LA MASSIMA
Ai fini della responsabilità disciplinare del giudice per inosservanza dell’obbligo di astensione, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n.109, ex art.2 comma 1, lett. c), non sono parti del processo esecutivo, nel senso postulato dall’art.51 cpc, comma 1, n.3, coloro che presentano offerte nella vendita forzata, se non dal momento in cui si manifesti un contrasto – ancorchè non formalizzato in opposizione agli atti esecutivi – in cui siano coinvolti e per il quale sia richiesto l’intervento regolatore del giudice dell’esecuzione.
IL CASO
Il dott. ROSSO all’epoca dei fatti Presidente del tribunale e attualmente giudice dello stesso tribunale, è stato sottoposto al giudizio della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, a seguito di azione disciplinare promossa dal Ministro della Giustizia, sul presupposto che, benchè legato al sig. GIALLO da un rapporto di debito/credito, relativo al contratto di locazione quadriennale stipulato con lo stesso in data 31 marzo 2003, non si sarebbe astenuto dallo svolgere la funzione di giudice dell’esecuzione in occasione delle vendite all’asta di due immobili avvenute in data 18 febbraio e 12 maggio 2004, in esito alle quali erano aggiudicati al sig. ROSSO.
Il magistrato, prosciolto in sede penale per insussistenza del reato contestato, è stato assoggettato a giudizio disciplinare da parte della Procura Generale presso la Corte di Cassazione per violazione dell’obbligo di astensione.
La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza del 3 ottobre 2011, ha assolto il magistrato “per essere rimasti esclusi gli addebiti”.
Avverso tale provvedimento il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per Cassazione.
LA MOTIVAZIONE
La sentenza in esame affronta il problema se l’illecito disciplinare sia ravvisabile anche nei casi in cui l’astensione sia giustificata per ragioni di grave convenienza, posto che l’art. 51 cpc, comma 2, la prevede come facoltativa, sicché non potrebbe essere qualificata come un obbligo di legge.
Sul punto la Corte ha osservato che nella vigenza del R.D.Lgs. n.511 del 1946, art.18, la giurisprudenza si era consolidata nel senso che, mentre nell’esercizio delle funzioni penali l’omessa astensione, d’obbligo anche ove ricorrano mere ragioni di convenienza (art.36 cpp, lett. H), integrava ex se una violazione dei doveri d’ufficio e, dunque, sanzionabile sul piano disciplinare, salvo che le circostanze del caso facessero escludere la concreta sussistenza dell’illecito, diversamente, nell’esercizio delle funzioni soggette al rito civile, ove la ricorrenza di mere ragioni di convenienza rende l’astensione facoltativa (art.51 cpc, comma 2), l’illecito disciplinare era configurabile solo ove l’omissione dell’atto avesse inciso in una situazione tale da rendere l’astensione indiscutibilmente opportuna, al fine di scongiurare sospetti di compiacenza o parzialità nei confronti della parte (cfr. Cass. Sez. un. 16 luglio 2009 n.16559).
A seguito dell’emanazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che ha introdotto il principio di tipicità dell’illecito disciplinare e che all’art.2 comma 1, lett. c), configura come illecito la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge, la Corte ha ritenuto che l’obbligo legale di astensione del magistrato non può essere circoscritto alle ipotesi contemplate dall’art.51 cpc, comma 1.
Tanto sul presupposto che esiste nell’ordinamento almeno una norma penale di portata generale, che punisce il comportamento del pubblico ufficiale il quale “in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto” ometta di astenersi procurando a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecando ad altri un danno ingiusto (art.323 cp), con la conseguenza che l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n.109 del 2006, art.2, lett. c), è configurabile per inosservanza dell’obbligo di astensione, oltre che nei casi contemplati dall’art.51 cpc, comma 1, anche nei casi in cui l’astensione è obbligatoria per qualsiasi pubblico ufficiale, senza che in ciò possa ravvisarsi un’attenuazione del principio di tipicità dell’illecito disciplinare del magistrato.
Alla luce di tale principio, la Corte – se da un lato – ha affermato che nella fattispecie delineata dall’art.51 cpc, comma 1, lett. c), fuori dei casi di rapporti obbligatori del magistrato con lo Stato o altro ente pubblico cui sia collegato per ragioni di residenza, o di utenza con azienda erogatrice di servizi pubblici, il contratto, anche di durata, con una delle parti del processo vale a costituire rapporti di debito o di credito, che rendono l’astensione del magistrato obbligatoria – dall’altro – ha ritenuto che l’offerente – ai limitati fini dell’applicabilità di tale norma – nella vendita forzata non è parte processuale. Conseguentemente un rapporto di debito o credito del magistrato con il partecipante alla gara non costituisce per il primo causa di astensione obbligatoria a norma dell’art.51 cpc, comma 1, lett. c).
Sul punto, infatti, se è vero che coloro che presentano offerte di acquisto nella vendita forzata sono portatori di interessi propri, meritevoli di tutela, è altrettanto vero che non generano conflitto con il principio della direzione (art.484 cpc: è richiamato l’art.175 cpc), e l’immutabilità del giudice (art.174 cpc).
Tali interessi, salvo il caso d’incapienza, non si contrappongono a quello dei creditori partecipanti all’espropriazione, a una sollecita e proficua liquidazione dei beni del patrimonio del debitore e neppure all’interesse del debitore, a che il bene sia venduto al prezzo più alto possibile, più di quanto ciò non avvenga nella contrattazione che precede una qualsiasi vendita, fuori del processo esecutivo.
Del pari, la Corte ha ritenuto che non sarebbero configurabili degli interessi sostanziali conflittuali, che si esprimerebbero nel processo, tra i diversi partecipanti alla gara, i quali sono interessati solo al regolare svolgimento di essa, come lo sono in una qualsiasi gara che si svolga davanti ad organi della pubblica amministrazione.
Tali interessi, infatti, si pongono su un piano giuridico sostanziale, ma non conferiscono ai partecipanti alla vendita la qualità di parte processuale, neppure in senso lato, se non dal momento in cui si manifesti un conflitto con altri soggetti della vendita forzata: momento, peraltro, che può anche precedere l’instaurazione di una formale opposizione agli atti esecutivi.
Viceversa l’obbligo di astensione sarebbe ravvisabile, per il giudice, per il commissionario, o per il notaio, l’avvocato o il revisore dei conti delegati alle operazioni di vendita – laddove ricorrano gli elementi materiali della fattispecie di cui all’art.323 cp.
Resta, dunque, affidata al prudente apprezzamento del capo dell’ufficio, e del magistrato assegnatario che chieda di avvalersi della facoltà di cui all’art.51 cpc, comma 2, la valutazione delle gravi ragioni di convenienza per astenersi, derivanti dal rapporto esistente tra il giudice dell’esecuzione e i singoli offerenti nella vendita forzata. Tuttavia il mancato esercizio di quella facoltà non configura l’illecito disciplinare.
Alla luce di tali presupposti, dunque, la Corte ha rigettato il ricorso, pronunziando il seguente principio: ai fini della responsabilità disciplinare del giudice per inosservanza dell’obbligo di astensione, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n.109, ex art.2 comma 1, lett. c), non sono parti del processo esecutivo, nel senso postulato dall’art.51 cpc, comma 1, n. 3, coloro che presentano offerte nella vendita forzata, se non dal momento in cui si manifesti un contrasto – ancorchè non formalizzato in opposizione agli atti esecutivi – in cui siano coinvolti e per il quale sia richiesto l’intervento regolatore del giudice dell’esecuzione.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno