ISSN 2385-1376
Testo massima
Il risarcimento del danno, per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 cpc a carico del creditore procedente che ha iniziato l’azione esecutiva senza titolo, va proposta mediante l’opposizione all’esecuzione e non già con l’opposizione agli atti esecutivi.
Così ha stabilito la Corte di cassazione, con sentenza n. 1590 del 23/01/2013.
Nel caso di specie un debitore con opposizione agli atti esecutivi chiedeva che venisse dichiarata la nullità del precetto fondato su una sentenza di condanna e del successivo pignoramento in quanto non gli erano mai stati notificati, nonché il risarcimento dei danni, e responsabilità aggravata, avendo il creditore procedente agito sine titulo.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione dichiarando la nullità dell’atto di precetto e del successivo pignoramento, in quanto “notificato nelle forme dell’art.140 cpc, era privo al momento del pignoramento della ricevuta di i ritorno della notifica“, ma rigettava “sia la domanda di parte opponente di risarcimento dei danni, giacchè non provata in giudizio, sia quella di responsabilità aggravata, carente dei presupposti legittimanti“.
Avverso tale decisione il debitore proponeva ricorso per cassazione.
La Corte, ha rigettato il ricorso, precisando che la responsabilità ex art.96 cpc, comma 2, non è accertabile nel presente giudizio, in quanto relativo ad un’opposizione agli atti esecutivi, con la conseguenza dell’inammissibilità della relativa domanda di condanna.
Invero, come confermato da copiosa giurisprudenza (tra le tante, Cass. n.5734/04, n.9297/07, n.12952/07, n.18344/10) la decisione in ordine alla responsabilità aggravata ex art.96 cpc, comma 2, è devoluta in via esclusiva, sia per l’an che per il quantum, al giudice cui spetta di conoscere il merito della causa.
Gli ermellini hanno così agevolmente affermato che, in tema di responsabilità processuale aggravata, chi intende chiedere il risarcimento del danno per l’inizio o il compimento dell’esecuzione forzata in mancanza di titolo esecutivo, originaria o sopravvenuta a seguito dell’accertamento dell’inesistenza del diritto di procedere in via esecutiva, può avanzare la relativa domanda, ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2, SOLO dinanzi al giudice del giudizio di merito, nel quale il titolo esecutivo si è formato, ovvero dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione; pertanto, è inammissibile una domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2 proposta dinanzi al giudice dell’opposizione agli atti esecutivi.
Nel caso di specie, la ricorrente aveva espressamente invocato l’applicazione del secondo comma del più volte richiamato art.96 cpc nell’ambito di un giudizio introdotto ai sensi dell’art.617 cpc, così proponendo una domanda inammissibile, avendo limitato la domanda esclusivamente all’opposizione agli atti esecutivi per irregolarità del titolo e non anche all’opposizione all’esecuzione per inesistenza del diritto di credito.
La sentenza è logica e si fonda sul principio che una cosa è commettere una irregolarità nel processo esecutivo che può comportare la caducazione del procedimento, altra è ben più grave è quella di agire esecutivamente in assenza di un titolo esecutivo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22980-2010 proposto da:
S.A.;
RICORRENTE
contro
D.G.F., D.G.M.;
INTIMATI
nonchè da:
D.G.M., D.G.F.;
RICORRENTI INCIDENTALI
contro
S.A.;
CONTRORICORRENTE ALL’INCIDENTALE
avverso la sentenza n. 184/2010 del TRIBUNALE TARANTO SEDE DISTACCATA di MARTINA FRANCA, depositata il 28/07/2010 R.G.N. 662/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza del 28 luglio 2010 il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca, accolse l’opposizione agli atti esecutivi proposta da Se.Gi. nei confronti dell’avv. D.G.F., nella quale era intervenuto l’avv. D. G.M..
L’opponente aveva dedotto che il 9 dicembre 2005 l’Ufficiale Giudiziario aveva eseguito, presso la sua abitazione, un pignoramento mobiliare sulla base di un titolo, costituito dalla sentenza resa dalla Corte d’Appello di Lecce sezione di Taranto n. 76/2005, e di un atto di precetto, che non erano mai stati notificati; l’opponente aveva perciò richiesto la dichiarazione di nullità del precetto e del successivo pignoramento.
1.1.- Gli opposti, D.G.F. e D.G.M., avevano eccepito la tardività dell’opposizione, anche avuto riguardo all’irrituale proposizione con atto di citazione anzichè con ricorso; nel merito, avevano dedotto la regolarità formale della notificazione dell’atto di precetto; i predetti avevano perciò concluso per l’inammissibilità o, comunque, per il rigetto dell’opposizione.
2.- La sentenza, ritenuta la tempestività dell’opposizione, ha dichiarato la nullità dell’atto di precetto, perchè “notificato nelle forme dell’art.140 cpc, era privo al momento del pignoramento della ricevuta di i ritorno della notifica”; ha quindi dichiarato la nullità anche del successivo pignoramento; ha rigettato “sia la domanda di parte opponente di risarcimento dei danni, giacchè non provata in giudizio, sia quella di responsabilità aggravata, carente dei presupposti legittimanti”; ha compensato interamente tra le parti le spese processuali, ricorrendo giusti motivi.
3.- Contro questa sentenza S.A., unica erede di Se.Cl., propone ricorso affidato a tre motivi.
Gli intimati si difendono con controricorso e propongono ricorso incidentale affidato a due motivi.
La ricorrente principale ha proposto controricorso al ricorso incidentale. Ambedue le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.
1.- Col PRIMO motivo del ricorso principale si deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art.111 Cost., comma 7, nonchè dell’art.360 cpc, comma 1, n. 3, per violazione dell’art.96 cpc, comma 2.
La ricorrente censura la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha rigettato la domanda di condanna degli opposti per responsabilità aggravata ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2: secondo la ricorrente, questa responsabilità sussisterebbe per il fatto che, nelle more del processo esecutivo ed in pendenza del grado di merito del presente giudizio, è venuto meno il titolo esecutivo posto a fondamento dell’azione esecutiva; in particolare, sarebbe errata la ratio decidendi del rigetto nel merito, costituita dall’esistenza del titolo esecutivo al momento di avvio dell’azione esecutiva: secondo la ricorrente, l’art.96 cpc, comma 2, dovrebbe trovare applicazione anche in caso di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, in quanto messo in esecuzione incautamente e con effetti dannosi per il soggetto esecutato; si tratterebbe infatti di un’esecuzione ingiusta, tale da consentire l’applicazione della norma di cui è denunciata la violazione, come da giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso.
1.1.- Col SECONDO motivo del ricorso principale si deduce nullità della sentenza ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, nonchè dell’art.360 cpc, comma 1, n. 3 per violazione dell’art.96 cpc, comma 2, nonchè art.360 cpc, comma 1, n.5, per difetto di motivazione su punto controverso tra le parti e di evidente decisività. Il motivo è volto a censurare l’affermazione del giudice di merito secondo cui la domanda della parte opponente di risarcimento del danno non sarebbe stata provata in giudizio:
sostiene la ricorrente che il disposto dell’art.96 cpc, comma 2, sarebbe nel senso che, ogniqualvolta risulti l’inesistenza sostanziale del diritto azionato in via esecutiva, debba sempre essere disposta la condanna alla rifusione delle spese ed al risarcimento dei danni a carico dell’incauto creditore procedente; ed in ciò consisterebbe la differenza tra esecuzione ingiusta, mancante cioè di titolo esecutivo, ed esecuzione meramente illegittima, cioè compiuta in difetto dei presupposti speciali di legittimità e nell’inosservanza delle forme prescritte.
2.- I due motivi di ricorso che, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento. Peraltro, la sentenza impugnata, pur essendo conforme a diritto, va corretta nella motivazione ai sensi dell’art.384 cpc, u.c..
Come detto, il tribunale ha ritenuto non provati e carenti, nel caso di specie, i presupposti della responsabilità aggravata come delineati dall’art.96 cpc, comma 2.
Ritiene, invece, il Collegio che questa responsabilità, così come invocata dal ricorrente con l’espresso e ripetuto riferimento all’art.96 cpc, comma 2, non fosse nemmeno accertabile nel presente giudizio, in quanto relativo ad un’opposizione agli atti esecutivi, con la conseguenza dell’inammissibilità della relativa domanda di condanna.
L’art.96 cpc, comma 2, è norma di stretta interpretazione e trova applicazione nei casi ivi espressamente previsti (cfr. Cass. n. 1545/85).
In particolare, per quanto rileva in questa sede, va applicato quando sia accertata “l’ inesistenza del diritto per cui è stata…iniziata o compiuta l’esecuzione forzata”; la richiesta di condanna deve essere rivolta al giudice cui è demandato il relativo accertamento; all’accertamento della mancanza del diritto di.
procedere ad esecuzione forzata si aggiunge, a seguito dell’istanza di parte, l’accertamento, da parte dello stesso giudice dell’avere il creditore procedente “agito senza la normale prudenza”.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio, che qui si ribadisce, per il quale la decisione in ordine alla responsabilità aggravata ex art.96 cpc, comma 2, è devoluta in via esclusiva, sia per l’an che per il quantum, al giudice cui spetta di conoscere il merito della causa (cfr., tra le tante, Cass. n.5734/04, n.9297/07, n.12952/07, n.18344/10).
In coerenza con tale principio si deve affermare che la domanda di condanna al risarcimento dei danni ex art.96 cpc, comma 2, del creditore procedente va rivolta al giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stata iniziata o compiuta l’esecuzione forzata.
2.1.- Orbene, il giudice cui è demandato l’accertamento dell’esistenza del diritto di iniziare o compiere l’esecuzione forzata può essere il giudice del processo nell’ambito del quale il titolo esecutivo si è formato, quando trattasi di titolo esecutivo giudiziale.
Così, si è affermato che, in ipotesi di esecuzione della sentenza di primo grado, iniziata e compiuta senza normale prudenza, l’istanza risarcitori a può e deve essere proposta nel corso del giudizio da appello senza che sia opponibile alcuna preclusione (così Cass. n.3573/02, ma cfr. anche n.846/95, n.12905/04, n.5787/05); ed in ipotesi di esecuzione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, l’istanza risarcitoria va proposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex art.645 cpc (così Cass. n. 24538/09, in motivazione).
Peraltro, può darsi che, in ragione della minaccia o dell’avvio dell’azione esecutiva, vi sia un giudice chiamato a pronunciarsi sull’esistenza del diritto dei creditore di procedere ad esecuzione forzata perchè sia stata proposta un’opposizione all’esecuzione ex art.615 cpc.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che chi intende chiedere il risarcimento dei danno per l’eseguita esecuzione forzata illegittima (rectius, ingiusta, poichè priva della condizione indefettibile dell’esistenza di un titolo esecutivo valido ed efficace), può agire ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2, dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione, funzionalmente competente sia sull’an che sul quantum (cfr. Cass. n.3534/97, n.8239/03, n.10960/10).
E ciò, appunto, in ragione del fatto che si tratta del giudice cui è demandato l’accertamento dell’ingiustizia dell’esecuzione, cioè del compimento di questa in mancanza del relativo diritto, sia perchè il titolo esecutivo fosse mancante sin dall’inizio del processo esecutivo sia perchè sia stato caducato nella pendenza di questo e del giudizio di opposizione (cfr., quanto all’affermazione della necessità della permanenza del titolo esecutivo per tutto il corso dell’esecuzione, e della fondatezza dell’opposizione all’esecuzione anche in caso di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, cfr., da ultimo, Cass. n. 12089/09, n. 3977/12). Si tratta, allora, di quel giudice “che accerta l’inesistenza del diritto per cui è…stata iniziata o compiuta l’esecuzione forzata“, di cui è detto nell’art.96 cpc, comma 2.
Diversa, invece, è la causa petendi del giudizio di opposizione agli atti esecutivi. In questo giudizio si dibatte non dell’esistenza del diritto di procedere in executivis, ma della regolarità formale degli atti del processo esecutivo e degli atti a questo propedeutici, sicchè non viene in rilievo l’ingiustizia dell’esecuzione, ma, come evidenziato dalla stessa ricorrente, sia pure ad altri fini, la sua irregolarità formale, ovvero la sua illegittimità.
Nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi non può mai essere richiesto un accertamento ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2, ma tutt’al più un accertamento ai sensi del comma 1 dello stesso articolo (cfr. Cass. n. 4030/95).
2.3.- In conclusione, in tema di responsabilità processuale aggravata, chi intende chiedere il risarcimento del danno per l’inizio o il compimento dell’esecuzione forzata in mancanza di titolo esecutivo, originaria o sopravvenuta a seguito dell’accertamento dell’inesistenza del diritto di procedere in via esecutiva, può avanzare la relativa domanda, ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2, dinanzi al giudice del giudizio di merito, nel quale il titolo esecutivo si è formato, ovvero dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione; pertanto, è inammissibile una domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art.96 cpc, comma 2 proposta dinanzi al giudice dell’opposizione agli atti esecutivi.
Nel caso di specie, la ricorrente ha espressamente invocato l’applicazione del secondo comma del più volte richiamato art.96 cpc nell’ambito di un giudizio introdotto ai sensi dell’art.617 cpc, così proponendo una domanda inammissibile. I primi due motivi di ricorso vanno perciò rigettati.
3.- Col TERZO motivo del ricorso principale si deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, nonchè dell’art.360 cpc, comma 1, n. 3, nonchè dell’art.360 cpc, comma 1, n.5 per erronea motivazione su punto controverso tra le parti e decisivo per il giudizio, perchè, secondo la ricorrente, sarebbero mancati i presupposti per la compensazione delle spese; e ciò, anche in ragione del fatto, che, sempre secondo la ricorrente, il giudice a quo avrebbe dovuto accogliere la sua domanda risarcitoria ex art.96 cpc, comma 2.
Orbene, non solo va escluso che nel caso di specie possa trovare applicazione la norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2 nella sua formulazione attuale (sostituita dalla L. n.69 del 2009, art.45, comma 11, ed applicabile ai giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009 L. n.69 del 2009, ex art.58, comma 1), ma, anzi, trattandosi di giudizio introdotto con citazione notificata il 15 dicembre 2005, il testo dell’art.92 cpc, comma 2, applicabile è quello originario dei codice di rito, non potendo trovare applicazione nemmeno la modifica apportata al testo originario dalla L. n.263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), entrata in vigore con decorrenza 1 marzo 2006.
Orbene, come è stato ripetutamente affermato con riguardo al testo originario dell’art.92 cpc, in terna di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre ne esula la valutazione dell’opportunità della compensazione, che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito; è fatta salva l’ipotesi in cui la compensazione sia fondata su motivi illogici ed erronei, come tali censurabili in sede di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 633/03, n. 22541/06, n. 14964/07).
Il Tribunale ha richiamato L giusti motivi di compensazione, come sarebbe stato sufficiente in forza della norma all’epoca applicabile, e ne ha motivato la sussistenza, osservando che “l’esito complessivo del giudizio induce lo scrivente a disporre l’integrale compensazione delle spese e delle competenze relative a questo giudizio…“.
Trattasi di motivazione idonea a dare atto della ragione della compensazione ed, in sè, congrua e logica, soprattutto se correlata -come d’altronde ha fatto anche la ricorrente- col rigetto della domanda di risarcimento per responsabilità aggravata, sulla quale l’opponente aveva tanto insistito.
In conclusione, neanche il terzo motivo del ricorso principale è meritevole di accoglimento.
4.- Col PRIMO motivo del ricorso incidentale si deduce violazione dell’art.617 cpc, nonchè vizio di motivazione, ai sensi rispettivamente dell’art.360 cpc, comma 1, nn.3 e 5, ai fine di censurare il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, che gli opposti avevano formulato in primo grado assumendo il superamento del termine di cinque giorni, all’epoca vigente, poichè la data di proposizione dell’opposizione – effettuata con citazione, e non con ricorso – avrebbe dovuto essere individuata avendo riguardo non alla data di notificazione dell’atto di citazione (o, come fatto dal giudice a quo, al la data della richiesta del la notificazione), ma alla data del suo deposito in cancelleria.
4.1.- Col secondo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione degli artt.140, 479, 480 e 492 cpc, nonchè vizio di motivazione, ai sensi rispettivamente dell’art.360 cpc, comma 1, nn.3 e 5, al fine di censurare l’accoglimento nel merito dell’opposizione agli atti esecutivi, perchè sia il titolo esecutivo che l’atto di precetto sarebbero stati regolarmente notificati nei confronti della Se., il primo per il tramite del suo difensore (come era all’epoca consentito dall’art.479 cpc, comma 2), il secondo ai sensi dell’art.140 cpc.
5.- Entrambi i motivi sono inammissibili per carenza di interesse.
Come detto trattando dei motivi del ricorso principale, si è avuta nelle more del giudizio di opposizione agli atti esecutivi la caducazione del titolo esecutivo posto a fondamento dell’azione esecutiva, vale a dire la cassazione da parte della Corte Suprema della sentenza della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che recava la condanna al pagamento delle spese, sulla cui base era stata attivata dagli avvocati D.G. la procedura esecutiva mobiliare nei confronti della Se..
Orbene, non vi è dubbio che detta cassazione abbia comportato la perdita di efficacia degli atti della procedura di esecuzione, sicchè sulla regolarità di tali atti è venuta a cessare la materia del contendere e quindi è venuto meno anche l’interesse all’opposizione. E’ vero peraltro, che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 7256/91 e n. 21323/07), la perdita di efficacia degli atti del processo esecutivo non fa, di per sè, venire meno l’interesse alla definizione in sede di cassazione del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, che con riguardo al titolo oramai caducato sia stata proposta, tenuto conto dell’autonoma rilevanza di tale autonomo giudizio e della necessità di verifica della fondatezza o meno dell’opposizione anche ai fini del regolamento delle spese processuali. Pur ribadendo questo principio, ritiene tuttavia il Collegio che, in casi quale quello di specie, in cui il titolo esecutivo sia stato caducato prima della proposizione del ricorso per cassazione e quindi già alla data di questa sia nota al ricorrente la perdita di efficacia degli atti della cui regolarità si discute, lo stesso ricorrente debba esplicitare in ricorso la permanenza dell’interesse all’impugnazione ed alla definizione del giudizio in cassazione, eventualmente anche con specifico esclusivo riguardo al regolamento delle spese processuali.
Poichè tale enunciazione è del tutto mancata nel ricorso incidentale proposto dagli avvocati D.G. – tanto è vero che i due motivi dello stesso ricorso incidentale prescindono del tutto dalla circostanza di fatto dell’intervenuta caducazione del titolo e dalla prospettazione delle sue conseguenze in diritto- non può che concludersi nel senso della sua inammissibilità.
6.- La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile l’incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione.
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Numero Protocolo Interno : 61/2013