ISSN 2385-1376
Testo massima
E’ stata di recente pubblicata (Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 14 marzo 2014, numero L/74/65) la Raccomandazione della Commissione europea 2014/135/UE del 12 marzo 2014 (in seguito “Raccomandazione n.135/2014”), con il duplice obiettivo di incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro giuridico omogeneo che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese in difficoltà finanziaria e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Trattasi di una nuova tappa lungo il tortuoso progredior verso l’efficienza/efficacia delle azioni di risanamento delle imprese in crisi.
Come noto, dello strumento della Raccomandazione si avvale spesso la Commissione UE per puntualizzare la propria posizione in merito agli sviluppi futuri della propria azione. La Raccomandazione infatti, a differenza del parere, ha il precipuo scopo di sollecitare il destinatario a tenere un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni. L’efficacia non direttamente vincolante delle Raccomandazioni non implica comunque che esse siano totalmente sprovviste di alcun effetto giuridico. In dottrina si è, infatti, posto in evidenza come esse producano un effetto di liceità, nel senso che è da considerarsi pienamente lecito un atto, di per sé illecito, posto in essere per rispettare una raccomandazione di un’istituzione. Anche la Corte di Giustizia (cfr. sentenza Grimaldi 1989) ha posto ben in evidenza come le raccomandazioni non possono essere considerate del tutto prive di effetti giuridici, essendo compito del giudice nazionale tenerne conto per procedere all’interpretazione degli altri atti vincolanti emanati dalle istituzioni comunitarie e delle norme nazionali.
Con la Raccomandazione n.135/2014 siamo pertanto in presenza di un atto d’indirizzo di grande importanza e rilevanza, posto che lo stesso individua principi cardine e di best practice che gli Stati membri, invitati ad attuare i principi della stessa entro il 14 marzo 2015, non potranno ignorare. Il tutto assume particolare significato di indirizzo strategico, posto che sussiste ancora una grande disparità dei quadri nazionali in materia di ristrutturazione. Il tema delicato delle crisi “on cross border” attende inoltre (unitamente alla definizione di “gruppo di imprese in crisi”) da tempo di essere adeguatamente regolamentato, e chi scrive ha dovuto assistere a crisi aziendali che, per difetti di coordinamento tra le procedure di risanamento e carenze normative di vario genere, hanno creato gravi danni patrimoniali minando spesso anche la continuità aziendali di gruppi economici rilevanti. Il Regolamento CE n.1346/2000 appare inoltre ormai datato e, come noto, si limita a disciplinare questioni relative alla competenza, al riconoscimento, all’esecuzione, alla legge applicabile e alla cooperazione nelle procedure d’insolvenza transfrontaliere, mentre ancora pendono proposte di modifica di tale Regolamento che dovrebbero estendere la regolamentazione comunitaria anche e soprattutto alla procedure di prevenzione e di allerta (che, come a tutti noto, se avviate tempestivamente sono fondamentali per sottrarre all’insolvenza le aziende in crisi; procedure che, purtroppo, in Italia non sono ancora state previste dalla legge fallimentare, nonostante le indicazioni della c.d. “Commissione Trevisanato”).
Venendo sinteticamente a leggere l’obiettivo e l’oggetto della Raccomandazione n.135/2014 notiamo subito l’enfasi con cui la Commissione UE mira a:
– diminuire i costi della valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro; spesso i politici e le Istituzioni si sforzano di favorire gli investimenti in Italia e nell’UE, ma spesso ci si dimentica che la complessità e l’incertezza operativa e interpretativa sul restructuring si possono tradurre in un gap che porta a disincentivare anziché incentivare gli investimenti;
– aumentare i tassi di recupero del credito (sempre in Italia è ormai un evento tutt’altro che raro vedere nell’ambito del restructuring percentuali di recuperabilità bassissime, specie nei concordati con finalità liquidatoria);
– eliminare le difficoltà di ristrutturazione dei gruppi transfrontalieri (attualmente le crisi “on cross border” vengono gestite con grandi difficoltà, proprio perché appare arduo procedere ad una valutazione di “fattibilità” complessiva della manovra di risanamento dei gruppi stessi che operano in diversi stati dell’UE)
Ancora più rilevante la Raccomandazione n.135/2014 appare nel delineare le norme minime in materia di “quadro di ristrutturazione preventiva”. In concreto, vengono delineate le seguenti linee guida:
– occorre procedere nella ristrutturazione in una “fase precoce”: i ritardi nella segnalazione dello stato di crisi sono infatti nefasti e vanno evitati. Purtroppo in Italia spesso la figura dell’Impresa si confonde con quella dell’Imprenditore, e questo non agevola l’emersione della crisi in tempi rapidi. Su questo punto rilevante occorrerebbe fare tesoro dell’esperienza francese. In Francia infatti le misure di prevenzione (tra cui le procedure di allerta) hanno sempre una funzione primaria nella protezione dell’impresa in difficoltà, mentre le procedure concorsuali – pur ben regolamentate – hanno funzioni residuali, e questo per il semplice motivo che l’incremento della prevenzione aiuta e risolve una importante porzione delle situazioni di crisi, evitando l’accentuarsi delle patologie ed il ricorso alle procedure concorsuali. Altra importante particolarità della legislazione francese sta nel fatto che le misure di prevenzione in Francia scattano anche indipendentemente dalla volontà dell’imprenditore che, a volte, tende a non percepire la gravità della situazione. Sindaci, rappresentanti dei lavoratori, revisori contabili e spesso lo stesso Presidente del Tribunal de Commence possono prendere l’iniziativa e promuovere la misura di prevenzione ritenuta più adatta. Anche nell’ambito delle relazioni col sistema bancario, la Francia gode di ulteriori norme estremamente efficaci e sconosciute al nostro ordinamento. La legge francese rimette infatti all’attenzione del mediatore della Banca di Francia situazioni di potenziale conflitto (e ben sappiamo, soprattutto in Italia, come intorno all’utilizzo o alla sospensione/revoca delle linee di finanziamento del capitale circolate si annidino insidiose patologie che possono esacerbare la crisi d’impresa, e che portano ad infinite discussioni nell’ambito del ceto bancario, non scevre anch’esse da episodi di opportunismo e scorrettezza), che convoca le Banche presso la Prefettura competente e coordina una analisi della situazione, suggerendo correttivi, incoraggiando un maggior approfondimento delle informazioni ed aiutando l’imprenditore a presentare nella forma più corretta, ogni dato utile ad una più attenta a costruttiva valutazione del rischio. Il tutto nella prospettiva della moral suasion e senza invasioni di campo;
– il debitore dovrebbe (in linea di principio) mantenere il “controllo della gestione corrente”; spesso tuttavia (e su questo aspetto la Raccomandazione n.135/2014 non approfondisce più di tanto) la banca non è più un semplice creditore ma è chiamata a diventare un partner, specie quando il ceto bancario ha trasformato in strumenti di quasi equity (SFP o altro strumento finanziario) una parte consistente delle proprie ragioni di credito nelle ricapitalizzazioni aziendali. Le banche, da prestatori/creditori vengono infatti sempre più chiamate a farsi partner degli imprenditori in crisi, trovandosi a dover gestire da protagoniste complessi processi di ristrutturazione. Tutto ciò determina sovente per le banche un insostenibile stress delle strutture organizzative e inevitabili ricadute anche a conto economico, rendendo al contempo poco efficienti per le imprese, anche qualora ve ne siano i presupposti, i tradizionali percorsi di uscita dalla crisi tramite il ricorso agli strumenti di composizione approntati dal Legislatore negli ultimi anni. La magnitudine di tale situazione richiederebbe oggi urgenti risposte innovative e “di sistema” su questo tema centrale, che coinvolge la governance delle imprese in crisi, è in atto una discussione profonda;
– il debitore dovrebbe poter chiedere la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali; anche su questo tema non esistono norme adeguate in materia, e spesso per ottenere l’automatic stay le imprese in crisi ricorrono in Italia (impropriamente, se non proprio abusivamente) all’istituto del concordato “in bianco” ex art.161 sesto comma l.fall., che è la storia di questi ultimi mesi che ce lo dice si trasformano spesso in veri e propri boomerang per i proponenti (che nella stragrande maggioranza dei casi non riescono neanche a presentare la manovra nei termini fissati dal giudice);
– il piano di ristrutturazione adottato dalla maggioranza dei creditori dovrebbe essere vincolante per tutti i creditori se “omologato dal giudice”; spesso in Italia nei tavoli di ristrutturazioni i creditori (e sono spesso quelli che hanno le quote di rischio minori) adottano comportamenti opportunistici gravemente lesivi della par condicio e delle norme deontologiche, ostacolando di fatto l’azione di risanamento e/o dilatandone i tempi in modo intollerabile; il requisito della “omologabilità” del piano indicato dalla Raccomandazione n.135/2014 potrebbe inoltre in futuro ridurre fortemente l’utilizzo dei piani attestati ex art.67 l.fall. (su cui anche il Legislatore italiano pare aver già manifestato un certo “disfavore”);
– i “nuovi finanziamenti” necessari per l’attuazione del piano dovrebbero essere inattaccabili; anche su questo punto va rimarcata l’attuale non soddisfacente tutela normativa dei finanziamenti concessi “in funzione” degli accordi omologabili ex art.182bis l.fall. e dei piani concordatari;
– infine, la procedura di ristrutturazione non dovrebbe avere una durata eccessiva, dovrebbe essere la meno costosa possibile ed essere “flessibile” (avendo ciò degli strumenti interni di adattamento), onde evitare plurimi interventi del giudice. Anche su questo tema va rimarcato che spesso i piani di risanamento in Italia non dispongono di buffer e di adeguata flessibilità economico-finanziaria, cosa che spesso porta alla “non perdurante idoneità” del piano medesimo e al suo insuccesso.
Molto penetranti appaiono anche le linee-guida per “agevolare i negoziati sui piani di ristrutturazione”, specie laddove auspicano: (i) la previsione di sospensione temporanea (durata massima di 12 mesi) delle azioni esecutive individuali, senza tuttavia incidere sull’esecuzione dei contratti in corso, laddove una parte significativa dei creditori siano favorevoli all’avvio di negoziati per l’adozione del piano di ristrutturazione e lo stesso abbia “ragionevoli prospettive di essere attuato”, che potrebbe a sua volta portare alla revisione dell’art.169-bis l.fall.; (ii) l’omologazione dei piani di ristrutturazione; (iii) la possibilità dei creditori di essere informati dei contenuti del piano di ristrutturazione e di potersi opporre allo stesso; (iv) l’esonero da responsabilità civili o penali per i contributori di nuovi i finanziamenti concordati nell’ambito del piano di ristrutturazione omologato;
Prime considerazioni sintetiche
Il Legislatore italiano, come quelli degli altri Stati membri UE, sarà presto chiamato a rimettere mano alla tormentata normativa sul restructuring, ottemperando ai policy makers della Raccomandazione n.135/2014.
Rimaniamo peraltro in attesa di vedere attuate efficaci proposte di modifiche al Regolamento CE 1346/2000 da parte del legislatore comunitario.
L’esperienza francese testimonia che gli strumenti di prevenzione e di allerta risultano estremamente efficaci e creano una reale cultura della prevenzione, molto ben accetta dalle imprese stesse che sanno di poter contare su aiuti reali da parte delle istituzioni, in tempi brevi, a bassi costi e in totale riservatezza. E ciò rafforza nei più la consapevolezza che il ritardo nella necessaria adozione dei dispositivi di prevenzione può portare l’impresa nell’area delle procedure concorsuali, con maggiori rischi e che a volte sono senza ritorno.
Unitamente e parallelamente al nuovo processo normativo in atto, le banche italiane, a loro volta, saranno chiamate a farsi carico delle pur opportune esigenze di “pulizia” di bilancio, e avranno come ulteriore ma non certo secondario obbiettivo quello di rendere sempre più efficienti i processi di ristrutturazione oggi “polverizzati” e “incagliati” negli uffici ristrutturazione, che seppur meritoriamente rinforzati e riqualificati negli ultimi anni innanzi al quotidiano moltiplicarsi dei dossier e pur con tutta la diligenza e competenza di cui sicuramente dispongono, si trovano oggi a dover gestire con strumenti “ordinari” una vera emergenza nazionale (e spesso transnazionale, in presenza di crisi di gruppi economici “on cross border“). Probabilmente con la ripresa economica (che i più danno per imminente) si arresterà o perlomeno diminuirà il flusso dei nuovi crediti deteriorati, ma in ogni caso si palesa già fin d’ora la necessità per le banche europee (gravate da consistenti partite di credito deteriorato) di concepire soluzioni sistemiche e operative, e che in futuro potrebbero vedere la nascita e interposizione di veicoli dedicati e professionali che siano capaci di svolgere per conto e nell’interesse delle banche, anche a seguito della conversione in equity dei loro crediti, quel ruolo di partnership che esse non vogliono / non possono svolgere.
L’adozione di tali veicoli (su cui oggi si stanno facendo le prime importanti riflessioni strategiche) potrebbe così contribuire a superare uno dei principali ostacoli di natura operativa all’applicazione con successo dei suddetti strumenti (piani, accordi o concordati), contenendo al massimo la lentezza, complessità e farraginosità della dialettica che in ogni operazione di restructuring oggi (in Italia come altrove) continua a caratterizzare la dialettica tra le banche e le imprese debitrici e, ancor di più, all’interno del ceto bancario stesso, tra banche portatrici di interessi disomogenei, quantitativamente e qualitativamente. Da qui i tempi ormai alquanto dilatati delle attuali operazioni di restructuring e la difficoltà di una interlocuzione che pretenderebbe, per sua natura, tempi di reazione rapidissimi e modalità dirette. La concentrazione, anche solo in parte, delle posizioni creditorie diffuse e disomogenee in capo ad un unico interlocutore professionale dell’impresa potrebbe rappresentare dunque, sotto un profilo squisitamente operativo, una vera rivoluzione copernicana capace di dare efficienza e funzionalità agli strumenti di superamento della crisi d’impresa. In tal senso, una soluzione di questo tipo potrebbe/dovrebbe essere oltreché agevolata dalle Istituzioni pubbliche, italiane e comunitarie imposta o caldeggiata con opportuna moral suasion, perlomeno laddove risultino verificati certi presupposti dimensionali dell’indebitamento in termini quantitativi e di numerosità dei soggetti bancari coinvolti.
Testo del provvedimento
In allegato il testo integrale del provvedimento
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