Testo massima
La
Suprema Corte con la sentenza n. 26058 depositata il 20 novembre 2013 ha
affrontato il caso in cui nella citazione di un testimone vengano indicati dati
errati, come ad esempio un nome diverso.
Nella
fattispecie in esame, tanto nell’atto di citazione, quanto nella memoria
istruttoria, gli attori indicavano a teste B.R., senza specificare la sua
residenza, i dati anagrafici o altri elementi di identificazione.
Ora, accadeva
che all’udienza dedicata all’esame del
teste si presentasse e venisse escusso quale teste B.U..
La
sentenza di primo grado veniva impugnata e la Corte di Appello considerava
ammissibile la deposizione di B.U. ritenendo che il teste fosse stato
sufficientemente indicato nel capitolo di prova n. 1 della memoria istruttoria.
Avverso
tale sentenza è stato poi proposto
ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Con il
primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione
dell’art. 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed ha formulato il
quesito di diritto ex art. 266-bis c.p.c. chiedendo che la Corte stabilisse se
“vi sia violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 244 c.p.c. nella parte in cui prescrive l’indicazione
specifica delle persone da interrogare, nell’ipotesi in cui venga ammessa,
nonostante la tempestiva opposizione dell’altra parte, la testimonianza di un
teste, citato e fatto comparire all’udienza di assunzione delle prove, avente
lo stesso cognome ma un diverso prenome da quello indicato nella memoria
istruttoria, senza altri elementi di sicura identificazione diretta (residenza
e/o data di nascita) o indiretta (rapporti di parentela)”.
Gli
Ermellini hanno ritenuto che il problema, nel caso prospettato, sia quello di coordinare due regole, dettate
rispettivamente dall’art. 156, comma 2, c.p.c. e 244 c.p.c., che tutelano due
contrapposte esigenze processuali quella della parte che deduce la prova e quella della parte che vi si oppone. Ritiene la Suprema Corte che chi deduce la prova non
sempre è in grado di conoscere il nominativo esatto del teste e la controparte,
perché sia garantito il suo diritto di difesa e contraddittorio, ha diritto di
individuare preventivamente la persona chiamata a deporre per valutarne la capacità
e comunque per predisporre al meglio un eventuale controesame.
La Corte
di Cassazione ha quindi stabilito che il teste deve essere indicato in maniera
sufficientemente determinata o determinabile, e che un’imperfetta o incompleta
designazione degli elementi identificativi (nome, cognome, residenza ecc.) è
idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e al contraddittorio solo se provochi
in concreto la citazione e l’assunzione come teste di un soggetto realmente diverso
da quello previamente indicato, così da spiazzare l’aspettativa della
controparte.
La
Suprema Corte ha condiviso, nella sentenza in esame, la valutazione del fatto
processuale operata dalla Corte di merito secondo la quale il teste indicato,
in effetti, non era diverso da quello escusso nonostante l’errore sul nome,
tant’è che parte ricorrente non ha addotto né innanzi alla Corte di Appello né
dinanzi alla Corte di Cassazione giudicante
che vi fosse altra persona, collegata ai fatti di causa, che rispondesse
al nome di B.R..
Sulla
base di tali motivazioni il ricorso è stato rigettato.
Testo del provvedimento
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