Il giudice non viola la legge per errore inescusabile e attività interpretativa insindacabile nel momento in cui si discosta da un precedente, sia esso della Consulta o della Cassazione. Queste pronunce non sono fonti di diritto e come tali non vincolano il giudice. Nel momento in cui si discosta, però, deve fornire una motivazione adeguata e logica. Egli è sindacabile solo se la sua decisione, frutto di negligenza inescusabile, sconfina in un provvedimento abnorme. In ogni caso la mancanza di motivazione non comporta automaticamente la responsabilità del giudice se è possibile comunque comprendere la sua scelta interpretativa.
Questo il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, Pres. Mammone – Rel. Rubino, con la sentenza n. 11747 del 03.05.2019.
La vicenda processuale ha inizio con l’illecito commesso da un comune per occupazione illegittima, a cui ha fatto seguito l’espropriazione acquisitiva di un terreno di proprietà di due privati, danti causa dell’erede attore in giudizio. In primo grado, viene accertata l’esistenza di un’occupazione illegittima e l’irreversibile trasformazione del suolo occupato. Il giudice di secondo grado, pur confermando l’illecito, accoglie l’appello del Comune, poiché ritiene che il tribunale abbia “indebitamente sostituito alla domanda effettivamente proposta, di risarcimento danni per occupazione espropriativa, o acquisitiva, la diversa domanda di risarcimento per occupazione usurpativa, pronunciando in tal modo oltre i limiti del petitum”.
L’erede presenta ricorso in Cassazione, la quale cassa la sentenza e liquida il danno nella misura del valore venale del fondo. Questo perché, nelle more del giudizio, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma in base alla quale la Corte d’Appello ha quantificato il danno che pertanto deve essere stabilito nella misura equivalente al valore venale del bene.
Visto il mancato riconoscimento degli interessi dalla data dell’illecito non riconosciuto come occupazione usurpativa, l’erede presenta ricorso per revocazione, ritenuto inammissibile dalla Cassazione perché non si tratta di errore di fatto, ma di errore di diritto.
Terminati i mezzi di impugnazione, l’erede presenta ricorso per far valere “la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti, deducendo che essi fossero incorsi in grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile“.
I giudici di primo e secondo grado lo dichiarano inammissibile perché finalizzato a contestare un’attività d’interpretazione normativa.
Per cui, ricorre nuovamente in Cassazione e la causa, la cui parte convenuta stavolta è la Presidenza del Consiglio, viene rimessa alle Sezioni Unite per risolvere “una questione di massima di particolare importanza, concernente la individuazione del discrimine tra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile ed attività interpretativa insindacabile”.
L’esame degli Ermellini ha ad oggetto l’art 2 lett. a) della l. n. 117/1988 nella formulazione anteriore alla riforma del 2015. Rigettando il ricorso, la Cassazione fornisce importantissimi principi in tema di responsabilità del magistrato. In particolare precisa che se il giudice si discosta dalla giurisprudenza precedente nel pronunciare una sentenza non commette grave violazione di legge causata da negligenza inescusabile. Infatti, seppure la sentenza provenisse dalla Corte Costituzionale o dalla Cassazione, non sarebbe comunque una fonte di diritto, per cui egli non ne è vincolato. In questi casi è necessario piuttosto che il giudice fornisca una motivazione esaustiva, logica e ragionata della sua sentenza. Tuttavia, non sempre l’assenza di motivazione conduce a un giudizio di responsabilità anche se contraria all’orientamento interpretativo prevalente, se è comunque possibile comprendere e riconoscere la scelta interpretativa operata dal giudice.
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato, inoltre, che i casi sanzionabili non sono riconducibili al lavoro interpretativo consapevole, giustificato, diligente, professionale, ma si collocano in un terreno in cui l’attività svolta dal giudice, per la sua arbitrarietà e per il suo scollamento dalle categorie giuridiche, non può neppure più essere qualificata come frutto di interpretazione, come tale insindacabile, ma sconfina nell’invenzione, nell’abnormità, nel diritto libero. Per cui è ritenuto responsabile e la sua decisione sindacabile se il provvedimento è frutto di una negligenza inesplicabile, inescusabile, che si verifica quando l’errore ricade sulla individuazione, applicazione e significato della norma da applicare, di cui il giudicante non comprende il senso dal punto di vista semantico.
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