ISSN 2385-1376
Testo massima
Nella nozione “ricavi lordi”, indicata dall’art. 1, secondo comma, lett. b), legge fall., quale limite alla fallibilità dell’imprenditore, i quali non devono superare l’importo di euro duecentomila annui nei tre esercizi precedenti al deposito dell’istanza di fallimento, vanno ricomprese le voci di cui all’art. 2425, lettera A, nn. 1 e 5 cod. civ., mentre devono esserne escluse le voci di cui ai nn. da 2 a 4, ed in particolare le variazioni delle rimanenze.
È quanto enunciato dalla Corte di cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n.28667 del 27 dicembre 2013, che ha cassato con rinvio la sentenza dichiarativa di fallimento di una società.
In altri termini, la Corte ha escluso dal computo dei “ricavi lordi”, di cui all’art.1, secondo comma, lett.b), le seguenti voci del “conto economico”, individuate dall’art.2425, lett.A) (“valore della produzione”) cc.:
“2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni“.
Secondo un’interpretazione aderente al dato testuale, invece, il Collegio ha ricompreso nei “ricavi lordi” le altre due voci della medesima normativa, e precisamente:
“1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;
5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio“.
La vicenda trae origine dalla sentenza, resa in primo grado, dichiarativa di fallimento di una SNC, poi confermata dalla Corte d’appello di Brescia, a seguito del reclamo proposto da uno dei soci della snc.
Motivo del reclamo era stata l’asserita non fallibilità dell’impresa costituita in forma collettiva, sulla scorta del disposto di cui all’art. 1, lett.b) l.fall, il quale ultimo dispone la non fallibilità dell’imprenditore che dimostri, unitamente al possesso dei requisiti di cui alle lettere a) e c) della medesima disposizione normativa, di “aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila“.
Orbene, la Corte di merito, premesso che uno dei bilanci prodotti non recava alcuna indicazione alla voce “ricavi”, aveva ritenuto di dover considerare, ai fini del calcolo di questi ultimi, non già quanto indicato come ricavi dalle vendite di merci, ma un ambito più ampio, vale a dire quello della macro-area di cui all’art. 2425 lett.A) cc, relativa al valore della produzione, che comprende, oltre ai ricavi per vendite e prestazioni, anche le variazioni delle rimanenze.
Proponendo ricorso per cassazione, il socio ha contestato proprio tale criterio di calcolo, evidenziando che le c.d. “rimanenze” sono costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi nel rispetto del principio della competenza economica ex art.2423 bis cc.
La Cassazione ha così affrontato la questione della esatta interpretazione della nozione di “ricavi lordi, specificando esattamente quali voci di bilancio vadano incluse nella generica enunciazione di cui all’art.1, comma secondo, lett.b) della legge fallimentare.
Per comprendere il campo di analisi della Corte, può essere utile fornire una definizione del termine “rimanenze”, che sta ad indicare l’insieme dei beni non durevoli, destinati alla produzione ed alla vendita, ma che si riferiscono a cicli produttivi non conclusi nell’esercizio di competenza e che, quindi, termineranno negli esercizi successivi, con la realizzazione dei successivi ricavi.
La lettera A), n.2) dell’art. 2425 cc, norma già citata in precedenza, fa più specificamente riferimento alle “variazioni delle rimanenze dei prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, che la stessa Cassazione definisce come la “differenza dei costi sospesi alla fine di due esercizi consecutivi“.
Alla luce di tale definizione, gli ermellini hanno nettamente bocciato l’interpretazione fornita dalla corte di merito, nella misura in cui nessun dato, né letterale né concettuale, può portare ad includere nei “ricavi lordi” di cui all’art.1, lett.b) l.fall. la variazione delle rimanenze:
– non il dato letterale, perché il legislatore, nel riferirsi ai “ricavi” non può che avere considerato gli stessi in senso tecnico, non potendosi ragionevolmente presumersi il contrario;
– non il dato concettuale, perché, come precisano i giudici di legittimità “nemmeno concettualmente” i costi comuni a più esercizi possono essere assimilati alla più ampia nozione di “proventi”, atteso anche che essi restano “sospesi” in attesa del conseguimento dei relativi ricavi, estranei all’esercizio di competenza.
Così argomentando, la Corte è giunta a negare alla radice la validità dell’interpretazione fornita dal Giudice d’appello, cassando la sentenza impugnata ed espressamente dettando il principio di diritto riportato in epigrafe.
Ha così fornito un importante chiarimento sull’irrilevanza dei c.d. “ricavi potenziali” (così la Corte d’Appello aveva definito le variazioni delle rimanenze) nella valutazione della sussistenza dei requisiti di fallibilità dell’imprenditore di cui all’art.1 l.fall.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 15/6/2011, ha rigettato il reclamo proposto da F.D. e confermato pertanto la sentenza dichiarativa di fallimento della ALFA s.n.c. di M. C. e F. D.
Nello specifico, e per quanto qui ancora interessa, va rilevato che la Corte del merito, quanto al requisito di non fallibilità sub art 1, lett.b) 1.f., premesso che il bilancio al 28/3/2008 non recava alcuna indicazione alla voce “ricavi” e che era stato prodotto in parte il libro inventari, ha ritenuto di dovere considerare per l’anno 2008 non già quanto indicato come ricavi dalle vendite di merci(euro 101. 959,97), ma l’ambito della macroarea di cui all’art. 2425 lett.A) c.c., relativa al valore della produzione, che comprende oltre ai ricavi per vendite e prestazioni, anche le variazioni delle rimanenze, da cui in concreto il superamento del limite di legge e la superfluità di ogni ulteriore valutazione.
Avverso detta pronuncia ricorre F.D., sulla base di un motivo.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.1.- Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1,comma 2,lett. b),1.f.; evidenzia che le rimanenze sono costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi nel rispetto del principio della competenza economica art. 2423 bis c.c., e che quindi per la nozione di ricavi lordi, di cui all’art.l, lett.b) 1.f. occorre rifarsi alle voci Al(ricavi vendite e prestazioni) e A5 (altri ricavi e proventi)del conto economico.
2.1.- Il motivo va accolto.
L’art.l, 2° comma, l.f., ai fini della non fallibilità, prevista per l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei requisiti di cui alle lettere a), b) e c), alla lett. b) prevede che l’imprenditore provi di “aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila”.
La Corte d’appello di Brescia ha individuato il parametro dei ricavi a cui fa riferimento l’art.l lett. b) l.f. nella macroarea di cui all’art. 2425 lett. p4), relativa al valore della produzione, comprensiva, oltre ai ricavi delle vendite e delle prestazioni, anche delle variazioni delle rimanenze, che, secondo il Giudice del reclamo, non sono altro che ricavi potenziali.
Tale argomentazione non può essere condivisa.
Il legislatore della riforma fallimentare, nella previsione del requisito di cui alla lett.b) dell’art.’ 1.f., deve ritenersi abbia fatto riferimento allo schema obbligatorio del conto economico, di cui all’art.2425, e, in particolare, al suo primo raggruppamento, sub lett.A).
Detto raggruppamento, oltre alle voci che rappresentano veri e propri ricavi (voci sub nn.1 e 5), prevede altre voci, tra cui, per quanto qui interessa, sub 2,”variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”.
Ciò posto, partendo dal rilievo di base,che il legislatore, nel riferirsi ai “ricavi” non può che avere considerato gli stessi in senso tecnico,non potendosi ragionevolmente presumersi il contrario, deve ritenersi di piana evidenza il riferimento ai “ricavi delle vendite e delle prestazioni” sub n.1, ed altresì la ricomprensione della voce sub n.5, “altri ricavi e proventi”, per l’assimilazione della seconda voce alla prima, trattandosi di componenti positive, quali ricavi accessori, dividendi, royalties, canoni attivi, sempre generati dall’attività d’impresa.
Non possono invece sommarsi le voci sub n.2, “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, e sub n.3, “variazioni dei lavori in corso su ordinazione”, che non possono essere considerate ricavi, nemmeno concettualmente assimilabili alla più ampia nozione di “proventi”, ma, come rilevato da attenta dottrina, rappresentano invece costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi in conformità al principio di competenza economica, ex art. 2423 bis c.c., per essere rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiranno i correlativi ricavi; e la variazione delle rimanenze determina la differenza dei costi sospesi alla fine dei due esercizi consecutivi.
E’ stato altresì chiarito da autorevole dottrina che la logica valutativa delle rimanenze e dei lavori in corso trova il suo fondamento nel rappresentare la corretta correlazione tra costi e ricavi, sì da non penalizzare economicamente l’esercizio in cui sono stati sostenuti i costi di acquisizione e/o produzione, a fronte di quelli in cui vengono realizzati i correlativi ricavi.
Per ragioni di completezza, si deve rilevare che anche la voce sub n.4), “incrementi di immobilizzazioni per lavori interni” non può essere ricompresa nei “ricavi”, valutabili ex art.l, lett. b) 1.f., non partecipando della natura propria di questi; va infine rilevato che, dalla presente disamina, esula la valutazione della potenzialità economica di impresa avente ad oggetto attività finanziaria, ai fini della valutazione del requisito di non fallibilità in oggetto.
3.1.- Il ricorso va pertanto accolto, e, cassata la sentenza impugnata, va disposto rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, la quale si atterrà al seguente principio di diritto:
“, Ai fini della verifica del limite di fallibilità di cui all’art.1, lett.b) 1.f., nei “ricavi lordi” vanno ricomprese le voci di cui all’art. 2425, lett.A),nn. 1 e 5, con esclusione delle voci da 2 a 4, e quindi, nello specifico, delle variazioni delle rimanenze.”
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, in data 13 novembre 2013
Il Consigliere est.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
OGGI 27 DICEMBRE 2013
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