ISSN 2385-1376
Testo massima
In pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 lf e cioè rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell’esito negativo del concordato preventivo.
La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, né ne consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente soltanto la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 lf; il procedimento, pertanto, può essere istruito e può concludersi con un decreto di rigetto.
Tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 cpc, se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39, comma 2, cpc in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi.
La domanda di concordato preventivo sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.
In tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda, il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e l’impugnazione può essere proposta anche formulando solo censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo.
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 15 maggio 2015, n. 9935/15 intervenuta in merito alla nota questione dei rapporti tra fallimento e concordato preventivo.
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte, era accaduto che il Tribunale di Venezia aveva dichiarato il Fallimento di una srl e con separato decreto, reso in pari data, aveva dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo con riserva formulata dalla società, osservando che la proposta era priva di petitum e causa petendi.
La Corte di Appello di Venezia aveva annullato il decreto del Tribunale e revocato il Fallimento della S.r.l., affermando l’ammissibilità del ricorso ex art. 161 comma 6, lf.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, il fallimento della S.r.l. proponeva ricorso per Cassazione e, con ordinanza interlocutoria, venivano rimessi gli atti al Primo Presidente con riferimento alla questione del rapporto tra i procedimenti di concordato preventivo e di fallimento, già in precedenza rimessa all’esame delle Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza interlocutoria del 30 aprile 2014, stante il potenziale contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1521 del 23.01.2013.
In particolare, la curatela ha censurato la sentenza della Corte di Appello, osservando come la proposizione della domanda di concordato non faccia venir meno automaticamente la possibilità di dichiarare il fallimento, poiché al tribunale deve essere riconosciuto il potere di bilanciare gli opposti interessi, coordinando quello del debitore, che chiede di essere ammesso al concordato preventivo, con gli interessi sottostanti alla procedura fallimentare.
Orbene, la Corte di Cassazione, nel ripercorrere i diversi orientamenti intervenuti sul tema, prende le mosse dalla sentenza n. 1521 del 23.01.2013, che aveva affrontato la questione dei rapporti tra procedimento prefallimentare e procedimento di concordato preventivo, sotto il peculiare profilo della necessità o meno di attendere la definizione dell’impugnazione, avverso il diniego di omologazione del concordato, prima di dichiarare il fallimento.
Viene evidenziato come la motivazione, seguita nell’occasione dalla Corte, avesse condotto a negare in assoluto la permanenza nel nostro ordinamento del c.d. principio di prevenzione.
Vengono così riportati alcuni passaggi della suddetta sentenza ed, in particolare, le considerazioni secondo cui la sospensione è”un istituto eccezionale che incide in termini limitativi rispetto all’esercizio del diritto di azione, e che, pertanto, può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (C03/14670). Il vigente codice di rito esclude casi di sospensione discrezionale e non prevede inoltre casi di sospensione impropria o atecnica. Al contrario, deve invece ritenersi che il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggi come un fenomeno di consequenzialità (eventuale del fallimento all’esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti. Ne consegue ulteriormente che la facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, che non potrebbe comunque “disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare“.
Rileva, poi, la Corte come il superamento del principio di prevenzione (di prevalenza del concordato preventivo) e la affermata sussistenza di una mera esigenza di coordinamento tra la procedura di concordato preventivo e quella prefallimentare non siano stati condivisi dalla citata ordinanza interlocutoria del 30 aprile 2014, secondo cui la perdurante vigenza del predetto principio sarebbe ricavabile dal sistema, il quale attribuisce al concordato preventivo la funzione di prevenire il fallimento attraverso una soluzione alternativa basata sull’accordo del debitore con la maggioranza dei creditori.
Tale funzione preventiva comporterebbe sia che, prima di dichiarare il fallimento, debba necessariamente essere esaminata l’eventuale domanda di concordato presentata dal debitore, per far luogo, poi, alla dichiarazione di fallimento solo in caso di mancata apertura della procedura minore, sia che, una volta aperta quest’ultima ai sensi dell’art. 163 lf, il fallimento non possa più essere dichiarato sino alla conclusione di essa in senso negativo, ossia con la mancata approvazione ai sensi dell’art. 179, il rigetto ai sensi dell’art. 180, u.c., ovvero la revoca dell’ammissione ai sensi dell’art. 173 lf.
La Corte illustra, poi, le disposizioni di legge su cui, secondo la predetta ordinanza, le indicate conclusioni troverebbero conferma ed, in particolare: l’art. 182, l’art. 180 u.c., l’art. 173 e l’art. 161, comma 10, lf.
A questo punto, la Corte procede all’esame degli argomenti in precedenza indicati, escludendo, in primis, che la soluzione delle questioni in tema di rapporti tra la procedura prefallimentare e quella di concordato preventivo possa essere influenzata dall’eliminazione dell’inciso già contenuto nell’art. 160, comma 1, lf (“fino a che il suo fallimento non è dichiarato”), ritenendo essere tuttora evidente che l’imprenditore può presentare domanda di concordato preventivo soltanto “fino a che il suo fallimento non è dichiarato“, e che per l’assenza di un effetto prenotativo, la presentazione di una istanza di fallimento non preclude all’imprenditore la possibilità di presentare domanda di concordato.
Del pari irrilevante, al fine di affermare il superamento del principio di prevenzione, è, ad avviso della Corte, l’abrogazione del Fallimento d’ufficio e la diversificazione dei presupposti delle due procedure, non essendo con lo stesso incompatibili.
La Corte, dunque, rileva che, anche se dopo la riforma, è necessaria l’istanza dei creditori o la richiesta del pubblico ministero, resta fermo che la dichiarazione di fallimento, nelle ipotesi previste dagli artt. 162, 173, 169 e 180 lf, presuppone rispettivamente l’inammissibilità della domanda di concordato, la revoca dell’ammissione alla procedura, la mancata approvazione della proposta e la mancata omologazione e, perciò, sempre, il previo esaurimento del procedimento di concordato.
La Corte, tuttavia, pone il quesito se le disposizioni in esame rappresentino o meno il momento di emersione a livello normativo della possibilità di dichiarare il Fallimento solo dopo l’esaurimento della procedura di concordato e, quindi, della scelta del legislatore quanto all’ordine di trattazione delle procedure.
Delineato un quadro sulla funzione del concordato e sui caratteri di tale strumento di soluzione alternativa della crisi, si afferma da, una parte, l’esigenza di individuare un ordine di trattazione delle procedure, dall’altra la verosimiglianza dell’ipotesi che l’ordine indicato dagli artt. 162, 173, 169 e 180 lf sia espressione di un principio generale.
In tal senso, la Corte osserva come la dichiarazione di fallimento, in pendenza della procedura di concordato e su istanza di u creditore, finirebbe incomprensibilmente per rendere irrilevante il procedimento di approvazione della proposta di concordato, persino nel caso di una approvazione già intervenuta, attribuendo rilievo alla contraria volontà anche di un solo creditore, con ciò volendo dire che, invece, il creditore contrario all’approvazione del concordato o alla sua omologazione non sembra poter sfuggire al carattere vincolante ed universale della procedura di concordato con la semplice presentazione della istanza di fallimento.
Ed, infatti, ad avviso della Corte, sembra più coerente con il sistema ritenere che, finché, la procedura di concordato non ha avuto un esito negativo, il creditore che ha chiesto di regolare la crisi attraverso il fallimento, non può ottenere la relativa dichiarazione.
Da tanto la Corte di Cassazione fa conseguire il principio secondo cui, durante la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia in fase di approvazione o di omologazione, non può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare che si concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi da uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 lf.
Al riguardo, ad avviso della Corte, una conferma può trarsi nel decimo comma dell’art. 161 lf, che disciplina l’ipotesi della presentazione di una domanda di concordato con riserva, nel caso in cui penda il procedimento per la dichiarazione di fallimento, dettando due disposizioni. Secondo la prima resta fermo “quanto disposto dall’art. 22, primo comma” e cioè il fatto che “il tribunale che respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento, provvede con decreto motivato“; ne conseguirebbe che la presentazione della domanda di concordato con riserva non esclude la possibilità di respingere il ricorso eventualmente pendente per la dichiarazione di fallimento, ma, a contrario, si deve escludere che sia possibile la dichiarazione di fallimento.
La seconda disposizione dettata dal citato art. 161, comma 10, prevede che il termine per la presentazione della proposta sia quello minimo di sessanta giorni, senza possibilità per il tribunale di stabilirlo, come accade in assenza della pendenza di un procedimento per la dichiarazione di fallimento, tra un minimo di sessanta giorni ed un massimo di centoventi.
La Corte afferma, pertanto, come sia evidente che la presentazione di una domanda di concordato in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento non sospende e neppure rende improcedibile la procedura prefallimentare, che può proseguire nella sua istruttoria e può concludersi con una pronunzia di rigetto. Aggiunge, tuttavia, come non sia possibile, invece, la dichiarazione di fallimento, che priverebbe di senso l’assegnazione non discrezionale del termine di sessanta giorni per la presentazione della proposta di concordato, allo scopo di prevenire la dichiarazione di fallimento.
La conclusione nel senso della possibilità di dichiarare il fallimento solo dopo l’esaurimento con esito negativo della procedura di concordato troverebbe, poi, ulteriore conferma nella disposizione dettata dall’art. 69 bis, comma 2, lf, che nel computare il periodo sospetto a far tempo dalla data di pubblicazione della domanda di concordato, esprimerebbe la preoccupazione del legislatore di evitare che i creditori possano subire un danno per il ritardo nella dichiarazione di fallimento, derivante dalla necessità del previo esame della domanda di concordato.
La Corte conclude affermando la necessità non solo di un coordinamento tra le procedure, ma anche del fatto che tale coordinamento avvenga assicurando il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo.
A questo punto, la Corte procede a valutare come la soluzione accolta possa avere concreta attuazione e come la stessa possa fronteggiare eventuali abusi del debitore.
Il principio da attuare è quello della necessità del preventivo esame della domanda di concordato e della dichiarabilità del fallimento solo al verificarsi di uno dei possibili esiti negativi del concordato preventivo previsti dagli articoli 162, 173, 179 e 180 lf.
Vengono esclusi gli strumenti della sospensione e della dichiarazione di improcedibilità della procedura prefallimentare.
La soluzione viene ricercata attraverso l’esame del rapporto tra i due procedimenti, assumendo rilievo la parziale coincidenza dei soggetti, la coincidenza della causa petendi, la parziale coincidenza del petitum e, posta l’ampiezza del concetto di continenza adottato dalla Corte di Cassazione, viene rinvenuta nella possibilità di riunire i due procedimenti ai sensi dell’art. 273 cpc, quando gli stessi pendono davanti allo stesso giudice, o nell’art. 39, comma, 2, cpc, quando i procedimenti pendono davanti a giudici diversi.
Infine, viene affrontata la questione dell’abuso della domanda di concordato, allorquando il debitore presenti domanda di concordato con una mera finalità dilatoria.
La Corte precisa che, in tale ipotesi, quando cioè lo scopo del debitore non è quello di regolare la crisi dell’impresa, attraverso un accordo con i suoi debitori, ma quello di differire la dichiarazione di fallimento, la proposta di concordato si deve considerare inammissibile, secondo i principi affermati dal questa Corte in tema di abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.
In caso di abuso della domanda di concordato, il Tribunale potrà, pertanto, procedere alla dichiarazione di inammissibilità della proposta ed alla dichiarazione di fallimento, rispettando così, anche in questo caso, il principio che vuole l’esaurimento della procedura di concordato prima della dichiarazione di fallimento e senza che possa configurarsi eccezione alla regola della deducibilità, in sede di impugnazione della dichiarazione di fallimento, degli eventuali vizi relativi alla declaratoria di inammissibilità della proposta.
In conclusione, la Corte ha affermato i seguenti principi di diritto:
In pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 lf e cioè rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell’esito negativo del concordato preventivo.
La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, né ne consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente soltanto la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 lf; il procedimento, pertanto, può essere istruito e può concludersi con un decreto di rigetto.
Tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 cpc, se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39, comma 2, cpc in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi.
La domanda di concordato preventivo sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.
In tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda, il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e l’impugnazione può essere proposta anche formulando solo censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 326/2015