Con il contributo in allegato, il Prof. Valerio Tavormina analizza gli effetti e le conseguenze sui rapporti bancari, dell’introduzione della nuova disciplina legislativa in materia di sovraindebitamento.
La legge sul sovraindebitamento, unitamente alla continua dilatazione delle più tradizionali procedure concorsuali a spese delle esecuzioni individuali, rappresenta, secondo il parere illuminato del Prof. Tavormina, un deciso passo verso il superamento di quella responsabilità del debitore, che il codice civile del 1942 aveva esteso fino al limite dell’impossibilità assolutamente non imputabile (art. 1218 e 2740 c.c.) e che invece si trova a regredire verso i traguardi dell’inesigibilità e del limite del sacrificio.
Rapporti bancari e procedure di sovraindebitamento
1.- L’insensatezza economica delle procedure concorsuali in genere
È stato posto bene in luce da Spiotta[1] come la legge sul sovraindebitamento dei soggetti non assoggettabili a fallimento, unitamente alla continua dilatazione delle più tradizionali procedure concorsuali a spese delle esecuzioni individuali, rappresenti un deciso passo verso il superamento di quella responsabilità del debitore, che il codice civile del 1942 aveva esteso fino al limite dell’impossibilità assolutamente non imputabile (art. 1218 e 2740 c.c.) e che invece si trova ora a regredire verso i traguardi dell’inesigibilità e del limite del sacrificio, già propri, come mi ricordava il mio illustre collega prof. Colesanti, dell’Interessenjuriprudenz ad esempio di Philipp Heck[2].
Insomma, la nuova regola si avvia ad essere “il debitore faccia del suo meglio per adempiere”.
In netta contrapposizione alla ricorrente affermazione di chi, non accorgendosi dell’alluvione di leggi, regolamenti, ordini e discipline che ci sommergono da parecchi decenni, plaude allo “argine” così posto “in via d’urgenza, alla deregulation a cui spesso neppure i Giudici” riescono a far fronte[3], ho già ricordato altrove le conseguenze funeste di un trend del genere che gli economisti meglio informati hanno prima predetto e poi constatato in termini di crisi economiche, interminabili recessioni e comunque di rallentamenti epocali della crescita[4], specie in un Paese come l’Italia che ha visto il PIL a parità di potere di acquisto cadere ininterrottamente fino al 2015 ed il cui sistema economico si fonda, più di quello di qualsiasi altro comparabile, sul credito bancario: quasi il 70% del credito al settore produttivo, contro il 50% della Germania, il 38% della Francia ed il 30% del paese anglosassoni.
E se è vero che la “purgazione” del credito al consumo, nell’accezione più tradizionale e ristretta del termine (prestiti per l’acquisto di beni e servizi di consumo), essendo per definizione estremamente frazionato, comporta di solito effetti meno devastanti di quello alle imprese[5], non è meno vero che ciò non vale per il credito al consumo di beni a lunga durata come l’abitazione; che un quadro normativo che la preveda rappresenta un incentivo di carattere negativo; che la legge sul sovraindebitamento va ben al di là del credito al consumo, coinvolgendo il credito alle imprese agricole, alle microimprese, ad ogni altra attività produttiva non gestita in forma di impresa e, più in generale, ad ogni soggetto non qualificabile come imprenditore commerciale.
2.- I rapporti pendenti, carte di credito e leasing
Vediamo comunque in che modo e in che misura i rapporti bancari (in essi inclusi quelli con enti finanziari diversi dalle banche) facenti capo al sovraindebitato possono essere coinvolti dalle relative procedure.
Un primo problema è rappresentato dal fatto che, nell’ambito della composizione della crisi, la legge non disciplina i rapporti pendenti (ossia non ancora compiutamente eseguiti almeno da una delle due parti), che non restano automaticamente sospesi come nel fallimento (art. 72 l.f.) e neppure possono essere risolti, come stabilito anche per il concordato preventivo (art. 169bis l.f.). Quindi, in linea di principio, proseguono con tutte le relative implicazioni.
Ad esempio, i rapporti aventi ad oggetto l’utilizzo delle carte di credito, comunque li si voglia inquadrare[6], continuano ad operare, com’è tra l’altro fatto palese dall’art. 8, comma 3, e dovrebbero pertanto consentire alle controparti di far valere i loro crediti in corso di maturazione.
Poiché tuttavia il vincolo (all’accordo o piano del consumatore omologati) dei creditori anteriori è accompagnato dalla previsione per cui “I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano” (art. 12, comma 3; art. 12ter, comma 2), mentre l’art. 13, comma 4bis prevede che anche “I crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti di cui alla presente sezione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri”, occorre dedurne che anche i crediti in questione dovranno essere soddisfatti, sia pure integralmente, nelle forme previste per l’esecuzione dell’accordo, del piano o della liquidazione.
Il che indurrà l’intermediario a porre senz’altro termine al rapporto invocando gli inadempimenti pregressi od anche soltanto la rilevante difficoltà o definitiva incapacità di adempiere da parte del debitore (art. 6, comma 2, lett. a), i ritardi negli adempimenti successivi ecc.
Stesso discorso per altri rapporti di durata, come il leasing (non parlo della vendita a rate, perché estranea all’attività degli intermediari finanziari). Una volta depositata la proposta di composizione della crisi o liquidazione, il debitore non dovrebbe più pagare i creditori con titolo anteriore[7]; ma a costoro è o può essere inibito solo di procedere esecutivamente od in via cautelare [art. 10, comma 2, lett. c) ed art. 12bis, comma 2], non di agire per l’accertamento e la condanna in relazione a propri diritti ed anche per la risoluzione di contratti in corso conseguenti all’inadempimento che indubbiamente si è manifestato.
Le conseguenze per il leasing traslativo, come tipicamente quello teso all’acquisizione di un immobile, sono allora quelle dettate dall’art. 1526 c.c., con le opportune modificazioni: come si specifica al punto 13.5 della motivazione di Cass. civ. Sez. I, 09/02/2016, n. 2538, “la restituzione di tutti i canoni all’utilizzatore e del bene alla società di leasing, con la possibilità di pretendere, a titolo di risarcimento ex art. 1453 c.c., comma 1, la differenza tra l’intero corrispettivo contrattuale [compreso quello a scadere] a carico dell’utilizzatore ed il valore del bene, secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione”.
La Cassazione si è infatti rifiutata di elevare a criterio generale di determinazione delle conseguenze della risoluzione del leasing l’art. 72quater l.f., introdotto con la riforma del 2006/2007 che, nel disciplinare le conseguenze dello scioglimento del contratto (che altrimenti proseguirebbe a meno che non ne fosse stata chiesta la risoluzione per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento: art. 72, comma 5) ad iniziativa del curatore, lo tratta (senza distinzione alcuna tra leasing traslativo e di godimento) come un finanziamento (quale è in realtà in ogni caso), garantito dalla proprietà del bene di cui si è finanziato l’acquisto.
Con la conseguenza che il finanziatore si vedrà restituito il bene, ma dovrà imputarne il valore di mercato al capitale finanziato (sostanzialmente, al prezzo di acquisto), versando al curatore l’eventuale eccedenza; ed avrà diritto di trattenere quanto percepito a titolo di interessi fino alla dichiarazione di fallimento e di insinuare al passivo eventuali interessi scaduti fino a quella data, oltre a quella quota di capitale che non fosse riuscito a recuperare con il valore di mercato del bene, esclusa ogni altra pretesa.
E questa posizione della Cassazione è stata poi recepita dall’art. 1, comma 78, della legge n. 205/2015, con cui si è voluto disciplinare il leasing-prima casa e che ha previsto, in caso appunto di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, il diritto del concedente a ricevere perfino il “prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto” (una disposizione eccedente le stesse previsioni contrattuali: forse per controbilanciare il diritto ad una moratoria fino a 12 mesi in corso di rapporto?)[8].
Nessuna possibilità, dunque, per il sovraindebitato che, quanto meno, non sia in regola con tutti i pagamenti, di acquisire l’immobile preso in leasing e girarlo ai creditori, anche se il relativo onere fosse ridotto rispetto al valore del bene. Salvo che, naturalmente, il concedente non accetti di attendere per essere pagato integralmente e sempre che il suo consenso sia sufficiente a farlo equiparare a creditore privilegiato ex art. 7, comma 1, 2° periodo.
3.- I beni già usciti in funzione di garanzia dal patrimonio del debitore
Se è difficile acquisire utilità non ancora entrate nel patrimonio del debitore, come nel caso del leasing, è ancora più difficile farvi rientrare utilità che ne sono uscite in funzione di garanzia di debiti tuttora esistenti.
Vengono in considerazione al riguardo anzitutto le c.d. cessioni del quinto dello stipendio.
Nel sancire l’inefficacia, rispetto al datore di lavoro ceduto, dei sequestri, pignoramenti e alienazioni delle quote di stipendio o salario cedute, gli art. 42, comma 3 e 55, comma 1 d.p.r. n. 180/1950 ne dispongono in generale una vera e propria separazione a beneficio del creditore garantito.
Sicché la reiterata statuizione che il decreto di apertura della procedura di accordo o di omologazione del piano del consumatore[9] o di apertura della liquidazione è equiparato (o, sprecando parole, “deve intendersi equiparato”) a pignoramento (art. 10, comma 5; art. 12bis, comma 7; art. 14quinquies, comma 3) non cambia le cose, purché ovviamente, ai sensi dell’art. 2914, n. 2 c.c., la notificazione della cessione al, o l’accettazione da parte del, datore di lavoro (art. 1, ult. comma, d.p.r. n. 180/1950) sia intervenuta prima: in caso diverso quella equiparazione non può che comportare l’inopponibilità della cessione agli altri creditori, con risultato equipollente a quello che, nel concordato preventivo, è stato ottenuto introducendo rinvio anche all’art. 45 l.f. (art. 169, comma 1)[10].
Come in tutti i casi di cessione o di mantenimento della titolarità di un diritto in funzione di garanzia del pagamento di un credito, si è discusso e si continuerà a discutere all’infinito sulla liceità della pattuizione alla luce del divieto del patto commissorio (art. 2744 c.c.), sui riflessi che la riduzione o trasformazione del debito potrebbe comportare sulla garanzia, sull’assimilazione o meno della garanzia stessa al pegno o all’ipoteca ai fini del voto ecc.
Finora, tuttavia, la posizione della giurisprudenza è stata quella di tenere ferma la cessione dei crediti in funzione di garanzia fino a soddisfacimento integrale del credito originario, col solo obbligo di riversare nel patrimonio del debitore l’eventuale eccedenza[11].
Né si vede che cosa potrebbe giustificare attualmente un mutamento di rotta quando (I) dell’eccedenza beneficiano il debitore ed i suoi creditori (c.d. patto marciano); (II) rimane ferma la regola che l’ipoteca o il pegno garantiscono l’intero importo realizzabile con l’alienazione del loro oggetto (art. 7, comma 1, 2º periodo legge n. 3/2012); (III) da molti anni ed in forza di specifica direttiva europea, la cessione del credito in funzione di garanzia è inclusa (sia pure soltanto per i soggetti diversi dalle persone fisiche e per le imprese) nelle garanzie finanziarie escutibili “anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 170/2004); (IV) il lease back, che comporta anch’esso finanziamento contro cessione della proprietà in funzione di garanzia, è trattato dalla giurisprudenza alla stessa stregua del leasing con acquisto della proprietà da terzi (sempre in funzione di garanzia)[12]; (V) il nuovo art. 48bis del TUB (introdotto con l’art. 2 d.l. n. 59/2016) ha previsto, per i crediti erogati ad un imprenditore (che nel sistema della legge n. 3/2012 può essere l’imprenditore agricolo od il “piccolo” imprenditore commerciale, in quanto entrambi non assoggettabili a fallimento), la garanzia rappresentata dal trasferimento di un immobile (purché non adibito ad abitazione principale), sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore, che dà titolo al creditore (anche in caso di esecuzione forzata promossa da terzi o di fallimento) per invocare l’avveramento della condizione ed acquisire l’immobile al valore determinato da un perito, con obbligo di versamento al debitore dell’eventuale eccedenza sul credito insoddisfatto.
Domani non sappiamo, perché il nuovo d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, nel testo appena approvato dalla Camera (A.C. n. 3671bis-3609-3884A)[13], recita all’art. 9, lett. c-bis, che il Governo è delegato a “prevedere che il piano del consumatore possa comprendere anche la ristrutturazione dei crediti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno”: laddove l’eterogeneità delle garanzie cui ci si riferisce (cessione e pegno) non consentono di apprezzare fin d’ora la portata della delegata “ristrutturazione dei crediti”.
Nel quadro attuale, comunque, può certamente definirsi aberrante il provvedimento di omologazione di un piano del consumatore prevedente “revoca” di due cessioni del quinto dello stipendio che, a quanto riporta un sito Internet[14], sarebbe stato adottato dal Tribunale di Siracusa il 17 giugno 2016 perché “la situazione del creditore cessionario del quinto non è equiparabile a quella del creditore privilegiato o munito di pegno o ipoteca.
Indi nulla osta alla riduzione proporzionale della percentuale di soddisfazione del creditore chirografario: la percentuale di soddisfazione potrà anche essere ridotta, ma il credito ceduto è uscito dal patrimonio del debitore (perciò intaccato in modo ben più radicale dell’accensione di un pegno o di una ipoteca[15]), né c’è modo di farvelo rientrare se non attraverso l’esperimento di un’azione revocatoria ordinaria.
Si potrà forse solo, in analogia a quanto desumibile dalla legge per i creditori con prelazione di cui sia previsto il soddisfacimento nei limiti dell’importo realizzabile con i beni oggetto di prelazione (art. 7, comma 1, 2º periodo e 11, comma 2) e ritenuto dalla Cassazione per l’ipotesi di differimento nel soddisfacimento di detti creditori con prelazione nel concordato fallimentare[16] (così come nell’art. 8, comma 4, della legge n. 3/2012), escludere parzialmente il finanziatore dal voto sulla proposta di accordo limitatamente all’importo da lui realizzabile con l’oggetto della garanzia (tenuto anche conto di quanto dovutogli a valere sulle indennità di fine rapporto, sul trattamento pensionistico ecc.).
Non è invece ancora uscito dal patrimonio del debitore, al momento dell’inadempimento, l’immobile (non adibito ad abitazione principale del proprietario) trasferito dall’imprenditore (nella specie agricolo o “piccolo” ex art. 1, comma 2 l.f.) ad un intermediario del credito sotto condizione sospensiva dell’inadempimento, a garanzia di un finanziamento, come previsto dal citato, nuovo art. 42bis TUB.
Tuttavia, non c’è dubbio che la trascrizione di detto trasferimento prima che i decreti di ammissione (o di omologazione) alla procedura di sovraindebitamento le conferiscano gli effetti del pignoramento (come si è visto sopra), autorizzi il creditore ad avvalersi anche dopo della condizione sospensiva: infatti, il comma 12 della citata disposizione prevede che l’escussione di questa nuova garanzia possa aver luogo anche quando, dopo la trascrizione, sopravvenga il fallimento.
In tal caso l’escussione è subordinata all’ammissione al passivo del creditore (si può peraltro dubitare della necessità di questo adempimento quando costituente della garanzia non sia il debitore, ma un terzo, dato che Cass. civ. Sez. I, 09/02/2016, n. 2540[17], ha ribadito – nonostante la modifica apportata all’art. 52, comma 2 l.f. – il vecchio orientamento secondo cui in caso di fallimento del terzo datore di ipoteca il creditore interviene solo nella fase distributiva).
Dunque, in applicazione analogica di detto comma 12, a meno che il debito non venga integralmente pagato, l’imprenditore agricolo od il piccolo imprenditore restano esposti alla sottrazione dell’immobile al valore determinato dal perito nominato dal giudice, la cui valutazione sarà sindacabile ex art. 1349 c.c. (comma 6), probabilmente con il rimedio endoprocedurale del reclamo al tribunale, con esito a sua volta sindacabile in Cassazione solo ex art. 111, comma 7 cost. Correlativamente il creditore sarà escluso dal voto sulla proposta di accordo, a fortiori dall’art. 11, comma 2 della legge n. 3/2012.
Il regime si presenta analogo (anche se non del tutto coincidente) a quello introdotto pressocché contemporaneamente con il d.lgs. n. 72/2016, attuativo della Direttiva UE n. 17/2014 in tema di mutui ipotecari ai consumatori su immobili residenziali.
Il nuovo art. 120quinquiesdecies TUB prevede che, al momento della conclusione del contratto, le parti possono prevedere con clausola espressa che, in caso di grave inadempimento del consumatore (l’equivalente di almeno 18 mensilità), il mutuo sia estinto con il trasferimento dell’immobile alla banca o ad un terzo oppure con il ricavato della vendita, fermo che l’eventuale eccedenza del valore dell’immobile o del ricavato della vendita va a beneficio del consumatore (comma 3).
Se l’eventuale clausola riproduce detta generica previsione, si può immaginare che l’esecuzione dell’obbligo di trasferimento o di vendita (la quale ultima dovrebbe comunque essere disposta nell’ambito della procedura) possa essere ricusata dal debitore/liquidatore, in quanto impedita dagli effetti del pignoramento attribuiti ai decreti di apertura delle procedure, di cui si è già detto. Ma in tal caso resterebbero evidentemente fermi gli effetti dell’ipoteca, con obbligo di pagamento immediato nei limiti dell’importo realizzabile e con differimento possibile solo fino a 12 mesi ex art. 8, comma 4, legge n. 3/2012[18].
Nulla impedisce tuttavia di strutturare la clausola in termini di trasferimento di proprietà sotto condizione sospensiva dell’inadempimento, alla stessa stregua di quanto previsto dall’art. 42bis TUB; nel qual caso, l’anteriorità della trascrizione della clausola rispetto al pignoramento ne assicurerebbe l’opponibilità alla procedura.
Resterebbe soltanto il problema della trascrizione dell’avveramento della condizione (art. 2668, comma 3 c.c.), che potrebbe però essere oggetto di procura alla banca già in sede di contratto di finanziamento, senza che si ponga un problema di abusività della clausola stante la previsione dell’art. 28 § 4 dell’attuata Direttiva n. 17/2014, che fa divieto agli Stati di impedire la pattuizione di questo strumento di estinzione dell’obbligazione.
4.- Pegno, ipoteca e privilegi
Si è già fatto cenno di qualche profilo del trattamento che queste tradizionali cause di prelazione ricevono nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento ed in particolare, in sede di ristrutturazione dei debiti, delle previsioni, mutuate dalle parallele innovazioni introdotte nelle procedure di concordato fallimentare e preventivo [art. 124, comma 3 e 186bis, comma 2, lett. c) l.f.], di decurtazione del loro valore nominale e di dilatazione dei tempi di loro realizzazione.
E se il Tribunale di Rovigo si è rifiutato di omologare un piano del consumatore che prevedeva il soddisfacimento in 12 anni di un credito ipotecario di una banca, in violazione del termine massimo di 1 anno previsto dall’art. 8, comma 4 della legge n. 3/2012[19], il Tribunale di Verona ne ha omologato uno che prevedeva il soddisfacimento di un siffatto credito in 25 anni[20].
Per quanto concerne però specificamente i rapporti bancari, c’è anzitutto da osservare che i sottostanti crediti devono ritenersi incondizionatamente assoggettati non solo al controllo del giudice investito della procedura di ristrutturazione, agli effetti sia del voto che del soddisfacimento (come nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione ex art. 182bis l.f.), ed alla verifica in sede di liquidazione (art. 14septies-14octies), ma anche al divieto incondizionato di azioni esecutive senza le eccezioni, pur previste per il fallimento (art. 51 l.f.: “salvo diversa disposizione della legge”), che riguardano il credito ipotecario, fondiario ed agrario (art. 41, comma 2 e 44, comma 5 TUB), nonché il pegno e certi privilegi speciali (art. 53, comma 2 l.f.), in conformità all’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 168 l.f. che pone identico divieto incondizionato in caso di concordato preventivo[21].
La conclusione deve essere ovviamente diversa (anche nel caso di concordato preventivo) per le garanzie finanziarie in cui si diceva sub 3 (sostanzialmente pegno di valori mobiliari e cessione di crediti in garanzia) che, nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, possono concernere soltanto imprenditori agricoli e piccoli, loro società ed associazioni anche di professionisti non imprenditori [art. 1, comma 1, lett. d), n. 5 d.lgs. n. 170/2004].
E ciò perché l’art. 4, comma 1, di questo decreto legislativo prevede che il creditore pignoratizio [da leggersi però in realtà, alla luce dell’art. 4, comma 1 dell’attuata direttiva n. 47/2002, come “il beneficiario della garanzia”] possa escuterne l’oggetto “anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione”.
Non era poi chiaro per quale motivo e con quale portata, nel dicembre 2005, fosse stata introdotta, con la legge n. 248, la previsione del prestito vitalizio ipotecario, avente ad oggetto “la concessione da parte di aziende ed istituti di credito nonché da parte di intermediari finanziari, di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di finanziamenti a medio e lungo termine[22] con capitalizzazione annuale di interessi e spese [dovuti perciò tutti alla scadenza], e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti” (comma 12 dell’art. 11quaterdecies d.lgs. n. 203/2005).
Si voleva forse dire che finanziamenti del genere non potevano essere effettuati che dagli intermediari del credito e solo a persone fisiche ultrasessantacinquenni? Non ce n’era traccia e quindi ritengo che si fosse soltanto inteso consentire a qualcuno di proclamare di essersi fatto carico delle esigenze degli ultrasessantacinquenni.
Ciò non ha peraltro impedito di andare alla ricerca di titoli di merito ulteriori e così, nell’ottobre 2013, sotto l’abusato pretesto che lo “sviluppo di questa forma tecnica risulta fortemente ostacolato dalla mancanza di una normativa[23] che regolamenti in modo esaustivo la materia” (relazione al d.d.l. A.C. n. 1752/2013), il riportato comma 12 è stato sostituito da ben 6 commi.
In sostanza, ora sono “riservati” agli ultrasessantenni mutui ipotecari da rimborsare integralmente (salva pattuizione di rimborso graduale di interessi e spese), in linea di principio, entro 12 mesi dalla morte del finanziato (salvo anticipazione in caso di vendita o di costituzione di gravami ulteriori sugli immobili), con esplicitazione che il rimborso dev’essere “richiesto” (comma 12) e che, se non avviene, il finanziatore può (direttamente) vendere l’immobile a prezzo di mercato, determinato da un “perito indipendente” da lui nominato, con successivi abbattimenti del 15% ogni 12 mesi, accontentandosi del ricavato per soddisfare il suo credito, con eventuale avanzo al finanziato od aventi causa (comma 12quater).
Omesso ogni facile sarcasmo sul senso economico di tutto ciò, il trattamento nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento dovrebbe essere quello di un qualsiasi credito ipotecario che scade in conseguenza della sopravvenuta insolvenza del debitore (art. 55, comma 2 e 169, comma 1 l.f., non richiamati dalla legge n. 3/2012, ma applicativi dell’art. 1186 c.c.), con le seguenti modificazioni:
l’ipoteca dovrebbe estendersi a tutti gli interessi maturati fino all’anno in corso all’apertura della procedura, nonostante la dichiarata applicabilità dell’art. 2855, commi 2 e 3 (art. 9, comma 3quater e art. 14ter, comma 7), perché tutti gli interessi sono dovuti per legge[24] solo alla scadenza (salvo richiesta del finanziato di rimborso in costanza di rapporto);
per il periodo successivo, la prelazione ipotecaria avrà ad oggetto soltanto gli interessi legali fino alla vendita od al pagamento. Però, anche in questo caso, come in tutta la materia dell’esecuzione forzata in genere, ci si deve chiedere se su questa disciplina limitativa non sia venuto ad incidere il nuovo art. 1284, comma 4 c.c., che presuppone bensì che le parti non abbiano in precedenza determinato la misura degli interessi (di mora), ma che ha indiscutibilmente una ratio acceleratoria (e deflattiva) del contenzioso anche esecutivo;
il credito dev’essere pagato integralmente (e senza dilazione, salvo il caso dell’art. 8, comma 4), ma soltanto nei limiti del prezzo ricavato attraverso una vendita disposta in conformità al piano o nell’ambito della liquidazione perché, come si è già visto, vi è incondizionato divieto di azioni esecutive individuali.
Non si può quindi dire in assoluto che l’ipoteca “non svolge l’usuale funzione di garanzia, ma serve per rendere opponibile ai terzi il mandato a vendere l’immobile, attribuito ex lege al finanziatore stesso, in base ad uno schema tipico di patto marciano”[25], perché detta funzione di garanzia acquista rilievo nell’ambito delle procedure concorsuali in cui non può più operare il mandato a vendere.
5.- Garanzie personali rilasciate da consumatori
CGUE Sez. VI, 19/11/2015, C-74/15, ha incluso ogni tipo di garanzia rilasciata da consumatori a favore di imprenditori, anche nell’ipotesi in cui sussistano particolari legami estranei all’attività di impresa (vincoli familiari ecc.), nell’ambito della disciplina di protezione dei consumatori, con la sola eccezione del caso in cui sussistano “collegamenti funzionali che… legano [il consumatore all’imprenditore], quali l’amministrazione [della società] o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale”.
Ciò comporterà ovviamente mutamenti nella struttura delle garanzie che le banche richiederanno, come ad esempio la richiesta che i garanti assumano un ruolo nella gestione dell’impresa ecc.
6. Polizze vita
L’impignorabilità delle somme dovute dall’assicuratore-vita al contraente o beneficiario della polizza, sancita dall’art. 1923, comma 1 c.c. è stata da ultimo confermata da Cass. civ. Sez. I, 14/06/2016, n. 12261, con riferimento a “tutte le possibili finalità dell’assicurazione sulla vita e, dunque, non solo la funzione previdenziale ma anche quella di risparmio”.
Anche per questi prodotti finanziari, ormai largamente collocati dalle banche, si determina con ciò per un verso l’esclusione dalla procedura degli importi riscattabili a termini di polizza e, per altro verso, la possibilità da parte del debitore di utilizzarli per ovviare ad eventuali deficienze del piano di ristrutturazione, in attesa che la futura normativa consenta al debitore civile meritevole di ottenere la remissione di ogni debito senza offrire nulla ai creditori [art. 9, lett. c) del citato nuovo d.d.l. appena approvato dalla Camera].
[1] Legge fallimentare e codice civile: prove di dialogo – Riflessioni sulle deroghe al codice civile contenute nella legge fallimentare, in Giur. It., 2016, 1020.
[2] Grundriss des Schuldrechts2, Tübingen, 1929.
[3] Spiotta, op. cit., 1038.
[4] Insolvency Regulations and Economic Recession: An Austro-Libertarian Point of View, in Beijing Law Review, 5, 2014, 149-154.
[5] Huerta De Soto, Money, Bank Credit, and Economic Cycles2, Auburn-AL, 2009, 406 ss.
[6] Cfr. Niccolini, Carte di credito e carte bancarie, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988-, 2 ss.
[7] È da notare tuttavia che il pagamento di un credito anteriore, benché inopponibile agli altri creditori (art. 13, comma 4), impedisce la composizione della crisi solo in caso di frode (art. 11, comma 5 e 14 bis, comma 1), come ritenuto da Cass. civ. Sez. I, 11/04/2016, n. 7066, in tema di concordato preventivo, anche se risulta di per sé penalmente sanzionato dall’art. 16, comma 1, lett. d).
[8] Il comma 81 della legge in questione prevede anche che “Per il rilascio dell’immobile il concedente puo’ agire con il procedimento per convalida di sfratto di cui al libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura civile”. Ed i relativi provvedimenti potranno essere coattivamente eseguiti anche in pendenza di procedura di sovraindebitamento, perché non si tratta di esecuzione “sul patrimonio del debitore” [art. 10, comma 2, lett. c) ed art. 12bis, comma 2 legge n. 3/2012].
[9] Con ogni probabilità si tratta di una delle innumerevoli sviste, essendo più coerente riferirsi al decreto di cui al comma 1.
[10] La notificazione o l’accettazione della cessione non può più avvenire, perciò, dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo, com’era invece prima possibile (Cass. civ., Sez. III, 03/12/2002, n. 17162).
[11] Tra le poche eccezioni, e con riferimento al concordato preventivo, cfr. Trib. Prato Decreto, 23/09/2015, in Fallimento, 2016, 5, 587, con nota contraria di Cederle.
[12] Da ultimo Cass. civ. Sez. I, 28/01/2015, n. 1625.
[13] Ossia quello stesso che delega al Governo, tra l’altro, di “sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati con espressioni equivalenti, quali «insolvenza» o «liquidazione giudiziale»” (art. 2, comma 1, lett. a).
[14]http://www.siastudioitalia.it/il-tribunale-di-siracusa-omologa-piano-del-consumatore-revoca-cessione-del-5-dello-stipendio/
[15] L’accessorietà della garanzia non può giustificare di per sé neppure la riduzione della cessione nei limiti del soddisfacimento previsto in sede concorsuale, dato che restano operanti le fideiussioni (art. 11, comma 3 e 12ter, comma 3).
[16] Cass. civ. Sez. I, 31/10/2016, n. 22045, in Fallimento, 2017, 1, 15, con nota adesiva di Spiotta.
[17] In Fallimento, 2016, 11, 1217, con nota critica di Falagiani.
[18] Non essendo prevista (come in caso di fallimento: art. 72) la possibilità di subingresso nel preliminare di vendita di beni che fanno parte del “patrimonio di liquidazione”, non dovrebbe potersi ipotizzare che il liquidatore vi dia corso, con conseguente cancellazione dell’ipoteca (art. 14novies, comma 3) e soddisfacimento della banca sul ricavato (compreso l’importo eventualmente ricevuto prima), per quanto vile possa essere il corrispettivo, siccome ritenuto da ultimo (in palese violazione della ratio dell’art. 108, comma 2 l.f.) da Cass. civ. Sez.I, 08/02/2017, n. 3310.
[19] Decreto 13.12.2016.
[20] Trib. Verona 20/07/2016, in Quotidiano giuridico 15/11/16, 19 ss. Al tasso fisso medio dei mutui immobiliari dell’epoca (3%), ciò equivale ad una riduzione di valore del 42,45%.
[21] Così da ultimo Cass. civ. Sez. I, 28/06/2002, n. 9488.
[22] Questo riferimento e la previsione di rimborso alla, non meglio precisata, “scadenza” dovevano far escludere che la scadenza dovesse (necessariamente) coincidere con la morte del finanziato: non si capisce perciò quale quadro normativo stesse analizzando Mazzeo, Il prestito vitalizio ipotecario nella Finanziaria 2006, in Obbl. e Contr., 2006, 4, 367.
[23] I guai non sono mai derivati da mancanza, ma solo da eccesso di normative.
[24] E non quindi per pattuizione, sulla quale ci si interroga se debba avere la conseguenza indicata nel testo: Cian-Trabucchi, Commentario breve al codice civile12, Padova, 216, sub art. 2855, III.12.
[25] Chianale, L’inutilità dell’ipoteca nel “prestito vecchietti”, in Notariato, 2016, 4, 358.
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