In tema di responsabilità professionale, incombe sul professionista l’onere di provare di aver tenuto una condotta conforme ai doveri di diligenza professionale concretamente esigibili, potendo inoltre contestare la richiesta del cliente provando la sussistenza delle particolari difficoltà tecniche ex art. 2236 c.c. che non gli hanno consentito – malgrado la scrupolosa attenzione – di adempiere in modo perfetto la propria obbligazione.
Una volta accertata la condotta colposa del professionista e, dunque, l’errore in cui lo stesso sia incorso in relazione ai citati criteri di diligenza, per affermarsi la responsabilità dell’avvocato è, altresì, necessario verificare sotto il profilo del nesso causale che l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo e, dunque, se, sostituendo la condotta negligente al comportamento dovuto, il danno, secondo criteri probabilistici, non si sarebbe verificato e il cliente avrebbe conseguito il risultato sperato, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta commissiva od omissiva del legale e il risultato derivatone (cfr. Cass. n. 12038/2017; n. 1984/2016; n. 17016/2015; n. 2638/2013; n. 6967/2006). Tale giudizio va compiuto secondo la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, a differenza che nel processo penale, ove vige la prova “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Novara, Giudice Lorena Casiraghi, con la sentenza n. 742 del 16 novembre 2023.
Oggetto del giudizio era la domanda risarcitoria svolta nei confronti di due legali difensori ai quali gli attori imputavano una responsabilità professionale per avere omesso ogni attività difensiva nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (riassunto) nell’ambito del quale, secondo la prospettazione attorea, erano rimasti contumaci a loro insaputa. Nello specifico, gli attori individuavano la condotta negligente dei difensori, in violazione degli obblighi di diligenza incombenti sul professionista ex art. 1176 c.c., nell’avere omesso di costituirsi nel giudizio riassunto precludendo loro la possibilità di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo opposto o comunque una sensibile riduzione degli importi rivendicati dalla società richiedente.
Per il Tribunale, la domanda nei confronti di uno dei due difensori doveva ritenersi respinta in quanto non adeguatamente provata la sussistenza di un mandato professionale nei confronti del medesimo.
In riferimento al secondo difensore, invece, gli attori non avevano l’onere di provare di avere dato incarico allo stesso di costituirsi nel giudizio riassunto, dovendosi questo ritenere insito nel mandato inizialmente conferito per l’introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ma era onere del difensore provare di avere sollecitato i propri clienti circa la propria intenzione di costituirsi in giudizio, informandoli delle conseguenze dell’omessa costituzione, e quindi provare che i clienti, prima della scadenza del termine per la costituzione, gli avevano revocato il mandato o comunque comunicato il proprio disinteresse alla costituzione in giudizio.
Tale prova non era stata in alcun modo fornita dall’avvocato, dal momento che, peraltro, l’unica teste dal medesimo indicata in atti ed escussa non aveva saputo riferire alcunché sul punto rendendo dichiarazioni del tutto generiche e irrilevanti.
Pertanto, la condotta del secondo legale non poteva ritenersi corrispondente ai canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c. richiestagli dalla natura della prestazione.
Tuttavia, nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto non provato il nesso di causalità tra la condotta colposa ascritta all’avvocato ed il danno lamentato dagli attori per effetto della definitiva esecutività del decreto ingiuntivo.
Secondo una valutazione di quello che sarebbe potuto essere l’esito del giudizio oggetto dell’incarico professionale stesso, in una sorta di “processo nel processo” (che obbliga il giudice della causa di responsabilità professionale “a giudizi ipotetici di tipo controfattuale- quale sarebbe stato l’esito della causa se non ci fosse stata negligenza ovvero omissione difensiva-” ed a rifare fittiziamente il processo mancato), il Giudice ha ritenuto che le allegazioni degli attori e le risultanze istruttorie non erano state sufficienti ad affermare che i danni lamentati dagli attori stessi erano stati conseguenza della condotta omissiva ascritta all’avvocato.
Nella specie, non erano stati allegati elementi tali da cui desumere la verosimile/probabile fondatezza delle ragioni di opposizione come richiamate nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
La domanda attorea è stata pertanto respinta in difetto di prova di quel nesso eziologico necessario tra la condotta omissiva del legale ed il risultato derivatone.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE AVVOCATO: PER ACCERTARE IL NESSO FRA OMISSIONE E EVENTO SI APPLICA IL CRITERIO DEL “PIÙ PROBABILE CHE NON”
IL CASO DELL’APPELLO PROPOSTO TARDIVAMENTE
Sentenza | Tribunale di Ferrara, Giudice Mauro Martinelli | 21.04.2020 |
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