ISSN 2385-1376
Testo massima
Nell’ipotesi di mancata comparizione in udienza di testimoni ritualmente citati dalla parte interessata, qualora il giudice non abbia esercitato il potere di ordinare una nuova intimazione o di disporne l’accompagnamento coattivo, ai sensi dell’art. 255 cod. proc. civ., l’onere di citare i testimoni all’udienza cui il giudice abbia rinviato per l’assunzione della prova grava sulla parte interessata, a pena di decadenza , ai sensi dell’art. 104 disp. att. cod. proc. civ., non potendo giovarsi la parte del mancato esercizio di poteri discrezionali attribuiti al giudice, stante la diversa “ratio” alla base, da un lato, dell’art. 104 (nonché degli artt. 208 e 250 cod. proc. civ.), fondata sul principio dispositivo del processo e sul rilievo del contraddittorio con la controparte, e, dall’altro, dell’art. 255 cod. proc. civ., fondata sul dovere di testimonianza e sugli strumenti attribuiti al giudice per assicurare lo svolgimento del processo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9573-2007 proposto da:
C.C.,
– ricorrente –
contro
A.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 579/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/02/2006 R.G.N. 7403/2002;
Svolgimento del processo
1. A.P. convenne in giudizio C.C. dinanzi ai Tribunale di Roma (nel 1997), per sentirlo condannare, previo accertamento, al pagamento del credito fondato su un rapporto di mutuo risultante da una scrittura privata, ed erogato parte in contanti e parte in assegni, e su ulteriori erogazioni portate da cambiali.
Il convenuto, oltre ad eccepire l’incompetenza territoriale, ammise il prestito per un minor importo ed eccepì la parziale compensazione con la consegna di generi alimentari, ortaggi e vini; della prova testimoniale ammessa rispetto a tale eccezione, il convenuto venne dichiarato decaduto.
Il Tribunale, ritenuta la propria competenza territoriale e incontroverso il finanziamento, respinse l’eccezione di compensazione e accolse parzialmente la domanda (oltre L. 58 milioni), escludendo i titoli elencati e non prodotti, gli assegni e gli effetti cambiari ritenuti estranei al rapporto di mutuo, nonchè l’assegno di L. 6.300.00, avendo ritenuto mancante la prova di essere stato destinato al pagamento di un debito del C..
La Corte di appello di Roma respinse l’impugnazione proposta da C., anche in riferimento alla incompetenza territoriale (sentenza del 2 febbraio 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza, C. propone ricorso per cassazione con tre motivi.
A., ritualmente intimato, non svolge difese.
Motivi della decisione
1. Con il PRIMO motivo di ricorso – deducendo la violazione degli artt.18 e 20 cod. proc. civ. e dell’art. 1182, commi 3 e 4 – si censura la statuizione della sentenza che, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto la competenza territoriale del Tribunale di Roma, quale domicilio facoltativo del creditore.
Secondo il ricorrente, sarebbe applicabile il quarto comma dell’art. 1182, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta nel luogo del domicilio del debitore al tempo della scadenza, trattandosi di crediti il cui ammontare deve essere accertato e liquidato mediante indagini diverse dal semplice calcolo aritmetico.
1.1. Il motivo non ha pregio e va rigettato.
E’ sufficiente richiamare il principio, impropriamente invocato dal ricorrente (Cass. 18 gennaio 1997, n. 486), secondo cui Tra i crediti liquidi ed esigibili, il cui pagamento deve essere eseguito a norma dell’art.1182 cod. civ., comma 3 al domicilio de creditore al tempo della scadenza (con la conseguente configurabilità del “forum solutionis” ai termini dell’art.20 cod. proc. civ.) rientrano anche quelli di ammontare determinabile in base ad elementi certi e prestabiliti risultanti dal titolo convenzionale o giudiziale, ma non i crediti il cui ammontare deve essere accertato e liquidato mediante indagini diverse dal semplice calcolo aritmetico; in tale ultimo caso trova applicazione l’art.1182 cod. civ., comma 4 secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha a tempo della scadenza (cfr. Cass. 18 dicembre 2009, n.26790).
Nella specie, infatti, secondo quanto affermato anche dalla Corte di merito, le pretese creditorie sono identificate e precise nell’ammontare, come risultanti dalla scrittura privata e dai titoli di credito. D’altra parte, la stessa consulenza tecnica è stata ritenuta (si veda nel prosieguo) non necessaria proprio in presenza delle prove documentali contenenti importi.
2. Con il SECONDO motivo si deduce la violazione degli artt. 345, 112, cod. proc. civ., anche in riferimento agliartt. 1241-1243 cod. civ., oltre la omessa motivazione.
Si censura la parte della sentenza che ha esaminato il secondo e terzo motivo di appello.
2.1. La Corte di merito ha ritenuto inammissibili le censure in quella sede avanzate, fondandole sulle seguenti argomentazioni.
Quanto all’assegno di L. 6.300.00, ha rilevato che il Tribunale lo aveva già escluso dall’ammontare del credito dell’ A. accertato, per la mancata prova di essere stato destinato al pagamento di un debito del C..
Per il resto, secondo la Corte, le censure erano apodittiche e senza riscontri, atteso che la ricostruzione prospettata dei rapporti dare/avere era stata fatta indipendentemente dalle prove documentali prodotte dall’attore (alcune delle quali già ritenute inidonee dal Tribunale) e sulla base di mere allegazioni di pagamento di titoli cambiari senza il possesso dei titoli quietanzata. Conseguentemente, il giudice del merito ha ritenuto inammissibile la richiesta di consulenza tecnica, in quanto esplorativa e volta alla ricerca di una prova logica contraria a quella documentale.
2.2. Nella parte esplicativa del secondo motivo di ricorso sono enucleabili tre profili di censura rispetto alle suddette argomentazioni della Corte di merito.
2.2.1. Sotto un primo profilo, oltre ad una deduzione di insufficiente e contraddittoria motivazione, si deduce sostanzialmente omessa motivazione (art.360 c.p.c., n. 5) nel senso dell’omesso esame di documenti che sarebbero stati prodotti dal C. in copia (come deve desumersi dalla circostanza che si lamenta del mancato ordine di produzione degli originali), relativi sia ad avvenuti pagamenti che a crediti del C. eccepiti in compensazione; alcuni dei quali si producono con il ricorso per cassazione in originale.
Per tale profilo il motivo è inammissibile.
Inammissibile è la produzione, con il ricorso per cassazione, di documenti, qualificati come originali, attinenti ai rapporti di debito/credito tra le parti. Essi non rientrano nelle ipotesi, tassativamente previste dall’art.372 cod. proc. civ., di documenti che riguardino la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso. Di conseguenza, tali documenti non possono essere esaminati dalla Corte.
Nè la Corte è messa in grado di esaminare la censura di omesso esame dei documenti da parte del giudice del merito.
Nella motivazione della sentenza si parla di allegazioni non dimostrate, nè si fa alcun accenno alla produzione di copie piuttosto che di originali. Il ricorrente, pur richiamando pagamenti, assegni e titoli cambiari, non specifica (indicando esattamente i relativi atti processuali) quando gli stessi sarebbero stati prodotti, nè li riproduce nel ricorso; con conseguente inammissibilità.
2.2.2. Sotto un secondo profilo, si deduce omessa pronuncia (art. 112 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 1241-1243 cod. civ.) in riferimento al motivo di appello in cui si censurava la sentenza impugnata per non aver riconosciuto la eccepita compensazione con crediti vantati dal C..
Il profilo è infondato.
La Corte di merito ha affrontato e dichiarato inammissibile la suddetta censura nel contesto più ampio della ricostruzione dei rapporti di dare/avere, ritenuta non basata sui documenti in atti.
2.2.3. Sotto un terzo profilo, si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, per non aver ammesso consulenza tecnica d’ufficio, nonostante la richiesta.
Il profilo è inammissibile.
E’ principio consolidato quello secondo cui la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice del merito, di un parere tecnico necessario, o utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. La nomina del consulente rientra quindi nel potere discrezionale di tale giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti, sicchè ove una richiesta di tale genere venga formulata dalla parte essa non costituisce una richiesta istruttoria in senso tecnico ma una mera sollecitazione rivolta al giudice perchè questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo (tra le tante, Cass. 15 aprile 2002, n.5422). Come pure, costituisce principio consolidato quello, conseguente, secondo cui, non rientrando la consulenza tecnica di ufficio nella categoria dei “mezzi di prova”, non è soggetta ai limiti di ammissibilità per essi previsti dall’art.345 cod. proc. civ., comma 2 (Cass. 29 novembre 1995, n. 12416; Cass. 22 maggio 1996, n. 4720).
Pertanto, la deduzione della violazione dell’art.345 cod. proc. civ. è del tutto inconferente.
2.3. In conclusione, il motivo deve essere rigettato.
3. Con il terzo motivo (indicato come quarto) – deducendo la violazione degli artt.250 e 255 cod. proc. civ. – censura quella parte della sentenza che ha confermato la decadenza del C. dalla prova testimoniale e ha ritenuto inammissibile l’ammissione di un nuovo teste in appello.
3.1. Il terzo motivo, sotto un primo profilo, concerne la decadenza dalla prova testimoniale.
La Corte di merito ha messo in rilievo che, secondo i verbali, non essendo i testi comparsi all’udienza per la quale erano stati intimati (21 marzo 2000), era stata disposta altra udienza (9 ottobre 2000) per l’assunzione della prova testimoniale, per la quale, tuttavia, i testi non venivano citati e controparte eccepiva la decadenza. Quindi, ha ritenuto corretta la decadenza pronunciata dal primo giudice, non avendo il C. assolto all’onere, su di lui incombente ex art. 250 cod. proc. civ., di citare nuovamente i testi per l’udienza destinata all’espletamento della prova, non potendosi invocare il mancato ordine di accompagnamento coattivo da parte de giudice, trattandosi di facoltà rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
3.2. Il ricorrente sostiene che, avendo il C. citato i testi per una udienza, nessun onere incombeva allo stesso di citarli nuovamente per l’udienza successiva, alla quale la causa era stata rinviata, spettando al giudice di ordinare una nuova intimazione o di disporre l’accompagnamento coattivo. Di conseguenza, secondo l’assunto del ricorrente, il giudice non avrebbe potuto dichiarare la decadenza dalla prova testimoniale per la mancata citazione.
3.1.1. La censura deve essere rigettata.
La questione all’attenzione della Corte, è se, nell’ipotesi di mancata comparizione all’udienza di testimoni ritualmente citati dalla parte interessata, qualora il giudice non abbia esercitato il potere di ordinare una nuova intimazione o di disporne l’accompagnamento coattivo (di cui all’art.255 cod. proc. civ.), l’onere di citare i testimoni all’udienza cui il giudice abbia rinviato per l’assunzione della prova gravi o meno sulla parte interessata, a pena di decadenza eccepita dalla controparte, ai sensi dell’art.104 disp. att. cod. proc. civ..
3.1.2. Ritiene il Collegio che al quesito debba darsi risposta positiva.
La risposta discende linearmente dalla diversa ratio alla base, rispettivamente, dell’art. 250 cod. proc. civ. e dell’art. 104 disp. att. cod. proc. civ., ai quali deve aggiungersi l’art. 208 cod. proc. civ., da un lato, e dell’art. 255 cod. proc. civ. dall’altro, nella versione originaria, applicabile alla specie ratione temporis; ratio che ha trovato conferma anche nelle successive modifiche che hanno interessato tali disposizioni con le riforme del 2005/2006 e del 2009.
Infatti, mentre gli artt. 250 e 104 cit. (oltre al 208 cit.) riguardano la parte processuale, che ha chiesto l’ammisssione della prova e, ottenutala, ha interesse a farla espletare, con la salvaguardia dell’eventuale interesse della controparte, in un’ottica che pone al centro il carattere dispositivo del processo e il contraddittorio con la controparte, l’art.255 cit. riguarda il rapporto testimone/giudice nella diversa ottica del dovere di testimonianza gravante sul testimone. Così, alla manifestazione di disinteresse della parte che ne ha chiesto l’assunzione – non presentandosi all’udienza prevista per l’assunzione (art. 208 cit.) o non provvedendo alla citazione dei testi (art. 104 cit.) – la disciplina codicistica collega la decadenza, salvo che l’altra parte presente non ne richieda l’assunzione (art.208), se la decadenza è eccepita dalla parte interessata (Cass. 13 agosto 2004, n.15759, in riferimento all’art.104 vecchia formulazione), salvo che l’altra parte dichiari di avere interesse all’audizione (art.104 come modificato nel 2009).
Invece, l’art.255 cit., disciplina solo i poteri discrezionali (cass. 29 novembre 2002, n.16997) attribuiti al giudice, rispetto a testimoni ritualmente citati; poteri volti ad assicurare lo svolgimento del processo e l’adempimento del dovere di testimonianza, anche con eventuali e graduate sanzioni in mancanza di giustificati motivi per non comparire. In definitiva, il mancato assolvimento dell’onere di intimazione gravante sulla parte non può giovarsi del mancato esercizio da parte del giudice del potere ad esso attribuito per costringere i testimoni a comparire, appartenendo le diverse norme applicabili alla regolazione di sfere di interessi processuali diversi.
Pertanto, il motivo di ricorso è rigettato sulla base del seguente principio di diritto: nell’ipotesi di mancata comparizione, all’udienza, di testimoni ritualmente citati dalla parte interessata, qualora il giudice non abbia esercitato il potere di ordinare una nuova intimazione o di disporne l’accompagnamento coattivo (di cui all’art.255 cod. proc. civ.), l’onere di citare i testimoni all’udienza cui il giudice abbia rinviato per l’assunzione della prova grava sulla parte interessata, a pena di decadenza se eccepita dalla controparte, ai sensi dell’art. 104 disp. att. cod. proc. civ., non potendo giovarsi la parte del mancato esercizio di poteri discrezionali attribuiti al giudice, stante la diversa ratio alla base dell’art. 104 cit. (e degli artt. 208 e 250 cod. proc. civ.), fondata sul principio dispositivo del processo e sul rilievo del contraddittorio con la controparte, e dell’art. 255 cit., fondata sul dovere di testimonianza e sugli strumenti attribuiti al giudice per assicurare lo svolgimento del processo.
3.2. Il terzo motivo, sotto un secondo profilo, concerne la mancata ammissione di un nuovo teste in appello.
Se si considera come dedotta la violazione dell’art.345 cod. proc. civ., indicato nella sola parte esplicativa (mentre del tutto inconferenti sono gli artt.250 e 255 cod. proc. civ. indicati in rubrica) il profilo è inammissibile.
Il ricorrente sostiene di aver dedotto in appello di non aver potuto indicare il nuovo teste in primo grado, ma non dimostra, riproducendo per la parte di interesse il motivo di appello, di averlo fatto.
D’altra parte, la Corte di merito ha correttamente motivato sulla non ritenuta indispensabilità, stanti le decadenze maturate e l’esistenza di prove documentali in atti.
4. In conclusione,il ricorso deve rigettarsi.
Non avendo l’intimato svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
PQM
LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2012
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Numero Protocolo Interno : 430/2013