I vertici della banca, e nella specie i presidenti del consiglio di amministrazione, data la loro specifica competenza e professionalità, debbano essere ritenuti i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di usura, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all’interno dell’istituto che non esonera i vertici dall’obbligo di vigilanza e controllo della osservanza delle disposizioni di leggi, segnatamente in tema di superamento del tasso soglia.
Tuttavia, sebbene i soggetti in posizione apicale abbiano un dovere di informazione particolarmente penetrante sulla normativa esistente, tale da rendere ardua la configurabilità in loro favore della scusabilità dell’ignoranza e dell’inevitabilità dell’errore, nel caso di superamento della soglia dovuta all’inclusione della commissione di massimo scoperto nei costi rilevanti per la determinazione del tasso effettivo, la stessa formulazione dei decreti ministeriali di rilevazione trimestrale dei tassi medi, all’epoca (antecedente all’innovazione introdotta dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, comma 1, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), non teneva conto della suddetta commissione di massimo scoperto, come peraltro suggerito dalla circolare della Banca d’Italia del 30/9/1996, rendendo perciò scusabile l’errore che aveva determinato il superamento della soglia.
Per i vertici, ovvero per i legali rappresentanti dell’istituto bancario, non è sufficiente la dimostrazione che costoro, colposamente, non abbiano controllato l’esatta osservanza delle regole, ma è necessario che abbiano ricevuto segnali precipui della pratica usuraria e non l’abbiano impedita.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Cosenza, Sez. G.I.P. – G.U.P., Giudice Francesco Luigi Branda, con l’ordinanza del 21.12.2018.
Con la pronuncia de qua, emessa a scioglimento della riserva assunta nella camera di consiglio del 26 novembre 2018 ex art. 406 c.p.p., il Giudice si è pronunciato relativamente al procedimento penale avviato nei confronti di due soggetti indagati del reato di usura di cui all’art. 644 c.p. nella loro qualità di presidenti del consiglio di amministrazione della banca.
In particolare, il P.M. aveva avanzato richiesta di archiviazione e le persone offese avevano proposto opposizione sulla base dell’assunto che gli indagati avrebbero concorso nel prospettato reato di usura nella loro qualità di presidenti del consiglio di amministrazione della banca, al pari dei funzionari che in concreto avevano concluso il contratto di mutuo a SAL (stato di avanzamento lavori).
In senso opposto, la difesa degli indagati aveva, invece, escluso la riferibilità della condotta ai vertici, del tutto ignari dello specifico contratto concluso dalla base.
Il Giudice, nell’affrontare la questione, si è preoccupato di verificare quali soggetti, inseriti nell’organigramma aziendale della banca, siano chiamati a rispondere penalmente della condotta prefigurata
Al riguardo, il G.I.P. ha rappresentato che il reato di usura, data la sua connotazione dolosa, richiede la consapevolezza della condotta posta in essere e la volontà di realizzarla, quantomeno a livello di accettazione del rischio che le condizioni contrattualmente stabilite possano comportare per il cliente un costo, in termini di interessi e oneri compresi nel tasso effettivo, superiori alla soglia usuraria.
Ciò induce, dunque, a ritenere che, a fronte della oggettiva integrazione della condotta usuraria, siano sicuramente responsabili i soggetti che hanno controfirmato il contratto in nome e per conto della banca o provveduto alla riscossione del finanziamento.
Tuttavia, il Tribunale non ha omesso di evidenziare che si sono formati, sul punto, orientamenti giurisprudenziali divergenti.
In particolare, secondo la tesi prevalente, il funzionario a cui viene demandato il compito di concedere prestiti, dinanzi alla indicazione o direttiva che imporrebbe la stipula a tassi usurari, ha il dovere di astenersi per non incorrere nel concorso in usura; se non l’osserva, non può celarsi dietro l’ordine che in ogni caso sarebbe illecito o prospettare la sua buona fede, data la sua qualità di operatore professionale che gli permette sempre di sindacare il mandato ricevuto.
Secondo l’orientamento minoritario, invece, i direttori di filiale – che effettivamente procedono a concedere il prestito o a riscuotere i ratei – qualora sia comunque oltrepassato il tasso soglia, non concorrono al reato di usura poiché agli stessi non è demandato il compito di fissare i tassi di interesse e gli oneri che vengono poi applicati alla clientela.
Il G.I.P. del Tribunale di Cosenza ha, però, manifestato di aderire al primo dei succitati orientamenti ed ha rappresentato che, accertata la riferibilità della condotta usuraria all’esecutore materiale, ovvero al funzionario che procede alla pattuizione ed alla riscossione, sia opportuno verificare quali altri soggetti all’interno dell’istituto bancario in posizione gerarchica rispetto al funzionario che è intervenuto nella pattuizione o alla riscossione del prestito, possano concorrere nel reato.
Sul punto il G.I.P. ha richiamato la pronuncia della Suprema Corte, n. 46669 del 23 novembre 2011, con cui i giudici di legittimità hanno affermato che, almeno in astratto, nella condotta dei presidenti del consiglio di amministrazione possa essere ravvisato l’elemento soggettivo tipico del reato di usura, ancorché non abbiano concorso nella determinazione dei tassi.
Nella pronuncia richiamata è stato sancito che i vertici della banca, data la loro specifica competenza e professionalità, devono essere ritenuti i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di usura, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all’interno dell’istituto che non li esonera dall’obbligo di vigilanza e controllo della osservanza delle disposizioni di leggi in tema di superamento del tasso soglia.
In tal senso, anche in ipotesi di decentramento delle funzioni ad altri organismi, i presidenti, in caso di omesso controllo, sono chiamati a rispondere ai sensi dell’articolo 40, comma secondo del codice penale, per non aver impedito un evento che si ha l’obbligo di impedire, avendo in tal modo concorso a cagionarlo.
Tuttavia, è stato, altresì, affermato che nel caso di superamento della soglia dovuta all’inclusione della commissione di massimo scoperto nei costi rilevanti per la determinazione del tasso effettivo, la stessa formulazione dei decreti ministeriali di rilevazione trimestrale dei tassi medi, antecedentemente all’innovazione introdotta dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, comma 1, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, non teneva conto della suddetta commissione di massimo scoperto, come peraltro suggerito dalla circolare della Banca d’Italia del 30/9/1996, rendendo perciò scusabile l’errore che aveva determinato il superamento della soglia.
Alla luce delle suesposte argomentazioni e dei precedenti giurisprudenziali richiamati, il G.I.P., con riferimento al caso di specie, ha ritenuto indispensabili ulteriori investigazioni per le quali ha assegnato un termine di 120 gg..
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