Eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata.
Questa la massima desumibile dall’arresto giurisprudenziale in commento, con cui la Suprema Corte, VI sez. civ. -1, Pres. Genovese – Rel. Iofrida (ordinanza n. 2435 del 4 febbraio 2020), cassando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, ribadisce dei principi già consolidati, in merito all’onere della prova e alla prescrizione nell’ambito dei rapporti di conto corrente bancario, oltre a soffermarsi sul tema della ricostruzione dei rapporti bancari che presentino documentazione lacunosa.
La vicenda processuale, nel merito, vedeva da un lato un correntista attore che lamentava il pagamento di indebiti per via di presunti tassi ultralegali praticati dall’istituto bancario, chiedendone la ripetizione; dall’altro, la Banca che eccepiva l’intervenuta prescrizione decennale, propugnando la natura solutoria delle rimesse in conto corrente. Sia il Tribunale di Lanciano, giudice di prime cure, che la Corte territoriale accoglievano le richieste attoree.
In primo grado il Tribunale dichiarava la nullità parziale delle clausole inserite nelle condizioni generali di contratto di conto corrente (relative alla determinazione degli interessi ultralegali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi ed alla determinazione della commissione di massimo scoperto e all’illegittimità del meccanismo di calcolo dei giorni di valuta), condannando l’istituto a ripetere quanto percepito indebitamente e quantificato nella ctu, il tutto oltre interessi legali a partire dal giorno di chiusura di ognuno dei due rapporti di conto corrente.
In secondo grado la Corte, tralasciando le argomentazioni dell’istituto di credito circa prescrizione e onere della prova, confermava quasi integralmente la sentenza del primo grado, rideterminando soltanto il dies a quo da cui far decorrere gli interessi legali, che veniva individuato nel momento della domanda giudiziale in luogo del momento di chiusura dei rapporti, come invece statuito nella sentenza del primo grado.
Il correntista proponeva ricorso in Cassazione per ivi sentir dichiarare il vizio della sentenza della Corte territoriale sul punto della decorrenza degli interessi.
Spiegava ricorso incidentale la Banca, articolato in tre motivi:
- la Corte di merito aveva considerato provata la ricostruzione dell’andamento dei rapporti di conto corrente nonostante quanto eccepito in ordine ad alcune lacune, di rilievo, negli estratti conto prodotti dalla parte attrice che, essendo azione in ripetizione di indebito, era a ciò onerata;
- la Corte d’ Appello aveva riversato sulla banca l’onere di provare la natura solutoria delle rimesse in conto corrente, ai fini della decisione sulla decorrenza della prescrizione decennale;
- La decisione della Corte territoriale era viziata da omesso esame su un fatto decisivo, rappresentato dalla mancata ammissione di un rinnovo della consulenza tecnica contabile, come richiesta dalla banca al fine di dare prova delle rimesse solutorie.
La Suprema Corte, dichiarato preliminarmente infondato il ricorso del correntista, considerato che gli interessi si fanno decorrere dalla data del pagamento solo in caso di mala fede dell’accipiens, si sofferma sui motivi di ricorso esposti dalla Banca, ritenuti fondati, e coglie l’occasione per ribadire importanti punti fermi in materia. La Corte infatti, oltre alla massima in epigrafe, precisa che:
- quando sia il correntista ad agire per l’accertamento giudiziale del rapporto, chiedendo la restituzione di eventuali indebiti, deve farsi carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto al fine di dimostrare sia gli avvenuti versamenti che la mancanza della causa debendi, gravando su di lui, in quanto attore, l’onere della prova;
- quando gli estratti conto sono incompleti, si può fare ricorso ad altri documenti, mezzi di prova o fonti di cognizione come la ctu contabile, assumendo come dato di partenza il saldo risultante dal primo estratto conto disponibile;
- in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione dell’istituto di credito convenuto in un’azione di accertamento negativo del credito con richiesta di ripetizione, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte.
Orbene, la Corte territoriale ha errato perché, come ben rilevato dalla Banca, ha ritenuto provato l’andamento del rapporto così come determinato in ctu, senza spiegare perché avesse aderito a tale ricostruzione operata dal tecnico, che partendo da un saldo negativo (il primo rilevabile dall’estratto conto cronologicamente più risalente), era arrivato a determinare un saldo a favore del correntista. Inoltre aveva invertito l’onere della prova, ritendo che gravasse sull’istituto di credito l’onere di provare la natura solutoria dei singoli pagamenti, contrariamente a quanto statuito dalla giurisprudenza degli Ermellini che, non solo pongono a carico del correntista attore l’onere di dimostrare che si tratta di versamenti utili a reintegrare la provvista di conto corrente, ma precisa come sia sufficiente per la banca convenuta che eccepisca la prescrizione, affermare l’inerzia del cliente e dichiarare di volerne profittare, come nel caso di specie era avvenuto.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE – RIPETIZIONE INDEBITO C/C: NON NECESSITA DELL’INDICAZIONE DI SPECIFICHE RIMESSE SOLUTORIE
L’ONERE DI ALLEGAZIONE IN CAPO ALLA BANCA È SODDISFATTO CON L’AFFERMAZIONE DELL’INERZIA DEL TITOLARE DEL DIRITTO
Sentenza | Cassazione civile, Sez. Unite, Pres. Tirelli – Rel. Sambito | 13.06.2019 | n.15895
RIPETIZIONE INDEBITO: IL CLIENTE CHE AGISCE NON PUÒ ELUDERE I PRINCIPI IN MATERIA DI ONERE DELLA PROVA
LA MANCANZA DI CONTINUITÀ DEGLI ESTRATTI CONTO RENDE INDETERMINABILE IL SALDO DI PARTENZA DEL COMPUTO
Sentenza | Corte d’Appello di L’Aquila, Pres. Iannaccone – Rel. Penzavalli | 02.10.2019 | n.1564
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