Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale decorre non già dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.
Non viene a configurare, di per sè, un difetto di diligenza della parte che sia ignara dell’esistenza di un peso o di un vincolo gravanti sul bene compravenduto, il mero comportamento di mancata verifica in tal senso rispetto all’attestazione cui il pubblico ufficiale rogante è tenuto in forza degli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, integranti l’oggetto della sua prestazione d’opera professionale.
Nell’ipotesi di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno, siccome percepibile dallo stesso danneggiato, alla stregua di un metro di diligenza da quest’ultimo esigibile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista implicata, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione civile, sez. terza, Pres. Berruti – Rel. Vincenti, con la sentenza n. 3176 del 18.02.2016.
Nella fattispecie considerata, gli acquirenti di un immobile convenivano in giudizio i venditori per sentir dichiarare risolto il contratto di compravendita immobiliare intercorso tra le parti e condannare conseguentemente i convenuti alla restituzione del prezzo effettivo versato ed al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda, gli attori esponevano che l’immobile, nonostante fosse stato garantito come libero da pesi, era risultato, in realtà, gravato di ipoteca in favore del Banco nonchè pignorato in danno dell’originario proprietario dell’immobile e dante causa dei coniugi alienanti, in forza di acquisto avvenuto per atto del medesimo notaio.
Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali, nell’insistere per il rigetto della domanda attorea, deducevano di aver acquistato l’immobile senza che, al momento della compravendita, nulla fosse emerso in relazione all’esistenza di pesi o vincoli sul bene e chiedevano, quindi, di essere autorizzati a chiamare in causa, a titolo di manleva nel caso di declaratoria di risoluzione della compravendita, il precedente proprietario ed il notaio.
Autorizzata la chiamata in causa, rimaneva contumace l’originario proprietario dell’immobile e si costituiva in giudizio il notaio eccependo la prescrizione del diritto azionato nei suoi confronti ed invocando, comunque, la reiezione della domanda.
L’adito Tribunale di Matera dichiarava risoluzione del contratto di compravendita, condannando i convenuti alla restituzione in favore degli attori della somma di Euro 27.682,09, oltre accessori ed al pagamento delle spese di lite, condannando l’originario proprietario al pagamento in favore dei convenuti di tutte le somme da loro dovute agli attori e dichiarando, infine, la prescrizione dei diritti dei convenuti nei confronti del notaio.
Avverso la suddetta decisione proponevano impugnazione i venditori, con conseguente costituzione in giudizio degli originari attori acquirenti, degli eredi del notaio, nonchè (a seguito di integrazione del contraddittorio) del Fallimento dell’originario proprietario.
La Corte di Appello di Potenza dichiarava improponibile la domanda dei coniugi nei confronti del fallimento dell’originario proprietario e confermava nel resto la sentenza di primo grado, con condanna degli appellanti al pagamento delle spese del grado.
La Corte territoriale, sulla domanda proposta nei confronti del notaio (e poi dei suoi eredi), osservava che il termine decennale di prescrizione dell’azione di responsabilità professionale doveva necessariamente decorrere dalla data di stipulazione dell’atto.
I venditori dell’immobile proponevano ricorso per Cassazione avverso la pronuncia del Giudice di seconde cure, a cui resistevano con controricorso gli eredi del notaio.
I ricorrenti osservavano che, nelle ipotesi di azione responsabilità contro il professionista, il termine di prescrizione decennale decorre non già dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno è oggettivamente percepibile, conoscibile e azionabile da parte del danneggiato.
Il Giudice di legittimità, preliminarmente, richiamava l’orientamento consolidato in merito nella giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua la decorrenza iniziale del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale deve essere individuata non già nel momento della condotta inadempiente del professionista, quanto nel momento di effettiva percepibilità del danno da parte del danneggiato.
La Suprema Corte rilevava, inoltre, che, nel caso della stipula di compravendita immobiliare in cui il notaio rogante l’atto pubblico di trasferimento abbia erroneamente asseverato l’inesistenza di pesi o vincoli sul bene immobile oggetto del negozio, non può assumere rilievo assolutamente dirimente il momento della stipulazione dell’atto, che attiene, in sè, alla condotta del professionista e, quindi, al profilo dell’inadempimento; nè viene a configurare, di per sè, un difetto di diligenza della parte, che sia ignara dell’esistenza di un peso o di un vincolo gravanti sul bene compravenduto, la mancata verifica in ordine alla presenza dell’attestazione cui il pubblico ufficiale rogante è tenuto in forza degli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, integranti l’oggetto della sua prestazione d’opera professionale.
Ad avviso del Giudice, nell’ipotesi di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno, siccome percepibile dallo stesso danneggiato, alla stregua di un metro di diligenza da quest’ultimo esigibile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista implicata, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito.
Per quanto suesposto, la Suprema Corte accoglieva il ricorso, rinviando la causa alla Corte di Appello di Potenza anche per le statuizioni relative alle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
MUTUO: USI CIVICI SULL’IMMOBILE IPOTECATO, NOTAIO CONDANNATO
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