Il dovere del notaio – nell’accertamento dell’identità delle parti comparenti – non si esaurisce nella consultazione dei documenti d’identità, in quanto privi di forza certificatrice generale, ma richiede lo svolgimento di ulteriori attività idonee a consolidare la certezza del notaio della veridicità delle informazioni acquisite, che convincano, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’esatta dell’identità dei soggetti. Invero, la legge consente l’utilizzo dei fidefacienti, i quali svolgono il compito di attestare, nei confronti del notaio quale sia esattamente l’identità del costituito sconosciuto al pubblico ufficiale.
La procedura di accertamento dell’identità prevista dalla legge, fa capo esclusivamente al notaio, mentre tutte le attività poste in essere dalla banca sono tutte estranee a tale dovere e sullo stesso non incidenti; peraltro, tali attività possono essere svolte sulla base della sola documentazione d’identità perchè non è previsto per esse un dovere assoluto di certezza che, invece, è imposto al notaio al momento del rogito dell’atto pubblico.
Se dagli atti pubblici redatti dal notaio depositati in giudizio non emerga alcuna ulteriore attività svolta dallo stesso ai fini dell’accertamento delle attività identificative, che vada oltra la mera consultazione delle carte d’identità, tali risultanze non sono suscettibili di essere rettificate o integrate per via testimoniale con l’espletamento dell’istruttoria orale.
Questi i principi espressi dal Tribunale Pescara, dott. Sergio Casarella, con la sentenza n. 1476 pubblicata il 02.09.2015.
Nel caso di specie, la banca chiedeva l’accertamento della responsabilità del notaio con condanna al risarcimento del danno, per aver rogato un atto di compravendita le cui parti si erano falsamente sostituite ad altre, non avendo, il notaio, proceduto alla loro identificazione.
La banca dunque chiedeva la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno a seguito della sospensione della procedura esecutiva dopo aver appreso la pendenza del processo penale nei loro confronti.
L’ordinamento notarile del 1913 prevedeva, nella sua originaria formulazione, all’art. 49 della legge n. 89 del 1913, che il notaio dovesse essere “personalmente certo” dell’identità personale delle parti.
Si sosteneva, in sintesi, che il notaio poteva provare la personale certezza dell’identità delle parti soltanto provando la pregressa conoscenza delle stesse.
Sicché, la relativa menzione non era espressione di un giudizio soggettivo, ma un’attestazione di conoscenza; con l’effetto che affermare di essere personalmente certo dell’identità delle parti, senza averle in precedenza personalmente conosciute, comportava la falsità dell’attestazione, con conseguenze di ordine penale, civile ed amministrativo (cfr. in proposito Cass. 20 giugno 1960, n. 1621).
Fu per rimediare a questo stato di cose e per adeguare gli obblighi del notaio alla mutata realtà giuridica, economica e sociale, che l’art. 49 della legge n. 89 del 1913 è stato sostituito dall’art. 1 della legge 10 maggio 1976, n. 333 che stabilisce: “il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell’attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.
Dall’attuale formulazione della norma è possibile desumere che:
1) il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti (l’elisione dell’avverbio “personalmente” lascia intendere che non è più necessario alcun pregresso rapporto di conoscenza tra la persona del notaio e le parti, ma che è invece soltanto necessario che il professionista si trovi nello stato soggettivo di certezza dell’identità personale delle parti);
2) tale certezza può essere raggiunta anche al momento dell’attestazione (inciso dal quale risulta ribadito l’intento del legislatore di escludere la necessità della pregressa conoscenza delle parti o della pregressa certezza della loro identità);
3) la certezza dell’identità personale delle parti può essere raggiunta dal notaio attraverso la valutazione di tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento (affermazione dal quale il legislatore della novella lascia inequivocabilmente intendere che la conoscenza personale delle parti è solo una delle ragioni in base alle quali il notaio può essere certo della loro identità, ma questa può essere desunta da una serie indefinita di elementi, che abbiano la caratteristica di essere idonei – “atti” – a formare il suo convincimento).
La modifica legislativa ha comportato risvolti giurisprudenziali sia in ambito penale che in ambito civile.
Nella giurisprudenza penale si afferma che, “qualora il notaio attesti nell’atto di autentica di essere certo della identità della persona, avendo accertato tale identità esclusivamente attraverso un documento esibito dalla parte, poi rivelatosi falso, si configura il delitto di falso ideologico in atto pubblico e il dolo consiste nella consapevolezza da parte del notaio di attestare, contrariamente al vero, di essere certo della identità della parte, mentre tale certezza non aveva assolutamente” (Cass. pen. 8 marzo 1979, n. 2239, De Napoli).
Così come nella giurisprudenza civile s’è stabilito che “la certezza del notaio intorno all’identità personale delle parti, in difetto di conoscenza personale, non può essere fondata sul solo esame di una carta d’identità, od altro documento equipollente, ancorché formalmente ineccepibile perché privo di segni esteriori che ne evidenzino la falsità, atteso che l’art. 49 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nel testo fissato dall’art. 1 della legge 10 maggio 1976, n. 333, prescrive che il notaio raggiunga un sicuro convincimento in proposito (anche al momento dell’attestazione) con la valutazione di “tutti gli elementi” all’uopo idonei, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti, e che, pertanto, ove manchino altri elementi, sia pure di tipo presuntivo, idonei a corroborare le risultanze della carta d’identità, l’esame di quest’ultima non può ritenersi sufficiente all’osservanza del suddetto obbligo professionale, trattandosi del resto di documento d’identificazione a fini di polizia, privo di forza certificatrice generale” (Cass. civ. 17 maggio 1986 n. 3274).
L’analisi della disposizione normativa consente al Giudice di affermare, dunque, che “la “certezza” richiesta consiste in uno stato soggettivo del notaio fondato anche su presunzioni (cfr. sul punto la già citata Cass. 17 maggio 1986, n. 3274); nel senso che il professionista, che non conosce personalmente le parti, per potersi ritenere certo della loro identità personale, può trarre conseguenze da fatti a lui noti per risalire al fatto ignorato (l’identità personale)”.
Presunzioni che, anche in questo caso, per avere l’effetto di consolidare la certezza del notaio devono essere gravi, precise e concordanti, in analogia con quanto previsto dall’art. 2729 c.c.. Diversamente, il professionista dovrà far ricorso ai fidefacienti.
Tali principi non sono smentiti ad oggi e sono invero solidi nella logica argomentativa e nella coerenza con la ratio del testo di legge, sì da dover essere applicati anche nel caso concreto.
In sintesi, quindi, la procedura di accertamento riguarda o la conoscenza personale o il riscontro documentale, di più elementi, che convincano, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’esatta dell’identità del soggetto che viene costituito.
In alternativa la legge consente l’utilizzo dei fidefacienti, i quali svolgono solo il compito di attestare, nei confronti del notaio, quale sia esattamente l’identità del costituito sconosciuto al pubblico ufficiale.
Nel caso di specie, il notaio si limitava a dirsi certo dell’identità personale dei comparenti il cui convincimento si fondava esclusivamente sulla consultazione – diretta o delegata – dei documenti d’identità fotocopiati e poi rivelatisi falsi.
Il Tribunale ha pertanto espresso il seguente principio: “il dovere violato, con le peculiarità tipiche della procedura di accertamento dell’identità prevista dalla legge, fa capo esclusivamente al notaio, mentre tutte le attività poste in essere da altri soggetti (istruttoria del mutuo, finanziamento ecc.) sono tutte estranee a tale dovere e sullo stesso non incidenti; peraltro, tali attività possono essere svolte sulla base della sola documentazione d’identità perchè non è previsto per esse un dovere assoluto di certezza che, invece, è imposto al momento dell’atto pubblico.
E’ infatti indubbio che la banca – nell’istruire la richiesta di mutuo – ha certamente acquisito tutta la documentazione relativa all’immobile ed ai proprietari ed ai promittenti acquirenti, ma è altrettanto indubbio che tali accertamenti vengono svolti sulla base di documenti tratti dagli archivi ufficiali o da documentazione esibita dalla parti, senza che in nessun momento di tale procedimento si ponga l’esigenza di accertare l’identità dei soggetti interessati (con il fine di formare atti destinati a far fede fino a querela di falso), proprio perchè tale accertamento sarà svolto dal notaio al momento dell’atto pubblico, trattandosi di un’esigenza tipica ed esclusiva dell’atto pubblico”.
Ed ancora, l’omissione da parte della banca di svolgere una perizia estimativa non avrebbe alcuna efficacia causale rispetto all’insufficiente accertamento svolto dal notaio.
Inoltre, se dagli atti pubblici redatti dal notaio depositati in giudizio non emerga alcuna ulteriore attività svolta dallo stesso ai fini dell’accertamento delle attività identificative, che vada oltra la mera consultazione delle carte d’identità, tali risultanze non sono suscettibili di essere rettificate o integrate per via testimoniale con l’espletamento dell’istruttoria orale.
A conclusione di tale percorso argomentativo, il Giudice accoglie la domanda della banca, condannando il notaio e l’acquirente, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito dall’attrice.
Per altri precedenti si veda:
MUTUO: USI CIVICI SULL’IMMOBILE IPOTECATO, NOTAIO CONDANNATO
IL PUBBLICO UFFICIALE È NEGLIGENTE SE NON CONSULTA TUTTE LE BANCHE DISPONIBILI
Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott. Francesco Graziano | 03.10.2016 | n.10660
NELLA RELAZIONE PRELIMINARE DEVE INFORMARE NECESSARIAMENTE LA BANCA MUTUANTE
Sentenza | Cassazione civile, sez. seconda, Pres. Bucciante – Rel. Scarpa | 09.05.2016 | n.9320
MUTUO FONDIARIO: IL NOTAIO ROGANTE È TENUTO ANCHE ALLA CONSULENZA
L’INCARICO È RICOMPRESO NEL RAPPORTO DI PRESTAZIONE DI OPERA PROFESSIONALE
Sentenza Cassazione Civile, sezione terza Dott. VIVALDI – rel. Presidente 19-03-2015 n.5481
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno