Segnalazione e commento a cura dell’Avv. Matteo Pancaldi del Foro di Ferrara
Nel procedimento di reclamo ex art. 18 L.F., nel governo delle spese tra la fallita ed il suo fallimento, non v’è spazio per l’applicazione della regola della soccombenza. Non avrebbe alcun senso, infatti, una condanna della reclamante al pagamento delle spese in favore della curatela, dal momento che le risorse finanziare a ciò necessarie, se nella disponibilità (attuale ma anche futura) del fallito, sarebbero ex lege di pertinenza del fallimento, indipendentemente dall’esistenza di un titolo esecutivo ad hoc.
Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2146/2020, con cui la Corte, investita del reclamo ex art. 18 L.F. promosso dalla società avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, ha confermato da un lato il dovere del Tribunale di verificare la completezza e l’affidabilità della documentazione depositata a sostegno della domanda di concordato preventivo e, dall’altro, ha sancito l’inapplicabilità della regola della soccombenza nel rapporto relativo alle spese di lite tra la società fallita ed il suo fallimento.
I fatti di causa
A seguito del deposito dell’istanza di fallimento, la società debitrice depositava domanda di concordato preventivo in bianco ex art. 161 co. 6 L.F. Depositata la proposta, il piano e la documentazione, il Tribunale ne dichiarava l’inammissibilità, rilevando numerosi aspetti critici del piano e sottolineando l’insufficienza delle osservazioni svolte dal professionista attestatore, il quale si era limitato a ripetere, pedissequamente e parola per parola, quanto la proponente aveva esposto nel piano e nella proposta, senza effettuare alcuna analisi critica dei dati contabili riportati, con ciò venendo meno alla finalità legale dell’attestazione che è quella di consentire al Tribunale il proprio vaglio e al Pubblico Ministero e ai soggetti interessati (fra i quali i creditori estranei) di valutare, con consapevolezza, le conseguenze del concordato.
La decisione
La Corte d’Appello ripercorre in prima battuta la giurisprudenza di legittimità che impone al Giudice di garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura concorsuale, con particolare riferimento alla relazione del professionista attestatore, su cui è necessario un controllo specifico, concernente la congruità e la logicità della motivazione e il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati e il conseguente giudizio (Cass. Civ. SS. UU. 1521/13 e Cass. Civ. 13083/13 e Cass. Civ. 11423/14), al fine consentire ai creditori un’espressione libera e consapevole del voto (Cass. Civ. 7959/17).
All’esito della decisione, la Corte, nel liquidare le spese del giudizio, poneva a carico della società reclamante le spese del creditore istante, mentre compensava le spese tra reclamante ed il suo fallimento, risultando evidente che il fallito, ancorché non condannato al pagamento delle spese, ne sopporterà comunque le conseguenze, poiché le spese sostenute dalla curatela per la sua partecipazione al processo di reclamo graveranno sulla massa in prededuzione nella ripartizione dell’attivo, così riducendo l’eventuale attivo residuo da restituirgli alla chiusura del fallimento.
Confermata dunque la natura prededucibile del credito relativo alle spese legali della curatela sostenute nel giudizio ex art. 18 L.F., in quanto credito sorto in occasione della procedura, la sentenza offre lo spunto per poter rivedere brevemente anche la questione delle spese legali sostenute dal creditore istante, le quali, per giurisprudenza consolidata, hanno natura post-concorsuale, non prededucibile e non godono nemmeno dl privilegio di cui all’art. 2755 e 2770 c.c., in quanto ritenute non utili all’interesse della massa dei creditori e destinate alla conservazione dei beni del debitore già vincolati all’esecuzione concorsuale (ex multis Cass. Civ. n. 22725/2019; Cass. Civ. n. 1186/2006; C. App. Milano n. 4970/2017; Trib. Milano, 4 Maggio 2017 n. 4970; Trib. Roma, 9 Maggio 2007).
La giurisprudenza di legittimità è stabilmente orientata nel ritenere che il creditore ricorrente, seppur litisconsorte necessario nel giudizio di reclamo al pari della curatela (ex multis, Cass. Civ. n. 19691/2018), non sarebbe investito di alcun potere di rappresentanza della massa dei creditori, i cui interessi sono curati in via esclusiva dal curatore e dal giudice delegato; la ragione del litisconsorzio sarebbe quindi da ravvisare in una condotta anteriore l’apertura della procedura, in quanto il creditore istante è soggetto che ne ha dato impulso.
Secondo tale orientamento il creditore, nella fase di reclamo, non è portatore dell’interesse generale del ceto creditorio alla conservazione degli effetti del fallimento dichiarato, ma ha solo un suo specifico interesse a resistere, dal momento che l’eventuale revoca della sentenza potrebbe integrare un motivo di responsabilità nei suoi confronti, qualora dovesse risultare che la presentazione dell’istanza di fallimento abbia cagionato un danno ingiusto (v. anche Cass. Civ. 10795/2014 con riferimento al fallimento ex art. 147 L.F. in estensione).
Per tale motivo, il creditore istante può ottenere il rimborso delle spese di lite liquidate in sede di reclamo ex art. 18 L.F. solo nell’ipotesi, piuttosto remota, di chiusura della procedura e ritorno in bonis del debitore.
Una eventuale interpretazione estensiva, per tentare di attribuire natura prededucibile alle spese liquidate al creditore istante nel procedimento di reclamo ex art. 18 L.F., potrebbe eventualmente prospettarsi sulla scorta di quella giurisprudenza che riconosce già tale natura alle spese del creditore istante nella fase prefallimentare (Tribunale di Treviso 7 marzo 2017; Tribunale di Terni, 22 marzo 2012; contra Cass. Civ. 23 Dicembre 2016, n. 26949/2016, Tribunale di Napoli, 13 aprile 2018, n. 1039 che riconosce a tali spese il privilegio di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c. nonchè 95 c.p.c.); a ciò potrebbe inoltre aggiungersi il fatto che, nell’attuale vigenza della Legge Fallimentare, il credito potrebbe considerarsi sorto in funzione della procedura concorsuale ai sensi dell’art. 111, comma 2 L.F. come diretta conseguenza dell’istanza di fallimento promossa, sulla scorta di un concetto di funzionalità molto esteso che sembrerebbe rinvenirsi in qualche pronuncia della Corte di Cassazione (v. ad esempio Cass. Civ. 7974/2018; Cass. Civ. n. 12964/2018)
Tale interpretazione, tuttavia, dovrà inevitabilmente fare i conti con il Codice della Crisi e dell’insolvenza di prossima entrata in vigore, in quanto l’art. 6 del CCI attribuisce natura prededucibile ai “crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell’esercizio dell’impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi”, disposizione che, sul piano restrittivo, risulterebbe in grado di rendere inopponibili alla massa anche le spese sostenute dal creditore istante per promuovere il ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST RICHIEDI CONSULENZA© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno