ISSN 2385-1376
Testo massima
Non è corretto ravvisare una responsabilità per mala gestio dell’amministratore ogni volta che, alla stregua di un giudizio ex post, le sue scelte di strategia aziendale si siano rivelate errate.
Il discrimine tra la condotta diligente e la mala gestio dell’amministratore non può sostanziarsi nella verifica ex post dei rischi connessi ad una scelta imprenditoriale alla prova dei fatti sia risultata perdente; occorre invece accertare se l’amministratore, prima di prendere una certa decisione gestionale, abbia approfonditamente ed adeguatamente ponderato tutti i possibili e prevedibili profili di rischio ad essa connessi, ed abbia a tal fine apprezzato altresì tutti i dati e gli elementi di valutazione concretamente acquisibili nel caso specifico.
Questi i principi rimarcati dal Tribunale di Firenze, dott. Riccardo Guida, con l’ordinanza resa il 29 maggio 2015 a seguito dell’istruzione sommaria svolta nel procedimento cautelare in corso di causa (un giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita), promosso dalla Curatela fallimentare, con cui si chiedeva l’autorizzazione al sequestro conservativo dei beni di un amministratore della società fallita.
Muovendosi nell’alveo normativo della norma cardine sulla responsabilità degli amministratori e controllo dei soci, l’art. 2476 c.c., in cui si stabilisce, al comma I, che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”, il Tribunale toscano ha affrontato il tema della responsabilità degli amministratori nei confronti della curatela fallimentare, elaborando un metro di valutazione della responsabilità de qua ed avvicinandosi, almeno metodologicamente, al c.d. “business judgement rule“, parametro di valutazione ricorrente nelle elaborazioni giurisprudenziali statunitensi.
Rigettando il ricorso proposto dal Fallimento per insussistenza di fumus boni iuris (motivo ritenuto assorbente il periculum in mora), il Tribunale di Firenze ha ritenuto di escludere che la verifica giudiziale dei comportamenti dell’organo amministrativo di una società possa inoltrarsi nel campo delle sue scelte discrezionali che, evidentemente, per loro natura, possono essere caratterizzate, a seconda delle circostanze, anche da una non trascurabile componente aleatoria.
Proseguendo nel ragionamento, il Giudice ha evidenziato che il discrimine tra la condotta diligente e la mala gestio dell’amministratore non possa sostanziarsi nella verifica ex post dei rischi connessi ad una scelta imprenditoriale che alla prova dei fatti sia risultata perdente; occorre, piuttosto, accertare se l’amministratore, prima di prendere una certa decisione gestionale, abbia approfonditamente ed adeguatamente ponderato tutti i possibili e prevedibili profili di rischio ad essa connessi ed abbia a tal fine apprezzato altresì tutti i dati e gli elementi di valutazione concretamente acquisibili nel caso specifico.
Pertanto, secondo l’iter logico-giuridico seguito dal Giudice in tema di responsabilità degli amministratori di società, non è sufficiente, perché un amministratore sia considerato responsabile, prendere atto a posteriori dell’eccessiva aleatorietà di una certa strategia aziendale, dovendo svolgersi un giudizio approfondito che passi necessariamente attraverso la verifica del rispetto, da parte dell’organo amministrativo, delle regole comportamentali imposte dalla legge. Regole che debbono precedere l’adozione delle scelte imprenditoriali affinché, a prescindere dal loro effettivo risultato, appaiano al contempo diligenti, avvedute ed oculate, e, come tali, idonee a porre l’operato dell’amministratore al riparo da ogni ipotetica censura e responsabilità.
Testo del provvedimento
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