diritto: “nelle ipotesi di parziale o inesatto inadempimento della prestazione al fine di stabilire la gravità dell’inadempimento deve effettuarsi una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti con riferimento ai rapporti di proporzionalità e causalità delle rispettive inadempienze, tenendo conto in particolare del valore economico complessivo del corrispettivo pattuito nel contratto, determinabile mediante criterio di proporzionalità tra le prestazioni che la parte dell’obbligazione inadempiuta ha rispetto ad essa”.
a.1.1. – Il motivo – anche a prescindere dalla assoluta genericità del quesito di diritto, in alcun modo calato nella fattispecie concreta oggetto di cognizione – è infondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte è principio risalente e consolidato (tra le tante, Cass., 10 gennaio 1980, n. 220; Cass., 28 giugno 1986, n. 4311; Cass., 9 giugno 2010, n. 13840) quello per cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico- sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.
Peraltro, in una ottica più stringente, si è affermato che la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art.1455 cod. civ., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale (Cass., 28 ottobre 2011, n. 22521).
Trattasi, in ogni caso, di giudizio che involge l’apprezzamento di elementi di fatto e che compete istituzionalmente al giudice di merito, sicchè esso è insindacabile in sede di legittimità, ove sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o errori di diritto.
A tal riguardo, il giudice di appello ha respinto l’appello incidentale del C. sulla risoluzione del contratto per suo inadempimento, statuita dal Tribunale, osservando, in primo luogo, che la minore importanza economica della prestazione di fornitura di programmi informatici (risultando per essa stabilito un corrispettivo di L. 50.000.000), rispetto a quella di fornitura di hardware (per un corrispettivo di L. 101.250.000), non significava che la prima fosse secondaria e “non ugualmente essenziale”, posto che la IPGM non aveva interesse ad acquisire le apparecchiature elettroniche senza l’articolato “pacchetto software” che avrebbe dovuto “consentire e semplificare delle rilevanti attività riguardanti la gestione aziendale (quali l’accesso ai listini, la stampa di fatture, l’applicazione di sconti, ecc.)”. Sicchè, in forza delle prove orali raccolte, era risultato che, nel mese di maggio 1995, il C. non aveva ancora fornito un pacchetto software “completo ed operativo tale da consentire tutte le operazioni gestionali indicate nella lettera di conferimento dell’incarico”; mentre, da un lato, era rimasta, invece, sfornita di prova la circostanza, allegata genericamente, sulla mancata collaborazione della IPGM nello sviluppo dello stesso software; dall’altro, il mancato pagamento di ulteriori acconti da parte della IPGM, a fronte di un versamento complessivo di quasi settanta milioni, era da ascriversi al legittimo rifiuto di adempiere la propria prestazione in una situazione di “persistente incompletezza della prestazione software”.
Appare, dunque, evidente che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi rammentati, operando la valutazione comparativa tra le reciproche condotte dei contraenti anche in considerazione del valore della prestazione contrattuale complessiva e di quella adempiuta, ma ritenendo, in base ad un suo apprezzamento, insindacabile in quanto logicamente supportato e non affetto da errori giuridici, che la prestazione di fornitura dei software inadempiuta dal C. fosse sostanzialmente prevalente, giacchè incidente anche sull’interesse della IPGM ad avere ed utilizzare l’hardware, altrimenti non consentaneo allo scopo.
a. 2.) – Con il SECONDO mezzo è dedotta, ai sensi all’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt.1458 e 1493 cod. civ..
Ci si duole del fatto che la Corte territoriale abbia escluso, a seguito della risoluzione contrattuale, il diritto di esso attuale ricorrente “a trattenere il controvalore delle merci consegnate, ovvero in subordine la restituzione delle merci vendute oltre al pagamento di una somma quale indennizzo per il prolungato utilizzo effettuato dalla IPGM”. Ciò in quanto il giudice del merito avrebbe mal qualificato il contratto intercorso tra le parti, il quale era da ritenersi “quale contratto ad esecuzione continuata o periodica”, in quanto da esso “sono sorte obbligazioni di durata per entrambe le parti, nel senso che l’intera esecuzione del contratto doveva avvenire attraverso una serie di prestazioni, da realizzarsi contestualmente nel tempo”.
Sicchè, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art.1458 cod. civ., che esclude, nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, l’effetto retroattivo della declaratoria di risoluzione, non estendendosi alle prestazioni già eseguite; peraltro, detta norma sarebbe da reputarsi applicabile anche ai contratti “ad esecuzione istantanea quando l’oggetto di essa sia rappresentato non da una sola prestazione caratterizzata da una sua univocità e non frazionabile, ma da più prestazioni aventi una propria autonomia economico-funzionale”.
In ogni caso, il ricorrente sostiene che avrebbe errato il giudice del merito nel ritenere la necessità di una domanda restitutoria, atteso che essa sarebbe implicita in quella di risoluzione del contratto.
All’esito del motivo si formula il seguente quesito di diritto:
“qualora – come nel caso di specie – il programma contrattuale preveda che l’intera esecuzione del contratto debba avvenire attraverso una serie di prestazioni da realizzarsi nel tempo, il contratto intercorso può essere o meno qualificabile come contratto ad esecuzione continuata o periodica, con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art.1458 cod. civ., comma 1”; con richiesta di enunciare il seguente principio di diritto: “trattandosi di contratto ad esecuzione differita o periodica, ai sensi dell’art.1458 c.c., la dichiarazione di risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, conseguentemente le singole consegne mantengono la loro intrinseca efficacia ed i singoli pagamenti relativi alle varie tranches di consegna delle merci non possono essere pregiudicati dalla successiva declaratoria di risoluzione del contratto medesimo”.
In via gradata, nel caso venga il contratto ritenuto ad esecuzione immediata, si formula il seguente quesito di diritto: “nell’ipotesi di risoluzione del contratto sussiste comunque un obbligo ex lege di restituzione, direttamente discendente dall’art. 1493 c.c., anche nelle ipotesi in cui non venga avanzata dalla parte espressa domanda restitutoria”; con richiesta di enunciare il seguente principio di diritto: “la risoluzione del contratto per inadempimento comporta automaticamente la restituzione di ciò che si è percepito, senza necessità di alcuna domanda ulteriore, la quale non sarebbe altro che una duplicazione della domanda di risoluzione”.
a.2.1.) – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.
E’, anzitutto, inammissibile là dove propone una diversa qualificazione del contratto intercorso tra le parti, contrapponendosi meramente a quella cui è pervenuto il giudice del merito, senza censurare la violazione dei criteri ermeneutici di cui all’art.1362 cod. civ., e segg., o l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di specificità della prospettazione, in assenza della puntuale indicazione del contenuto delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire a questa Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (tra le tante, Cass., 28 luglio 2005, n. 15798; Cass., 4 giugno 2010, n. 13587). E ciò senza considerare che, anche in forza della (pur insufficiente) ricostruzione del programma contrattuale fornita dal ricorrente, è da escludere, nella specie, la sussistenza della predicata qualificazione del contratto inter partes come ad esecuzione continuata o periodica, posto che, proprio agli effetti della dell’applicabilità della regola contenuta nell’art.1458 cod. civ., per tali vanno considerati soltanto i contratti che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti, e cioè quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avvenga attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo (Cass., 19 marzo 1980, n. 1824).
Alla luce di quanto innanzi evidenziato, è inammissibile, poi, anche la doglianza prospettata sub art.1493 cod. civ., che presuppone una qualificazione del contratto inter partes in termini di vendita tout court la quale (a tacer d’altro) non risulta dalla sentenza impugnata, in cui si mette in risalto la “natura complessa dell’atipico accordo negoziale” in questione.
E’ infondato là dove censura la sentenza impugnata per aver questa ritenuto comunque necessaria la proposizione di domanda restitutoria in caso di declaratoria di risoluzione del contratto; domanda che il C. neppure contesta di aver mai proposto. La decisione della Corte territoriale è difatti rispondente al seguente principio di diritto: “la declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art.1458 cod. civ., l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata. Rientra, infatti, nell’autonomia delle parti disporre delle conseguenze della risoluzione e, pertanto, chiedere, o no, la restituzione della prestazione eseguita in base al contratto risolto e rimasta senza causa” (Cass., 3 febbraio 2006, n. 2439).
a.3.) – Con il TERZO mezzo è denunciata, ai sensi all’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt.1362, 1370 e 1372 cod. civ..
Il ricorrente evidenzia che, in base all’art. 7 del contratto, si stabiliva che “nell’ipotesi di risoluzione del contratto, all’ing. C. sarebbe comunque spettato un compenso proporzionale alla parte di incarico effettivamente eseguita”; ciò indicava l’unico modus operandi della risoluzione, del quale non avrebbe tenuto conto la Corte territoriale, con violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.
A conclusione del motivo si chiede, ai sensi dell’art.366-bis cod. proc. civ., che questa Corte si pronunci sul divieto del giudice del merito “di ricorrere ad altri criteri di interpretazione qualora la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate nel contratto”, con conseguente richiesta di enunciare il seguente principio di diritto: “qualora le parti, utilizzando il potere di autonomia negoziale loro conferito dall’Ordinamento, regolino in modo certo od immediato le conseguenze di un eventuale inadempimento, al giudice di merito è precluso il ricorso ad altri criteri di interpretazione, qualora la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate nel contratto”.
a.3.1.) – Il motivo è inammissibile.
Esso, unitamente al quesito che lo assiste, si pone, infatti, al di fuori del thema decidendum dibattuto in precedenza e reso palese dalla sentenza, non rendendosi neppure intelligibile dove e quando il ricorrente abbia avanzato in precedenza una censura fondata sulla norma contrattuale evocata (peraltro, in modo del tutto generico e fuori del contesto dell’intero programma contrattuale, del quale non da contezza) ovvero una domanda (di compenso) su di essa fondata.
Nè, infine, è dato comprendere quale sia la statuizione resa dalla Corte territoriale che viene effettivamente censurata.
In definitiva, il motivo cozza con il principio, che costituisce “diritto vivente”, secondo il quale nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che (ma ciò non riguarda il tema veicolato con il motivo in esame) si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (tra le tante, Cass., 26 marzo 2012, n. 4787).
a.4) – Con il QUARTO articolato mezzo di deduce, in relazione all’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n.3, la violazione e falsa applicazione dell’art.246 cod. proc. civ.; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio.
a.4.1.) – Un primo profilo di censura riguarda la valenza probatoria delle dichiarazioni rese da Ce.Ad., del quale si contesta la chiamata in causa da parte della IPGM s.r.l. in quanto strumentale a privare esso C. “di un testimone importantissimo”, dolendosi lo stesso ricorrente che non sia stata tenuta in considerazione la posizione dal medesimo assunta a rafforzamento delle tesi difensive di esso stesso C..
Sicchè, la Corte territoriale, una volta accertata l’estraneità del Ce. al rapporto contrattuale, escludendone la legittimazione passiva, “avrebbe dovuto rimettere la causa sul ruolo istruttorie al fine di permettere al Ce. di deporre”. In ogni caso, avendo l’estromesso perso la qualità di parte, il giudice di secondo grado “avrebbe dovuto tenere conto di tutte le dichiarazioni rese dall’estromesso”, che erano favorevoli alle difese di esso C..
Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. si chiede a questa Corte di “voler dichiarare quale sia il valore probatorio attribuibile alle dichiarazioni formulate in corso di causa dal sig. Ce. – estromesso dal giudizio in forza della sentenza di primo grado, confermata sul punto anche dalla sentenza impugnata – e – nell’ipotesi in cui a dette dichiarazioni fosse attribuibile valore probatorio ai sensi dell’art.244 c.p.c., si domanda che voglia affermare il relativo principio di diritto … e segnatamente: a seguito dell’estromissione dal giudizio l’estromesso perde la qualità di parte processuale, pertanto le dichiarazioni rese precedentemente all’estromissione assumono valore probatorio in quanto rilevanti anche nel prosieguo del giudizio”.
a.4.1.1.) – La doglianza è inammissibile.
In disparte l’eccentricità della prospettazione rispetto alla configurazione del sistema processuale, là dove sembra evocare la possibilità della parte del giudizio di rendere testimonianza (sul punto, si veda Corte cost., ord. n.143 del 2009, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità e la manifesta infondatezza, in riferimento agli artt.3, 24, 111 Cost. e art.117 Cost., comma 1, della questione di legittimità costituzionale dell’art.246 cod. proc. civ., nella parte in cui non consente di assumere come testimoni persone che sarebbero legittimate a partecipare al processo), essa muove, comunque, da un presupposto di fatto che non trova alcun aggancio nella sentenza impugnata e cioè che il Ce., già dal primo grado, sia stato estromesso dal giudizio. Il Ce. – chiamato in causa perchè la IPGM lo riteneva parte inadempiente del contratto de quo al pari del C. – non è mai stato destinatario di una pronuncia di estromissione ai sensi degli artt.108 e 109 cod. proc. civ., essendo stata invece rigettata la domanda della IPGM nei suoi confronti.
Sicchè, la sua posizione è stata nuovamente oggetto del gravame principale della IPGM e lo stesso Ce. ha proposto appello incidentale sulle spese. Peraltro, anche in questa sede la posizione del Ce. è stata nuovamente rimessa in discussione con ricorso incidentale della IPGM e lo stesso Ce. ha proposto ricorso incidentale sulle spese. Il Ce. ha, dunque, continuato ad esser parte del presente giudizio dal momento della sua chiamata in causa.
a.4.2) – L’ulteriore profilo di censura attiene alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dai dipendenti delle IPGM. Contesta il ricorrente il rilievo dato, ai fini della decisione, alle deposizioni rese dai testi, dipendenti della IPGM s.r.l., A. e B., dai contenuti inverosimili e contraddittori, tale da indurre esso C. ad elevarli a sospetto, sussistendo la loro incapacità a deporre ai sensi dell’art.246 cod. proc. civ., per aver gli stessi interesse personale che avrebbe potuto legittimare la partecipazione al giudizio. In tale contesto non troverebbe, per l’appunto, giustificazione il fatto che la Corte territoriale abbia dato rilevanza a dette deposizioni, trascurando le attendibili prove documentali, come le fatture emesse dopo la consegna del materiale, “che attestano ex se la sussistenza di un grave inadempimento” della IPGM e la giustificazione, ai sensi dell’art.1460 cod. civ., della condotta di esso ricorrente.
Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. si chiede a questa Corte “se nelle ipotesi in cui un datore di lavoro privato richieda la deposizione testimoniale di soggetti che svolgano mansioni lavorative alle proprie dipendenze i lavoratori dipendenti possano o meno ritenersi incapaci a deporre ai sensi e per gli effetti dell’art. 246 c.p.c. nella ipotesi in cui sussiste un interesse personale dei medesimi a sostenere le ragioni del proprio datore di lavoro, per l’effetto enunciando il seguente principio di diritto … : la sussistenza di un interesse personale che renda inammissibile la deposizione deve essere accertata dal giudice del merito in relazione alla situazione giuridica oggetto della causa, quale risulta dal contenuto delle domande e delle eccezioni, tenendo conto di tutte le circostanze concrete esistenti nel caso di specie, pertanto nelle ipotesi in cui emerga dai fatti di causa che – come nel caso di specie – i lavoratori dipendenti che hanno reso la propria testimonianza potrebbero essere chiamati a rispondere in sede risarcitoria, nei confronti della società, in caso di condanna di quest’ultima sussiste indubbiamente ai sensi dell’art.246 cpc. un’incapacità a deporre di detti testi, in quanto portatori di un interesse personale che avrebbe potuto legittimare la loro partecipazione in giudizio”.
a.4.2.1.) La doglianza è inammissibile.
E’ sufficiente evidenziare che nulla si deduce quanto ad una precedente contestazione sull’incapacità dei testi ai sensi dell’art.246 cod. proc. civ., la quale avrebbe dovuto esser stata sollevata, dalla parte interessata, nell’immediatezza dell’assunzione della prova.
Tale decisiva carenza assume, nella specie, ancor più significatività, perchè (posto che l’interesse che da luogo ad incapacità a testimoniare a norma dell’art.246 cod. proc. civ. è quello giuridico, personale, concreto, comportante la legittimazione a proporre l’azione ovvero ad intervenire in un giudizio) la condizione di dipendente di una delle parti in causa non produce per ciò solo l’incapacità a testimoniare del soggetto, nè egli è da considerare in ogni caso, per tale sua condizione, scarsamente attendibile (Cass., 6 agosto 2004, n.15197).
Sicchè, trova applicazione al riguardo il risalente e più volte ribadito orientamento secondo cui i vizi attinenti l’ammissione e l’assunzione della prova testimoniale in primo grado, che non siano stati fatti valere in grado d’appello, non possono essere denunciati per la prima volta in sede di legittimità, in quanto non riguardano nullità rilevabili d’ufficio (Cass., 5 febbraio 1983, n. 959).
Dovendosi, altresì, precisare che “l’eventuale nullità derivante dalla incapacità di un teste rimane sanata qualora la relativa eccezione non venga ritualmente e tempestivamente proposta immediatamente dopo che la prova è stata assunta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, ex art.189 cod. proc. civ., risultando pertanto tardivo il rilievo effettuato solo con la comparsa conclusionale. Ne consegue che, qualora la parte in sede di ricorso per cassazione deduca l’omessa pronuncia del giudice d’appello su detta eccezione, adducendo di averla formulata nella conclusionale di primo grado e poi proposta come motivo d’appello, la Corte di Cassazione può rilevare d’ufficio che l’eventuale nullità derivante dall’incapacità del teste è rimasta sanata per l’irritualità della relativa eccezione di modo che resta irrilevante l’omissione di pronuncia” (Cass., 29 marzo 2005, n. 6555).
B). – I sei motivi del ricorso incidentale della “alfa” s.r.l.
b.1.) – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1362 cod. civ..
Il motivo è assistito da quesito ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ..
Ci si duole che la Corte territoriale, nell’escludere in capo al Ce. la qualità di parte sostanziale del contratto stipulato nell’aprile del 1992 tra IPGM s.r.l. ed il C. e sottoscritto “per accettazione” dallo stesso Ce., abbia negato “valenza decisiva” a detta “sottoscrizione per accettazione”, così da violare la regola ermeneutica secondo cui deve darsi carattere prioritario al senso letterale delle parole usate rispetto ad elementi estrinseci al negozio, con la conseguenza che non può escludersi la veste di parte a chi l’abbia sottoscritto.
b.2.) – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1362 cod. civ. sotto diverso profilo. Il motivo è assistito da quesito ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ..
La Corte territoriale avrebbe, infatti, errato nel trarre dal complessivo comportamento delle parti, anteriore e posteriore alla conclusione del contratto, il convincimento sulla conclusione o meno dello stesso, a fronte della sottoscrizione “per accettazione” dell’accordo da parte del Ce..
b.2.1.) – I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Essi, difatti, non colgono la ratio decidendi, della sentenza impugnata, la quale non ha escluso che il Ce. abbia sottoscritto il contratto, ma, sulla scorta di motivazione adeguata, ha escluso che esso rivestisse il ruolo di parte del rapporto tra IPGM e C. in relazione ad un determinato programma negoziale.
Peraltro, in sede di censura interpretativa il ricorrente incidentale, contravvenendo al principio di specificità della prospettazione (cfr. le già citate Cass. n. 15798 del 2005 e Cass. n. 13587 del 2010), manca del tutto di far puntuale riferimento al contenuto del contratto e di riportarne il relativo testo, così da impedire a questa Corte di valutare appieno le doglianze mosse alla sentenza.
b.3.) – Con il terzo mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, un vizio di motivazione della sentenza.
Sarebbe illogica e contraddittoria la motivazione della decisione impugnata là dove trae elementi di convincimento dalla mancanza di fatture emesse dal Ce. in relazione all’attività di ideazione e installazione del software, non tenendo conto che tali prestazioni non erano state ancora eseguite.
b.3.1.) – Il motivo, in quanto non assistito dal c.d. quesito di fatto, è inammissibile.
Nella presente fattispecie – in cui la sentenza impugnata è stata pubblicata il 1 giugno 2006 e, dunque, nella vigenza della disciplina dettata dall’art. 366-bis cod. proc. civ., che spiega i suoi effetti ratione temporis trova infatti applicazione il seguente principio di diritto (di recente ribadito da Cass., 18 novembre 2011, n. 24255):
“è inammissibile, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il ed. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito”.
b.4.) – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1326 cod. civ. (con formulazione di relativo quesito di diritto) e, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, un vizio di motivazione della sentenza.
Sarebbe stato violato l’art. 1326 cod. civ., giacchè, a fronte di una sottoscrizione per accettazione del contratto giunta al proponente, non sarebbe possibile escludere che esso non sia stata concluso; nè la sentenza motiva adeguatamente sulle ragioni che renderebbero possibile disattendere detto principio.
b.4.1.) – Anche a prescindere che la censura di vizio di motivazione non è assistita dal c.d. quesito di fatto, il motivo, nel suo complesso, non può trovare accoglimento. La Corte territoriale, nel rigettare il gravame della IPGM s.r.l. sulla posizione del Ce., chiamato in causa, riteneva quest’ultimo estraneo al rapporto contrattuale insorto tra detta società ed il C., là dove la sottoscrizione “per adesione” dell’accordo dell’aprile del 1992 anche da parte del medesimo Ce. era da ricollegarsi esclusivamente alle “problematiche connesse all’utilizzazione del software”, giacchè costui, in quanto collaboratore del C., poteva essere considerato come uno degli “autori” dei programmi informatici.
Trattasi di motivazione esauriente e priva di vizi logici e giuridici, la quale fonda una pronuncia di cui la censura non coglie affatto la ratio decidendi, giacchè la Corte territoriale non ha negato che il Ce. abbia concluso, con la sua sottoscrizione “per accettazione”, il contratto già stipulato tra IPGM ed il C., ma – sulla scorta di una interpretazione del programma contrattuale, nel corretto esercizio dei poteri spettanti al giudice del merito – ha escluso che il Ce. fosse parte sostanziale delle obbligazioni permeanti il rapporto tra la società e il C..
b.5.) – Con il quinto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. e, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, un vizio di motivazione della sentenza. Il motivo è assistito da quesito ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ..
La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare e di motivare sul fatto, emergente dalle prove raccolte, che il Ce. non si era limitato a sottoscrivere il contratto, ma aveva avuto anche un ruolo attivo nel rapporto, tra l’altro ritirando parte degli acconti versati dalla IPGM e consegnando di persona alcuni computer.
b.5.1.) – Il motivo è inammissibile.
L’art. 112 cod. proc. civ. è malamente evocato, in quanto non viene individuata la domanda o l’eccezione la cui pronuncia sarebbe stata omessa dal giudice di appello.
Gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. sono stati evocati erroneamente sotto il profilo della violazione di legge, giacchè trattasi di norme attinenti alla materia della valutazione delle prove, per cui la relativa lesione è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (Cass., 12 febbraio 2004, n. 2707;
Cass., 20 giugno 2006, n. 14267).
Infine, anche là dove il mezzo deduce un vizio di motivazione della sentenza impugnata (e, invero, la complessiva denuncia si risolve, nella sostanza, proprio nell’evocare siffatto tipo di vizio), esso è inammissibile, giacchè, per un verso, è prospettato senza alcuna indicazione degli elementi specifici di prova che sarebbero stati mal valutati o addirittura non valutati dal giudice di secondo grado;
mentre, per altro verso, non aggredisce direttamente la valutazione del materiale probatorio fornita dalla Corte territoriale, in guisa da far risultare illogicità od aporie intrinseche al ragionamento che sorregge la motivazione, bensì propone una diversa ed alternativa, nonchè più favorevole, lettura delle emergenze processuali, surrogandosi cosi nei poteri propri ed esclusivi del giudice del merito.
b.6.) – Con il sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.. Il motivo è assistito da quesito ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. Una volta accertato, in forza dello scrutinio positivo dei motivi precedenti, che il Ce., diversamente da quanto opinato dai giudici di merito, riveste la qualità di parte sostanziale del contratto dell’aprile 1992, la sentenza impugnata andrebbe cassata ed il giudice di rinvio sarebbe tenuto a condannare lo stesso Ce. al pagamento delle spese di lite relative ai precedenti gradi di giudizio.
b.6.1.) – Il mezzo muove dal presupposto della fondatezza dei motivi che lo precedono, per cui esso cade unitamente al mancato accoglimento dei motivi medesimi e con ciò rimane assorbito nel rigetto di essi.
C.) – L’unico motivo di ricorso incidentale di Ce.Ad..
c.1.) – Con un unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento alla statuizione di cui al punto 6) del dispositivo della sentenza. Il motivo è assistito da quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ..
La Corte territoriale, nel disattendere l’appello principale della IPGM s.r.l. in relazione alla questione di legittimazione di esso Ce., aveva condannato la medesima società al pagamento delle spese di lite, come liquidate in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza. Tuttavia, nel dispositivo della sentenza è stata disposta l’integrale compensazione delle spese del grado “tra tutte le parti”, con ciò determinandosi la nullità in parte qua della decisione per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo. Nè sarebbe possibile – ad avviso del ricorrente incidentale – giustificare la compensazione in ragione del rigetto dell’appello incidentale di esso Ce., posto che esso era stato dichiarato espressamente “fondato” a pag. 9 della sentenza.
c.1.1.) – Il motivo è infondato.
L’aporia che effettivamente emerge dalla sentenza impugnata – siccome evidenziata dal motivo sopra illustrato – si risolve pianamente nella prevalenza che assume la statuizione di compensazione integrale delle spese di lite alla luce della motivazione che la giustifica in forza della soccombenza reciproca, la quale riguarda esclusivamente la IPGM ed il Ce.. Nè può darsi rilievo al fatto che, alla pagina 9 della sentenza si affermi che il gravame incidentale di quest’ultimo sia “fondato”, giacchè appare di tutta evidenzia il mero lapsus calami a fronte delle due pagine di motivazione che seguono, tutte incentrate a dare contezza delle ragioni della infondatezza dell’impugnazione (sulla misura delle spese liquidate dal primo giudice) e che, a pag. 11, cosi chiosano: “Ne consegue che l’appello incidentale proposto dal Ce. va disatteso”.
D. – Tutti i ricorsi vanno, dunque, rigettati.
C.M., soccombente nei confronti della “alfa” s.r.l., deve essere condannato al pagamento delle spese del grado, liquidate come in dispositivo, in favore della medesima società.
In ragione della reciproca soccombenza, vanno integralmente compensate le spese del grado tra la alfa s.r.l.
ed Ce.Ad..
PQM
LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta tutti;
condanna C.M. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della ALFA s.r.l., che liquida in complessivi Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
compensa integralmente le spese del grado tra la “ALFA” s.r.l. ed Ce.Ad..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 11 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2013
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